Tempi moderni: lavoro, colloqui di gruppo e altri incubi

di Luca Frosini

A Milano non è ancora arrivata la primavera. Il tempo è infatti più simile ad una grigia giornata autunnale, quelle dove il cielo si tinge di un bianco sporco che mette una voglia di vivere pari alla verve di Mario Monti, fredda e quasi soffocante nel suo grigiore. Soffocante, o meglio soffocato, è il termine ideale per descrivere anche il mio stato danimo, in attesa di un colloquio di gruppo per una nota agenzia immobiliare della metropoli lombarda. Ormai ho una certa dimestichezza con queste situazioni, rassegnato alla solita sfilza di  uffici tirati a lucido, riscaldamenti a cappa di fuoco, eleganza di successo, parole motivazionali alle pareti e yuppismo altrove morto e sepolto. Io e gli altri sventurati aspettiamo larrivo del responsabile personale, anche se qualcosa ci dice che inizieremo con un certo ritardo. Lappuntamento era per le 15, sono le 15.45 e ancora tutto tace.
Il mercato del lavoro è un vero e proprio incubo. Quello che colpisce, oltre i dati freddi ma mica tanto impersonali della cronaca e delle statistiche, è soprattutto l’apparente mancanza di reali via di uscita dalla situazione. Un emergenza, quella occupazionale, che non è più limitata ad un fatto generazionale o contingente, ma riguarda un intero sistema andato cordialmente a ramengo. Leggi, riforme e ricette salvifiche uscite negli ultimi anni a getto continuo non hanno portato reali soluzioni o miglioramenti, se non ad un ulteriore complicazione di un universo lavoro sempre più simile ad una giungla inaccessibile.
Alle 16, con un’ora di ritardo come solo i veri bomber sanno fare, si palesa finalmente l’esaminatore incaricato dei nostri colloqui. Laccatissimo, doppiopetto d’ordinanza e miracoloso accento di Trastevere, zona Bolzano, il Nostro parte con un pippone di 10 minuti sull’incredibile ascesa  dell’azienda, passata in 20 anni dal sottoscala al paradiso delle agenzie immobiliare( che mi dicono simile a quello degli operatori ecologici). Seguono altri cinque minuti di pubblicità occulta, dove si snocciolano le cifre fantascientifiche che l’impiego darebbe, per poi passare alla presentazione dei singoli candidati, condita da domande come “cosa daresti in più rispetto agli altri? ”, “hai entusiasmo e grinta?”, “qui accettiamo solo i vincenti, tu lo sei?“e cose simili. Terminato il supplizio si passa alla prima delle portate più raffinate: il test segreto psicoattitudinale. L’ORRORE!
 

Tra le tante zone d’ombra, di sicuro una delle più gravi e complesse da affrontare, riguarda l’inceppato meccanismo che regola il passaggio dal mondo dell’istruzione al lavoro. Una problematica, fortissima ovviamente nella fasce d’età più giovani, che non consente al fresco ex studente di trovare sistemazioni adeguate, ma solo esperienze malpagate(se va bene), dalle durate moolto determinate e con la condanna implicita di non avere alcuna possibilità di miglioramento e sicurezza personale.
Il test, ossia una serie di “individua la parola che meglio ti descrive” tra diligente e cacca, “qual è il tuo colore preferito“ e “la marca di shampoo che usi maggiormente”, giunge rapidamente a conclusione, per lasciare spazio all’ultima parte di questa fantastica avventura: la prova collettiva. I 10 presenti sono invitati a decidere cosa portare in un viaggio nel deserto tra una serie di oggetti, comprendenti borracce d’acqua, canotti gonfiabili e materiale da scavo archeologico, per cui dobbiamo fare una classifica di utilità. L’esaminatore ci lascia a discuterne per 20 minuti , nei quali si notano diversi tipi d’umanità. C’è il menefreghista, devoto del “ma chi c’è lo fa fare, vedo quanto danno e me ne vado”, il diligente, che affronta il compito con la dedizione di un martire, il paranoico, quello del “facciamo attenzione, ci osservano con telecamere e microspie”, per finire con il ras del quartiere, incline al decisionismo più becero. Ovviamente non si arriva ad un risultato condivisibile, dando così il via libera predica finale, dove si ricorda l’importanza del lavoro di squadra e del tenersi in piedi a vicenda. EPIC FAIL!


Una delle cose più antropologicamente ragguardevoli del panorama attuale si trova a modestissimo parere nell’universo dei siti internet, che al di là di chicche sporadiche riservano solo annunci un po’ alla “viva al parroco”: call center, mestieri da casa dove devi pagare per lavorare, animatori turistici e vendite di tutti di tipi, dagli aspira polveri ai reattori nucleari, con un tratto in comune. SI PAGA SOLO A PROVVIGIONE.
Il colloquio è finito, la giornata pure, si deve tornare a casa. Sulla via del ritorno a fare compagnia c’è una leggera pioggerellina, di quelle che ti entrano nelle ossa, mentre altri reduci si confrontano sulle risposte del test o della prova nemmeno se appena usciti dall’esame di laurea. Provi ad interrogarti sul tuo futuro, ma non c’è tempo, perché l’indomani sei atteso per un altro colloquio, questa volta per un “sell made outdoor centralize”, sempre a Milano. COME ROSSELLA O’HARA.


Il futuro è una bestia strana, diceva qualcuno. Enigmatica soprattutto, ancora di più se hai meno di ventordici milioni sul conto in banca. Il 38% di disoccupazione giovanile certifica una situazione senza differenza geografica, su cui bisogna assolutamente intervenire, pena la perdita di un intera generazione, lasciata a sé stessa e dimenticata. Se non si vuole che gli unici sbocchi, nel nostro paese, siano solo campionari grotteschi e pallide imitazioni d’impiego bisogna  fare qualcosa, ai piani alti. E subito.
P.s.= la parte in corsivo è ispirata ad una storia vera, true story.

 


2 Comments

  1. Anonimo Aprile 8, 2013 4:09 pm 

    e quelli che chiedono la partita Iva anche per andare a pulire i cessi? e gli annunci rivolti alle donne accompagnati da “sì richiede bella presenza” anche per rispondere al telefono?

    • lucafrost89 Aprile 8, 2013 4:46 pm 

      assolutamente, tra l’altro nel caso descritto dall’articolo un eventuale stipendio fisso scattava solo da un certo livello di vendite mensili, oltre all’obbligo di costituirsi come partita iva. Ormai siamo oltre Fantozzi.

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