Lo strano caso della donna che doveva diventare Presidente

di Salvatore Romeo (’85)

Le elezioni del recente 24-25 febbraio hanno lasciato nella maggior parte degli elettori che si sono presentati alle urne un “blend” di sensazioni ben miscelate tra loro, come precisi ingredienti di una fantomatica birra elettorale. Proviamo ora ad analizzarla. Della segretissima ricetta, l’ingrediente maggiore, che conferisce il sapore amaro della bevanda, è senza dubbio la rassegnazione. Chi si aspettava un voto di “rottura”, utile (non nell’accezione del PD) per segnare una netta demarcazione con il recente passato, caratterizzato da un governo “di scopo” ( forse lo scopo del governo Monti era di impoverire gli italiani?), dopo lunghe settimane di “passione” politica in cui si è assistito alla morte del PD (senza resurrezione), si è ritrovato con un governo di mezza-unità nazionale. Lo scopo però è ancora tutto da chiarire (probabilmente sarà l’originale richiesta di beatificazione “pre-mortem” di Silvio Berlusconi). Il secondo ingrediente è senza dubbio la disillusione verso una tornata elettorale che avrebbe dovuto sancire la fine delle politiche di lacrime (dei cittadini non della Fornero) e sangue (sempre dei cittadini e non della Fornero). Gli italiani che si aspettavano il tanto famigerato “rinnovamento”, anche in virtù dell’elezione dei grillini in parlamento, si sono ritrovati a bere grandi sorsi della birra amara del governo Letta. Il terzo ingrediente, sapientemente miscelato ai primi due ma dal retrogusto inconfondibile, è la rabbia (si parla ovviamente dell’ira non della malattia che attacca Alfano e gli altri animali domestici). La rabbia di chi si rende conto che dopo 2 anni di un fallimentare governo Monti, dopo un’elezione inutile quanto una laurea nel cercar lavoro, con in atto una crisi occupazionale senza precedenti non sia cambiato nulla. In realtà qualcosa di “sconvolgente” rispetto al normale evolversi delle cose, con la presentazione di questa nuova squadra di governo è accaduto (e non mi rivolgo alla nomina del ministro Kyenge che ritengo più una abile trovata di “marketing” politico).

Non è stata dato molto risalto che a presiedere un ministero fondamentale per la Repubblica Italiana sia un esponente il cui partito ha raccolto nella tornata elettorale solo un misero 0,19% alla camera (meno del camerata Fiore) e lo 0,20% al senato (anche in questo caso meno dell’esponente fascista). Stiamo parlando del ministro Bonino e della sua conquista del Ministero degli Esteri. Incominciamo a ripercorrere a grandi linee il percorso che il ministro ha intrapreso fino a diventare il più serio candidato alla presidenza della repubblica prima e ministro poi. Nel 1994 la “compagna radicale” si candidò nel nascente partito di Forza Italia di Berlusconi dell’Utri e Previti; nello stesso anno fu eletta (con benestare di Berlusconi) commissario europeo. Il suo appoggio verso lo schieramento di centro destra durò, contraddistinto da alti e bassi, circa 12 anni, fino al 2006. In questi anni la Bonino vede anche la creazione di una lista elettorale che alle elezioni del 1999 ottenne l’8,5 %, un risultato mai più raggiunto dai radicali. Nel 2004, entrata a far parte del gruppo europeo dei centristi dell’ALDE (di cui faceva parte anche Rutelli); alle elezioni dello stesso anno riesce a farsi eleggere parlamentare europea. Nel 2006 la “conversione di Emma” fu completata; a renderla possibile la creazione di un nuovo soggetto politico (di cui si annovera il posto di prestigio riservato a Daniele Capezzone, politico molto calmo e fedele, appartenente alla stessa razza di Alfano) nato in co-fusione ai socialisti di Boselli: “la Rosa nel Pugno”. Con il nuovo partito la Bonino riesce ad ottenere l’incarico dal premier Romano Prodi di Ministro per il Commercio Internazionale e per le Politiche Europee. Dopo la sconfitta alle regionali del Lazio nel 2010, Emma è tornata in auge per le voci che la davano come candidato più accreditato per la presidenza della Repubblica. Il resto è storia attuale.

Ciò che molto interessante da valutare della carriere politica del Ministro degli Esteri, sono le sue posizioni perpetuate e confermate nel tempo (un fantastico esempio di coerenza) sulla necessità di “portare la pace” ai popoli che ne sono deficitari con le armi ed il pugno duro. A conferma di ciò riportiamo alcune delle più significative affermazioni della leader radicale. Nel 1999 con il più grande degli ossimori “Emma” affermò che la guerra che il governo D’Alema stava appoggiando in Jugoslavia fosse giusta, motivando la sua decisione con una serie di stereotipi su Milosevic e le sue pulizie etniche nei confronti dell’etnia albanese del Kosovo. Nel 2001 la stessa ministro dichiarò che quella in corso nell’Afghanistan fosse “utile” e che non «non si può parlare di occupazione: qui c’è una forza multinazionale» e che sarebbe stata «un’occasione militare che può condurre alla democrazia». Ma il profilo da pacifista del Ministro Bonino ebbe ancor più concretezza quando, in seguito agli avvenimenti ancora tutti da chiarire dell’11 settembre, affermò che la guerra in Iraq fosse necessaria in quanto «non c’era alternativa per sconvolgere la rete terroristica», accusando di irresponsabilità chiunque manifestasse contro la suddetta guerra. Il capolavoro avviene nel 2011 quando, anche in virtù della carica di vice presidente del Senato, rivendica l’annullamento dei patti bilaterali tra Italia e Libia, rei di «legare le mani all’Italia nel prestare soccorso alla popolazione civile». Ed come sia arrivato questo “soccorso” è purtroppo notizia nota.

Con un tale curriculum, qualcuno potrebbe pensare che Emma Bonino non sia il candidato ideale a ricoprire il fondamentale ruolo di mediatore nel complesso panorama politico internazionale attuale. Note sono le tensioni tra il governo americano e quello siriano, con il primo che rivendica la possibilità di “esportare” in Siria la democrazia e la libertà già “donate” alle popolazioni libiche ed irachene. In realtà proprio nei rapporti con Stati Uniti ed Israele che si può risolvere il mistero della sua designazione a ministro degli esteri. Non è mistero che la Bonino abbia degli ottimi rapporti con gli Stati Uniti (ha frequentato un corso di formazione – International Visitor Leadership Program – presso il Dipartimento di stato), cosicché  il segretario di stato John Kerry ha dichiarato di essere molto contento della sua nomina, ma soprattutto con Israele. Il ministro infatti già nel 2001 dichiarava che «l’idea di portare Israele nell’UE ha quasi vent’anni e che spero non abbia bisogno di altri venti prima che maturi nella coscienza collettiva, che diventi condivisa, e si trasformi quindi da provocazione a realtà». Le motivazioni della necessità dell’entrata di Israele a far parte dell’UE, sono da ricercarsi principalmente in 2 aspetti: la prima (meno importante) è che Israele è da sempre un forte partner commerciale Europeo (circa il 40% delle importazioni israeliane provengono dall’Europa): accontentarlo sarebbe “molto conveniente”; il secondo aspetto è quello fondamentale. Un alleanza con Israele permetterebbe all’Europa di diventare “un vero attore strategico e influente in Medio Oriente”. L’alleanza con Israele permetterebbe dunque di ottenere una posizione privilegiata (geografica e politica) nel processo di “esportazione della pace e libertà” messo in atto dagli Stati Uniti. Il primo passaggio di questo processo di democratizzazione violenta, vedrebbe coinvolta la Siria; successivamente nessuno vieta di spingersi verso est con direzione Iran. Dunque in questo panorama fosco i rapporti ben saldi della Bonino con Israele e USA acconsentirebbero  all’Italia e l’Europa un ruolo di primo piano verso (spartizione ops.) la “liberazione” della Siria.

Se questi scenari fossero confermati si giustificherebbe la tenacia con cui il governo Berlusconi prima e il governo Monti poi hanno difeso e sostenuto gli ingenti finanziamenti alla spesa militare (tra cui il controverso acquisto degli F-35) e alle forze armate. In questo contesto , il ministro Bonino avrebbe dunque il ruolo di “garante” per l’Italia nel fornire supporto logistico e militare agli Stati Uniti. Ci ritroveremmo dunque un Italia che oltre a non ripudiare la guerra in tutte le sue forme, assisterebbe ad un depauperamento di risorse fondamentali per la necessaria ripresa occupazionale. Ed è forse questo ciò che avremmo sognato per la nostra nazione alla vigilia del voto?



4 Comments

  1. Francesco Voccoli Maggio 13, 2013 5:37 pm 

    Se si fa una biografia di qualcuno/a bisogna farla integralmente. Nessuna difesa della Bonino ma perché dimenticare che la sua figura,a seconda delle occasioni,andava bene per tutti,compresa Rifondazione Comunista,che alle elezioni regionali laziali,ne condivise la candidatura a governatore e stava con la sua lista in coalizione? Elezioni che poi si persero per un pugno di voti e vinse la Polverini? Il mestiere dello storico non deve ammettere censure anche se,a volte, e’ duro dire la verita’.

    • Salvatore Romeo Maggio 15, 2013 9:07 am 

      Salve sig. Voccoli. L’intento di questo articolo non è di fornire una biografia dettagliata del ministro Bonino, ma di ripercorrere gli avvenimenti salienti della di lei carriera politica che hanno presentato risvolti importanti nella sua nomina a ministro. Inoltre, visto che non posso fregiarmi del titolo di storico, non essendo questo il mio campo di studio e lavorativo, credo che non sia tenuto a presentare degli argomenti non inerenti allo scopo del mio articolo.

  2. G Maggio 15, 2013 8:35 am 

    Non è mistero che la Bonino abbia degli ottimi rapporti con gli Stati Uniti (è forse meglio avere rapporti idilliaci con Fidel Castro, Mahmud Ahmadinejad o Vladimir Putin?), cosicché il segretario di stato John Kerry ha dichiarato di essere molto contento della sua nomina, ma soprattutto con Israele (faccio presente che trattasi dell’unica democrazia, nel bene e nel male, dell’area). Fermare il declino. Se questa è la situazione, perchè?

  3. Serena Miccoli Maggio 17, 2013 12:14 pm 

    Democrazia, è una parola bella grossa per Israele.

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