di Serena Mancini
Si è aperta con un flash mob la conferenza “Oltre la violenza, le persone. Incontro di riflessione e dibattito sulla tutela dei diritti fondamentali di donne e bambini” organizzata dall’Osservatorio interuniversitario di genere, parità e pari opportunità (Gio). Un osservatorio, questo, realizzato dagli Atenei romani per focalizzare l’attenzione su temi quali pari opportunità, rappresentanza femminile nella società e storia delle donne al fine di favorirne una maggiore sensibilizzazione attraverso la promozione di incontri, seminari e convegni a livello nazionale, europeo e internazionale. Per l’occasione alcuni studenti si sono dati appuntamento davanti al Rettorato della Sapienza e hanno eseguito una breve coreografia per ricordare le vittime di femminicidio nel mondo. Ogni giorno infatti una donna su cinque subisce violenze che in molti casi sfociano in delitti consumati all’interno delle proprie mura domestiche.
L’appuntamento è stato aperto dal Rettore Luigi Frati e ha visto ospite d’eccezione Serena Dandini che ha presentato il suo nuovo progetto teatrale “Ferite a morte”. Lo spettacolo, in scena a Roma l’8 aprile all’auditorium Parco Della Musica, ha visto protagoniste sole donne tra cui anche Emma Bonino, Margherita Buy e Susanna Camusso chiamate a recitare alcuni monologhi tratti dall’omonimo libro della Dandini.
“Monologhi di fantasia, ma di ispirazione reale” – così la conduttrice di The Show Must Go Off ha definito la sua raccolta di storie in cui a parlare sono donne defunte che finalmente hanno la possibilità di raccontare la propria vita, la vera versione dei fatti. “Una sorta di Antologia di Spoon River dei poveri – continua l’autrice – che ha un duplice obiettivo: da un lato quello di far identificare ciascun lettore con le protagoniste dei delitti affinché si percepisca che non si tratta di casi poi così distanti dalla vita reale; dall’altro quello di restituire dignità alle vittime che spesso vengono considerate semplici numeri. Nel mio libro una storia può racchiudere al suo interno contemporaneamente dieci casi di cronaca, situazioni comuni a tutto il mondo che si declinano in base alle culture e ai luoghi differenti”. Si tratta di un libro che non intende solo denunciare il fenomeno: ogni testimonianza sembra porsi l’obiettivo di insegnare qualcosa al lettore e di dare forza a chiunque viva la stessa condizione. Filo conduttore dei racconti delle protagoniste è poi un dato raccapricciante: la morte di queste donne è spesso annunciata in quanto esito di violenze perpetuate nel tempo. Nasce spontaneo dunque chiedersi come fare a prevenire il fenomeno? Come intervenire sulla psicologia di una persona violata in modo da indurla a denunciare la violenza (sia essa psicologia o fisica) prima che sia troppo tardi? Spesso il vero ostacolo è rappresentato proprio dalle stesse vittime che sono indotte a pensare di meritare la violenza e arrivano inconsapevolmente ad azzerare la propria autostima annullandosi non solo come donne, ma soprattutto come individui. Alla base di questa condizione c’è certamente una errata educazione sentimentale che coinvolge giovani e adulti soprattutto di sesso maschile; e per andare alla radice del problema è importante intervenire partendo dalle scuole e dalle famiglie per proseguire poi con l’università e le istituzioni. Ciò che deve cambiare è l’idea di concepire la donna non solo come oggetto sessuale (come spesso si usa dire) ma anche come “valvola di sfogo”. In molti casi infatti usare la violenza con mogli, compagne ecc…aiuta gli uomini a sfogare la propria frustrazione e le proprie insicurezze derivanti dalla smania (in casi estremi ossessiva) di protagonismo e autorealizzazione. Come dire che, poiché non riesco a raggiungere i miei obiettivi, preferisco attribuire ad altri le cause dei miei insuccessi piuttosto che rimboccarmi le maniche o ammettere di essere incapace. Non a caso infatti l’Osservatorio ha avviato una campagna dal titolo “IO NO alla violenza sulle donne” alla quale hanno partecipato esclusivamente testimonial maschili del mondo dello spettacolo, della politica e della scienza indossando una maglietta per esprimere il loro disprezzo nei confronti della violenza ai danni delle donne. Una forma di promozione dunque che bene si allinea con una sinergia di norme di natura diversa definite 4 p volte a prevenire le cause della violenza, promuovere una giusta immagine femminile, proteggere le donne e infine punire severamente chiunque abusi di loro. Estremamente importante è poi combattere il messaggio che spesso i media inviano al pubblico per catturarne l’attenzione, senza preoccuparsi di rispettare alcun codice etico. È notizia di qualche giorno fa il caso di un’azienda napoletana di prodotti per la casa che, per sponsorizzare un panno cattura polvere, ha esposto alcuni manifesti in cui figurava un uomo seduto in primo piano con alle sue spalle un cadavere di donna steso sul letto e lo slogan “elimina tutte le tracce”. Immagine di sicuro impatto mediatico, ma negativa sia sul piano simbolico che su quello economico (l’azienda ne ha risentito parecchio!). Si deve dunque condurre una lotta sul piano culturale e sociale affinchè cadano un po’ quei ruoli che col tempo si sono sedimentati nel nostro immaginario ed emerga un messaggio unico per entrambi i sessi: quello dell’importanza della dignità. Perchè gli uomini imparino a rispettarla e le donne a pretenderla con più energia e meno paure. E viene in mente una frase dell’Otello in cui Iago diceva: “Se uno mi ruba la borsa, ruba dei soldi; è qualcosa e non è nulla; […] Ma chi mi truffa il buon nome, o la mia dignità, mi porta via qualcosa che non arricchisce lui e fa di me un miserabile”.
Complimenti a Serena, e alla sua capacita di farmi entrare ogni volta dentro i suoi racconti, è ancora viva in me la commozione di “Ad Auschwitz c’era la neve… Diario di un viaggio” il racconto privato del viaggio in un dolore collettivo che non smette di sconvolgerci per la ferocia e drammatica barbaria compiuta dall’uomo contro l’uomo.