Grigiore superstar

di Cosimo Spada

 

Devo smetterla di scrivere gli articoli di domenica, la domenica è stata creata con l’unico fine di superare lo stato comatoso in attesa di una nuova allucinante settimana.

Alla luce di queste riflessioni io oggi come posso scrivere un buon articolo? No, dico, secondo voi sono in grado? Ecco la risposta sta venendo fuori. E quindi che si fa? Io avrei due soluzioni. Soluzione 1) : lascio l’articolo così e quando Siderlandia uscirà tutto passerà sotto silenzio; soluzione 2) : scrivo una serie di bestemmie di mia invenzione, ma molto forti, e alla fine recensisco una forte indierock band giapponese. La seconda soluzione è quella preferita da Andrea Cazzato, ma gli darò un dispiacere; la mia indolenza oggi vince sulla mia blasfemia.

Fino a qualche giorno fa, quelle giornate di autunno di ritorno mi hanno reso indolente e, visto che sostanzialmente sono un rompicoglioni, felice sopratutto visto che a molti non stava andando giù quel clima. Le nuvole si mettevano di traverso al sole e su tutta la città calava un grigiore che a me andava benissimo. Lo so, la pagherò cara per tutto questo, come dite…? Vi assicuro che mia madre mi ha correttamente allattato da bambino, certe poppate!

In ricordo di quel grigiore compiaciuto voglio consigliarvi un album italiano che di italiano non ha quasi nulla e che è un autentico gioiello: “CRX” dei Casino Royale.

Lo ascoltavo tantissimo al primo anno di università da fuori sede, quando scopri che il letto non si rifà magicamente da solo e dalla tua cucina escono esperimenti culinari che non sono gustosi manicaretti ma la clonazione di qualche oscuro essere vivente.

Beh in quel faticoso primo anno a Lecce questo disco era tra i miei ascolti più assidui.

I Casino Royale sono una band milanese con una storia che parte dallo ska più che ventennale e una credibilità conquistata a botte di concerti infiammati e dischi perfetti. A metà degli anni 90 iniziano ad abbandonare le sonorità jamaicane e si spingono verso il mondo dell’elettronica inglese di quegli anni: trip hop, jungle e drum & bass.

Al momento dell’uscita di questo album i ragazzi facevano base a Londra da un po’ e lavorarono con Tim Holmes, già produttore dei Primal Scream, il che giustifica il suono più europeo.

La title track ( e mica potevo scrivere “la traccia che da’ il titolo all’album” suonava male), è la più pop dell’album è fa sentire tutti gli elementi tipici dell’album, massiccio uso di elettronica, un beat secco e potente, il basso pieno di spessore e l’alternarsi delle voci dei due cantanti della band Giuliano “King” Palma,e quella di Alioscia. Mentre Alioscia canta un rap che inizia sempre con “IO RIFLETTO” Giuliano Palma entra nel ritornello dando colore alla canzone. A volte si invertono i ruoli, come in “Ora Solo Io Ora” e Homeboy”, la voce di Alioscia si adatta bene ai brani con il suo incedere nervoso, spesso si abbandona a semplici vocalizzi, dall’altra parte c’è la voce calda e soul di Giuliano Palma che nei ritornelli ed in alcune canzoni come “Là Dov’è la fine” o “Là Sopra Qualcuno Ti Ama”squarcia il grigiore evocato dalle canzoni del disco. Proprio “La Sopra Qualcuno Ti Ama” è la canzone che più si discosta dalle altre. È cantata tutta da Palma e con il perfetto drumming del batterista Ferdi, una delle meglio batterie di Milano, un campionamento orchestrale che richiama un atmosfera notturna e malinconica crea un vero capolavoro della musica italiana; l’Italia della melodia, l’America del soul e il suono secco e urbano dell’Inghilterra. “Homeboy” è un altro capolavoro, una batteria super pompata con un basso che da solo fa provincia qualche campionamento la voce di Giuliano e quella di Alioscia che interviene biascicando qualcosa. Oppure “In Picchiata” un racconto di vita frenetica con un sax pieno di eco. L’ultima perla è “The Future”. Una canzone che guarda caso parla di futuro (ma va??), con un ritornello che da solo fa da mantra per qualsiasi momento della vostra vita: “Ogni Stop è solo un altro Start”.

Forse l’unico difetto di questo album è proprio Giuliano Palma. Il King, con la sua voce melodica e piena di sfumature, doveva ritagliarsi piccoli spazi in mezzo a quei suoni scarni e puramente ritmici, non è un caso se questo fu il suo ultimo album con la sua storica band, ma che ultimo album!!!.

ed ora vi saluto.

Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo:

Deerhunter, Monomania, 2013

Dr. Alimantado, Best Dressed Chicken in The Town, 1978