A Taranto il 7 Aprile 2013

di Margherita De Quarto

Taranto – Domenica 7 aprile. Prima domenica dopo Pasqua, prima domenica quasi calda di un’insolita primavera. Primo pensiero post caffè: Chissà quanti tarantini saranno scesi in piazza stamattina?
Sì, perché oggi c’è la famosa manifestazione contro il Decreto Salva-Ilva.
Se dovessi scommetterci, punterei sulle 500 persone. Alzo la cornetta e chiamo un caro amico sempre puntuale alle manifestazioni.
“Pronto? Carlo carissimo, buongiorno. E allora quanti sono?”
“è partita ora – sono le 11.00 – e mi dispiace informarti che hai perso la scommessa: sono 4.000/5.000 circa”
“Ottimo, i tarantini stupiscono ancora”
“Ma se ti può consolate a dicembre erano di più. 30.000 circa”.

Non capendo dove sia la consolazione, saluto, riaggancio e rifletto: un’affluenza simile non la si vedeva da almeno 10 anni, probabilmente dai tempi della manifestazione per la pace in Iraq. In quell’occasione a scendere in piazza furono gli studenti medi, molti per goliardia, molti per marinare la scuola, pochi che sapessero di cosa si stesse parlando.
Oggi, invece, via Di Palma scoppia di indignazione e rabbia sincera. Ci sono i medici, le mamme, gli ambientalisti. Nessuna sigla, solo i cittadini. Ed anche nessuno politico, tranne Paolo Ferrero (che Rifondazione Comunista stia tornando nelle Piazze fra la gente? Chissà!).
Il tentativo è quello di dare un segno forte alla Corte Costituzionale, che martedì dovrà decidere sul destino del Decreto Salva-Ilva. Nel caso in cui venisse dichiarato costituzionale, l’azienda avrebbe praticamente le mani slegate da ogni impedimento e potrebbe riprendere la produzione.

Il Decreto Legge 207/2012, infatti, promette “misure urgenti per la tutela della salute, dell’ambiente e dei livelli occupazionali negli stabilimenti di interesse strategico nazionale in fase di crisi”.
“…Negli stabilimenti di interesse strategico nazionale in fase di crisi…”, ci rifletto ancora un po’ e poi concludo che è proprio una “super cazzola”. A capirlo non sono stata la sola. Anche la Todisco e i suoi colleghi, che li hanno definiti, più elegantemente di me, “criteri eccessivamente generici”.
Ultimo scoglio da superare è la famosa Autorizzazione Integrata Ambientale, che impone limiti all’emissione di polveri inquinanti, che l’Ilva proprio non riesce a rispettare. Presto fatto: il Decreto stabilisce che “uno stabilimento di interesse strategico nazionale necessita di misure che tutelino l’occupazione e la produzione”. Praticamente un’eccezione, quindi una legge ad hoc. Ed ecco che “per tutelare occupazione e produzione, il Ministro dell’Ambiente può autorizzare in sede di riesame dell’A.I.A. la prosecuzione dell’attività produttiva per non più di 36 mesi, a patto che siano rispettate le misure previste dall’A.I.A. e dal suo riesame”. Nel caso in cui questo non venga rispettato, sono previste sanzioni pecuniarie fino al 10% del fatturato della società a carico degli amministratori e dei titolari dell’impresa e le disposizioni dell’ex art. 29-octies e 29-nonies e decies, della stessa Autorizzazione Integrata Ambientale”. Questo prevede diffide, sospensioni o proprio la chiusura dell’impianto, a seconda della violazione.

Un articolo che il gruppo Riva conosce molto bene, viste tutte le volte in cui l’ha violato. Come mi spiega la portavoce dell’associazione Legamjonici, Giovanna Russo, parlando dell’esposto presentato in Procura: “Al 31 gennaio, nonostante il Ministro Clini assicurasse il contrario, noi abbiamo rilevato che le inottemperanze al disposto dell’A.I.A esistevano ancora e che oltre a non rispettare quanto promesso, non si è nemmeno tenuto conto dell’ex art. 29”.
Insomma, comunque la si voglia mettere, sembra quasi che il gruppo Riva stia proprio cercando di farsi cacciare da Taranto con tutta l’Ilva a seguito.
Il problema è che, per non buttar via il bambino con tutta l’acqua sporca, questo governo tecnico:
1) sta ignorando il movimento dal basso e le proteste dei tarantini
2) sta cestinando la legge “uguale per tutti” e il lavoro della magistratura
3) sembra quasi che stia cercando di far risorgere, insieme a Gesù Cristo, la grande stagione di mani pulite e delle leggi ad hoc (ieri per Berlusconi oggi per il gruppo Riva), chiudendo gli occhi sulle bustarelle nelle stazioni di benzina, sulla terra avvelenata e sui letti di morte ancora maleodoranti di tumore.
Ma a non dimenticare il senso del suo lavoro c’è ancora l’italica Iron Lady, o come l’ha soprannominata il quotidiano Libero.it, la “zitella rossa, che vuole licenziare 11mila operai”.
È Anna Patrizia Todisco, gip di Taranto, che davanti al parto del famoso Decreto ha reagito, insieme ai colleghi, chiamando in ballo la Corte Costituzionale.

Secondo il gip, infatti, il Decreto sarebbe incostituzionale per almeno 17 articoli ed in aperto contrasto con il principio costituzionale della separazione dei poteri dello Stato. Infatti, restituendo l’area a caldo, sotto sigilli dal 26 luglio scorso, il governo sta impedendo di fatto lo svolgimento dell’azione penale interferendo con un’indagine ancora in corso, rompendo il sequestro cautelare, ordinato da Todisco, confermato dal Tribunale del riesame e contro il quale il gruppo Ilva non ha mai proposto ricorso in Cassazione.
Senza considerare che si ha una sospensione dell’operatività della legge solo per alcune aziende – di interesse strategico nazionale appunto – e non per tutte le altre.
Insomma non c’è mai fine alle deroghe.

La notizia positiva è che forse Taranto si è risvegliata dal torpore. A riacquistare le dinamica di piazza, sciolti dagli onnipresenti sindacati e dalle sigle, stamattina sono i cittadini, tanti, anche se non tutti. Alcuni del Comitato cittadini liberi e pensanti sono rimasti a casa. Perché come mi spiega la portavoce, Silvia Naccarati: “Il comitato è stato abbandonato nel periodo della campagna elettorale. Ognuno voleva riportare la questione nelle mani del politico di turno per vincere le elezioni, vedi lo stesso Bonelli. Sono spariti dalle piazze, dalle strade e dalle scuole, lasciandoci completamente soli. Ora che tutto è finito sono tornati a chiederci se volevamo partecipare all’organizzazione dell’evento. Abbiamo rifiutato – continua Naccarati – perché noi non vogliamo che i cittadini diano appoggio incondizionato alla Todisco, ma che riacquistino una coscienza critica per portare avanti questa battaglia al di la delle scelte della magistratura e della Corte Costituzionale. Cosa succede se la Corte Costituzionale decidesse che il Decreto è Costituzionale?”.
Già! Cosa succede?
Domanda da 100 milioni di dollari alla quale tutti rispondono all’unisono: “Attendiamo”.
Una delle voci è quella di Cosimo Nume, rappresentante dell’Ordine dei medici. Anche lui, insieme a centinaia di colleghi stamattina è sceso in piazza: “La partecipazione è diminuita rispetto a dicembre, ma non ho mai visto prima tanti medici in un corteo per Taranto”.
Eppure sull’operato di un illustre collega, nonché Sindaco di Taranto, Ippazio Stefano, il dott. Nume non vuole esprimersi: “Ho sempre stimato Stefano come medico ed è risaputo che non sia un suo grande sostenitore politico. Non voglio sollevare polemiche, ma credo che chiunque al suo posto avrebbe potuto fare qualcosa di più”.
Parlando poi del Decreto, Nume precisa: “ci sono molti casi di aziende compatibili con la città, in Germania come in Corea. Non è impossibile, ma non in questi termini. è necessario che si riparta dalle bonifiche dei terreni. La terra nel cimitero di Taranto non si può toccare. Non si può vivere in una città dove nemmeno i morti possono prender pace. Siamo in una situazione di emergenza – e continua – Taranto ha dato tanto a questo Paese, è il momento di ricambiare il favore. L’azienda ed il governo centrale si devono impegnare nelle bonifiche e nemmeno un posto di lavoro deve essere sacrificato”.

Eppure se si volessero fare delle previsioni, si potrebbe guardare ad esempio alla composizione della Corte Costituzionale: eletta per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature, ordinaria ed amministrativa.
Ma d’altra parte, se è vero, come sostengono la Todisco e la Costituzione, che gli organi dello Stato sono indipendenti, l’esito dovrebbe essere sciolto da tali calcoli.
Nel frattempo qualcuno giura che la “zitella rossa” si stia preparando ad armare ancora un’altra battaglia.
Se la Corte Costituzionale si rivelerà un buco nell’acqua, la prossima tappa sarà la Corte Europea.

Foto dell’articolo di Luciano Manna, presa dal sito www.taranto7aprile.wordpress.com


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