Ogni domenica un terrone tarantino si sveglierà e, ovunque lui sia, sa che gli mancheranno le polpette della mamma. In più oggi non è una domenica qualunque, ma il giorno della festa della mamma. In attesa della melodrammatica telefonata del fine settimana in cui lei mi chiederà in ordine: “come stai, cosa fai, cosa mangi, sei sola, ma soprattutto, quando torni”, cerco di richiamare alla mente l’ultima volta che ci siamo viste.
Oltre all’abbraccio da “partenza per la guerra del Vietnam” con annesso singhiozzo e pianto abortito, ricordo uno dei giorni in cui tornò da lavoro rossa come un peperone, che imprecava contro l’Amat e contro le nuove generazioni: “Le ragazzine quasi non ti fanno entrare sul pullman e i controllori…aaaaaah se fossero saliti i controllori…quanto avrei voluto…mi ci sarei litigata, gli avrei detto: beh, ora andate voi a timbrare il biglietto, se ce la fate!”.
Per distoglierla dalla rabbia, mia sorella – 17 anni –, con tono sommesso, le fece notare che alle due, quando i pullman scoppiano di adolescenti di ritorno da scuola, dei controllori tarantini non si vede nemmeno l’ombra. Infine si lasciò andare a consigli di consolazione su come e quando non obliterare il biglietto. Piccoli teppisti crescono? No. Semplice istinto di sopravvivenza. Perché, anche se la maggior parte dei nostri genitori ha vissuto, o anche solo visto in tv, il mitico ’68, quella della ressa in pullman, dell’infaticabile attesa alla fermata, della fuga dal maniaco o dal puzzone sulla Circolare Rossa, è una lotta nostra, dei giovani nati negli anni 80/90. Un’esperienza necessaria per chi avesse mai aspirato ad entrare in esercito o in un’università pubblica italiana.
Quel giorno ho intimamente ringraziato Dio per aver dato a mia madre un assaggio di quello che è il duro mondo di un adolescente della periferia di Taranto. Tutto sommato, dando a Cesare quel che è di Cesare, mi tocca riconoscere che dai due anni di assenza dalle scene tarantine, torno piacevolmente colpita dall’aumento dei pullman, da una meno casuale puntualità nelle corse e da una quasi totale sparizione della famosa pratica del salto della corsa, tipica tradizione tarantina.
In più, in questi giorni il trasporto pubblico cittadino ha puntato al top: la notizia è che l’accordo sindacale di febbraio fra Filt -Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Faisa-Cisal, Ugltrasporti, da lunedì permetterà di avere sulle vetture delle telecamere di ultima generazione. 135 dispositivi made in Sinai srl, che funzioneranno da scatola nera in caso di incidenti stradali. Perché? Per arginare un fenomeno di cui personalmente non ho mai sentito parlare, ma che non stento a credere sia la piaga del trasporto pubblico cittadino: i falsi incidenti stradali.
In questo modo verrà tutelata l’azienda, il Comune che la “dirige e coordina”, e le 135 vetture, con annessi passeggeri, che senza telecamera potrebbero esser oggetto di truffaldini incidenti.
Una miglioria sicuramente, ma non certo una rivoluzione. Gli atavici problemi del trasporto pubblico cittadino continueranno a tramandarsi di generazione in generazione chissà ancora per quanti anni. E, ahimè, a farne le spese saranno ancora i ragazzi che frequentano i licei e gli istituti disseminati per tutta Taranto, gli anziani e i lavoratori che non si possono permettere un’auto. Insomma, quelle stesse fasce deboli che uno stato sociale come il nostro ed un partito come quello del sindaco di Taranto, Ippazio Stefano – SEL, nato dalla scissione di Rifondazione Comunista – dovrebbero tutelare.
E se per caso vi steste assillando nella ricerca di una spiegazione a tale e tanto immobilismo, io vi consiglio di cercare nelle parole di Gaber, che in questo caso avrebbe detto: “Qualcuno credeva di essere comunista, e forse era qualcos’altro”.
Articolo molto interessante
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