19% di votanti: niente quorum. Si chiude così la giornata del 14 Aprile, quella del referendum consultivo sulla chiusura totale o parziale dell’Ilva. Italia-Montegranaro-Salinella è stata la sezione dove si registra la maggiore partecipazione ( 23% ), mentre a Paolo VI la percentuale di votanti non supera il 10%.
Ieri sera, nonostante il tam-tam di notizie sull’affluenza a metà giornata, nel seggio della scuola Colombo, non ho avuto l’impressione di una consultazione non partecipata. C’era la fila per andare a votare ed erano le 20 circa. Come non detto.
Oggi è la giornata della riflessione, dei perché, delle beffe e, per qualcuno, dell’aggressività. Si punta il dito contro gli elettori non votanti, contro le sezioni Cenerentola, contro quelli contro – coloro i quali hanno invitato a desistere dalla partecipazione – e infine contro quelli dalle idee affini ma contro il referendum. Nulla di nuovo sotto il sole insomma, dal momento che queste reazioni costituiscono fondamentalmente la norma per il dibattito tarantino.
Il secondo tipo di reazioni degno di nota è quello di coloro i quali, a quorum dichiaratamente non raggiunto, sbandierano di aver sinceramente partecipato. Mi ricordano quei tifosi del Bari – tutti – che dichiarano di aver assistito alla partita Bari-Cittadella nella stagione più nera della formazione calcistica: eppure allo stadio si registrarono solo 51 paganti. Sono convinta che anche a Taranto la partecipazione al referendum diventerà un sigillo di veracità.
Al di là delle reazioni di pancia, andrebbero sottolineate alcune cose secondo me. In primis la lunga e travagliata storia legata a questo referendum, i cui quesiti non hanno, per forza di cose, tenuto conto dell’evoluzione dei fatti e del sentire comune riguardo la vicenda Ilva. Attraverso i ricorsi giudiziari, si è diluito in lungaggini il forte effetto che una consultazione simile avrebbe avuto invece nel 2007. La Gazzetta stamane dà notizia dell’avvio di un’inchiesta da parte della Procura riguardo “un’oscura opera di proselitismo pro-Ilva, finalizzata a scongiurare l’indizione del referendum cittadino” da parte di Archinà. Un’obiettivo raggiunto considerando che questa mancata attualità dei quesiti ha mantenuto a casa o portato a votare con atteggiamento dubbioso molti degli elettori che comunque seguono e partecipano al dibattito sul rapporto della città con il siderurgico.
In secondo luogo, il dato della partecipazione. Ricordiamoci che era un referendum consultivo, che non implicava alcun vincolo per l’ente o per l’industria. In sostanza si chiedeva un parere ai cittadini, un semplice parere, direi quasi senza impegno se non fosse per il sistema di alibi che qualcuno denuncia si sarebbe potuto costruire sopra il risultato (vedremo cosa succederà).
C’è da chiedersi, in una riflessione più ampia: buona parte dei tarantini è davvero, in questo momento, libera di esprimere anche solo un parere (figuriamoci una decisione…) su questa vicenda?
Partiamo dall’informazione: quanto pesa il gap creato da un sistema di informazione, per molti cittadini l’unico per fruizione, che per molto tempo si è rivelato poco sincero? e quanta importanza è stata data a questo referendum? Ricordandoci che molte organizzazioni hanno espresso la propria contrarietà al referendum.
L’ostacolo maggiore alla libertà di scelta però è sicuramente costituito della paura. La paura di rimanere senza più niente, in un momento in cui l’Italia affonda e non dà più speranze né per i giovani né per gli adulti.
Al di là della formulazione dei quesiti e dei tempi, questo referendum rimette sotto gli occhi il punto fondamentale, sempre lo stesso, da cui nessun dibattito o azione dovrebbe prescindere: l’emancipazione economica e culturale dal ricatto dei Riva. Nessun dibattito e strumento può dirsi veramente democratico se non sono garantite condizioni di democrazia, se la persona non è nelle possibilità di scegliere liberamente il destino della propria città e della propria vita. Una questione che non può essere liquidata tacciando perennemente parte di quell’ ottanta per cento di cittadinanza di ignoranza.
Intanto però questo referendum ha permesso ai movimenti ambientalisti di contarsi. Di quei 33mila partecipanti circa, 27mila si sono espressi per la chiusura totale, 31mila per la parziale; 5mila NO per la chiusura totale, 1700 per la chiusura parziale.
Il prossimo passo? Potrebbe essere la promozione di un referendum abrogativo del decreto salva Ilva, di portata nazionale, che unisca in rete i movimenti in lotta dei siti penalizzati da questa legge.
Un bell’articolo perché è una completa e asciutta disamina dei fatti
C’è da chiedersi, in una riflessione più ampia: buona parte dei tarantini è davvero, in questo momento, libera di esprimere anche solo un parere (figuriamoci una decisione…) su questa vicenda?
Bene, molti tarantini, con un lavoro proprio, assicurato, e non dipendenti Ilva, da me interrogati, erano informati e liberissimi di esprimere un parere, ma hanno preferito non recarsi al seggio con la seguente motivazione: “tanto non serve a niente, tempo perso, l’ Ilva non chiuderà”. C’è altro da aggiungere?