Il 27 aprile 2013 il nostro Paese ha assistito alla nascita del Governo Letta (‘mazza quante maiuscole!), il primo esecutivo formato da due dei principali partiti politici italiani, apparentemente opposti fino a una decina di giorni fa ma adesso uniti in un sistema di cosiddette grandi intese, noto anche come grande coalizione in lingua tedesca, inciucio in dialetto travagliese e pararsi le chiappe in lingua italiana.
Tra le tante novità introdotte dal buon Enrico vi è anche la nomina al dicastero dell’Integrazione di Cecilie Kyenge, affermato medico nella sua Modena e nota attivista nazionale per i diritti dei migranti. La scelta, la prima in tal senso in Italia, ha scatenato come prevedibile un vespaio di polemiche molto accese da parte di alcuni soggetti parlamentari e non, soprattutto dopo la presa di posizione molto netta del neoministro in merito alla revisione della famigerata legge Bossi-Fini e alla possibilità da parte dei “nuovi italiani” di ottenere automaticamente la cittadinanza( con relativi diritti e doveri) in nome del cosiddetto “ius soli”, derivato dalla nascita sul territorio nazionale come volgarmente spiegato.
Tra i più attivi in tale critica non sono mancati esponenti di un partito tra i più duri nel giudicare i rapporti con la crescente popolazione di origine straniera residente nella penisola: la Lega Nord (su, chiudete quelle bocche spalancate che lo sapevate benissimo).
Ecco quindi la sfilza di impresentabili dichiarazioni del redivivo Borghezio, di sottili ironie dello startapizzato Maroni e di generici richiami al membro maschile (comunemente detti caz…te) di altri figuri verdi in cerca di gloria tra mass media e social network, nel solito calderone di dichiarazioni ardite e successive rettifiche in cui l’universo giornalistico solitamente sguazza.
Nonostante tutto questo però tali campioni del sangue padano hanno degli scheletri nell’armadio belli grossi. No, non stiamo parlando di triti richiami a eredi non molto svegli e rimborsi monstre, ma del fatto che un soggetto politico spesso additato come razzista presenta tra le sue fila anche alcuni esponenti di origine molto oltre Po e, oltretutto, ancora più abbronzati di Carlo Conti.
Stiamo parlando, in particolare, del sindaco di Viggiù Sandy Cane e del consigliere comunale del bergamasco paesello di Spirano Tony Iwobi, accomunati dalla fede leghista oltre che essere i veri protagonisti di questo articolo.
Partiamo allora dal caso del primo cittadino di un piccolo municipio alle porte della Svizzera, perduto nella provincia varesotta. Sandy Cane, madre italiana e padre statunitense, ha conquistato il comune venendo sostenuta nella sua corsa oltre che dal proprio partito anche dal Pdl e da altre liste civiche di centrodestra, coalizione portata ad una vittoria sul filo di lana contro lo schieramento avverso nella tornata elettorale del 2009. Il neosindaco, residente a Viggiù da oltre 30 anni, è tra l’altro una personalità molto attiva nella comunità locale, oltre che iscritta di lungo corso al Carroccio ed entusiasta aderente alle idee del movimento di Umberto Bossi. Per “giustificare” tale appartenenza ad un soggetto così chiacchierato la stessa Cane ha dichiarato in un intervista ad un noto quotidiano nazionale che la sua elezione è la prova che “la Lega è maturata, non è razzista e se qualche affermazione può sembrarlo, bisogna vedere meglio il contesto per accorgersi che non lo è”, mentre sull’immigrazione si è espressa asserendo che “gli immigrati vanno aiutati nei loro Paesi, anche perché i clandestini in Italia hanno solo due possibilità: vivere peggio degli animali o delinquere. E questo va evitato”.
Ancora più emblematico è la storia del personaggio seguente, Tony Iwobi. Di origine nigeriana e italiano dal 1976, Iwobi è stato il primo esponente di colore a divenire capogruppo della Lega nella sua Spirano, 5mila anime e un centralino comunale che richiede di scegliere per la comunicazione tra italiano e dialetto locale. Poco dopo è salito al grado di assessore ai Servizi Sociali, delega ottenuta grazie al numero record di preferenze nell’ultima chiamata alle urne e arrivata dopo le sue accese campagne per la promozione della parlata e delle tradizioni orobiche portate avanti quand’era in commissione Cultura.
L’ascesa di Iwobi, anch’esso bossiano di lungo corso e autodefinitosi “pecora nera” della famiglia leghista, non si è però fermata, essendosi candidato alle ultime elezioni regionali che hanno visto la vittoria del suo boss Maroni, successo che però non ha consentito al suddetto di strappare il pass per il Pirellone.
Entrambe queste “strane storie”, pubblicizzate come esemplari e assolutorie da buona parte della dirigenza lumbard, non devono però far pensare a lieti fine all’acqua di rose. Per esempio la salita al municipio della Cane fu salutata in modo molto negativo dai suoi colleghi intervenuti a Radio Padania nella classica trasmissione sfogo per militanti, dove si arrivò a profetizzare la prossima fine del partito dopo tale eresia, mentre anche Iwobi non sempre ha incontrato, nonostante il suo proverbiale entusiasmo federalista, il favore dei sodali a lui politicamente vicini. Continuano inoltre ad essere troppi gli episodi dove i nordisti si segnalano per giudizi non molto saggi sulle tematiche della multiculturalità e dell’integrazione, come testimoniato appunto dagli attacchi indirizzati alla grintosa Kyenge, già pronta a presentare in tempi vicini progetti legislativi molto ambiziosi ed incisivi.
Certo, Cane e Iwobi sono parte di una realtà molto più complessa di quanto si creda, di sicuro in forzata evoluzione, ma purtroppo ancora incapace di superare certe tendenze presenti in larghe fasce della popolazione italiana. Tendenze che paradossalmente possono considerare entrambi i soggetti richiamati come inconsapevoli testimonial, in quanto divenuti cittadini dopo complessissimi iter burocratici e tanta attività nei propri territori “d’adozione”. Modelli, quest’ultimi, che nell’ottica di Pontida devono essere considerati efficaci alternative alla sacrosanta riforma degli ordinamenti giudiziari in materia.
Chiudiamo con le immortali frasi di un noto capofila del Carroccio, tale Erminio Boso, che riferendosi sempre alla Kyenge ha emesso tale sentenza: “”Sono razzista, non l’ho mai negato. Il ministro Kyenge deve stare a casa sua, in Congo“. Giudicate voi.