Il titolo sovra citato doveva avere, nelle mie intenzioni iniziali, un’ulteriore complemento, un giudizio pienamente personale sullo stato di cose della politica italiana: Gaber non aveva capito una beata mazza.
L’articolo potrebbe anche chiudersi qui, visto lo spettacolo offerto nella giornata di sabato dai due maggiori partiti italiani, divisi da lotte e competizioni negli ultimi vent’anni ma ora uniti tutti insieme in un esecutivo dalle prospettive difficili e che farebbe gettare la spugna anche al celebre cantautore milanese. Andiamo quindi ad analizzare nel dettaglio cos’è successo tra Brescia e Roma, provando così a capire quali potrebbero essere gli indirizzi futuri dell’Uomo Onesto, tornato più forte di prima, e dei suoi dissolti neoalleati. Quindi stay tuned e join the game! (da quando ho incontrato dei comunisti statunitensi non sono più lo stesso, sorry).
PDL, BRESCIA (DA QUALCHE PARTE IN LOMBARDIA):
Nelle intenzioni dell’onnipotente Capo la manifestazione di Brescia doveva essere l’ennesimo inizio della campagna per le prossime politiche, oltre che certificazione ulteriore del inedito ruolo di Padre della Patria come piace alla frangia moderata del suo popolo e sorta di contentino per le schiere più aggressive, assetate di piazza, vittimismi complottistici e vogliosi di passare all’incasso elettorale i positivi sondaggi accreditati da numerosi organi mediatici.
L’occasione cadeva a fagiolo, sia per le prime difficoltà del Governo Letta, arenatosi sui previsti scogli fiscali (IMU, tema portante per il centrodestra nei primi mesi del 2013), sia per le dure sentenze giudiziarie già ricevute o di prossima ricezione, come nel caso del processo Ruby. Quindi perché non chiamare a raccolta le proprie forze, in ascesa continua da fine febbraio e padroni reali del nuovo esecutivo, per di più in una città come Brescia, cara al Cavaliere e vicina alle amministrative con giunta pidiellina in grave difficoltà?
Il risultato di questa ennesima adunata è stato, incredibilmente visto tali premesse, contraddittorio. Non così positivo, non così trionfale come un mesetto prima a Bari, l’esito della piazza di Brescia è stato influenzato dalla presenza di una numerosissima componente venuta a contestare il Re di Arcore, rumorosa e capace di lasciare quest’ultimo parecchio interdetto, a sentire varie testimonianze anche da parte dei giornali a Lui vicini. Doveva essere un ennesima, orrida, festa delle Libertà, con Silvio ad agitare sul palco il pericolo rosso, l’offensiva giudiziaria e le promesse di riforme, rivendicando il suo ruolo pacificatore di fronte all’odio della Sinistra davanti a Ultras in crisi mistica, ma così non è stato, nonostante la presenza del ministro Alfano e delle sue forti lamentele per la gestione dell’ordine pubblico.
Ma se Atene, nei limiti dati dalla sovrabbondante plastica facciale, piange, la vicina Sparta, alias PD, non ride.
PD, ROMA (SOMEWHERE OVER THE RAINBOW):
Mentre Berlusca venivano additato come ladro (agghiacciante, direbbe Antonio Conte) da una consistente parte della piazza lombarda, a Roma un partito indebolito, per usare un eufemismo, cercava di voltare pagina, o almeno di avviare una parvenza di ripresa dopo la terrificante tre giorni per il Quirinale.
Sembra scontato, ormai, dire che i Democrats hanno sbagliato l’inverosimile nel periodo trascorso dalla tornata del 24-25 febbraio ad oggi, tra tentativi fantozziani di avvicinamento con i Cinque Stelle e precipitose fughe indietro, tra smentite di accordi con PDL e voglie malcelate di farli, fino ad arrivare allo psicodramma dell’affossamento di Prodi e della rielezione di Napolitano, prodomo alle temute larghe intese o presa per il didietro come recita il dizionario Zanicchelli.
L’assemblea nazionale andata in onda sabato a Roma ha certificato una depressione nemmeno tanto strisciante, con una discussione interna sull’immediato successore del trombato Bersani che nemmeno due truzzi il sabato sera sul tardi, a sentirne il livello politico. Dalemiani, Veltroniani (esistono ancora?), Prodiani, Renziani, Lettiani (o lettisti?), Fransceschiniani (a tastiera mi sta denunciando al tribunale dell’Aja per questa sequenza di nomi). Bindiani, Fioroniani, Giovani Turchi e chi più ne ha più ne metta sono sfilati in un caos di correnti e di posizioni ad esprimersi sulla delicata identità del nuovo segretario/reggente/badante oltre che suo status, una scelta che in mezzo alla giungla vietnamita ha premiato l’ex leader CGIL Gugliemo Epifani.
Troppo debole per poter preoccupare gli oppositori della linea dell’attuale dirigenza e per intimorire i superstiti della linea bersaniana, abbastanza autorevole per chiamare alla tregua tutti gli altri, Happy Hippo Fani ha di fronte un compito impossibile, ossia ridare un senso ad un soggetto bloccato nei propri materiali da bricolage (o seghe) mentali, incapace di tutelare il proprio elettorato e alle prese con pesanti contestazioni della propria base, traumatizzata dall’abbraccio mortale con l’amico/nemico Silvio.
Questa è la fredda cronaca di sabato, caratterizzata anche dalla manifestazione capitolina di Vendola e del suo cantiere della Sinistra, ritratto quindi di un presente preoccupante (o di cacca) e premessa di un futuro ancora meno simpatico (o di melma). Certo, Silvio ha dimostrato che la sua vittoria non è ancora completa, che il campo avverso può ancora permettersi qualche colpo di coda, ma la situazione, vedendo la depressione strisciante tra i figli minori di Obama e la confusione dell’”altra”Sinistra, non è tranquilla. Per nulla.