Astensione, cappotti e non vittorie: le Amministrative 2013

di Luca Frosini

Ah, l’Italia! Terra di santi, poeti, navigatori e, soprattutto, elezioni. Eh sì, l’ennesima tornata appena andata in archivio, quella amministrativa delle ultime due settimane, ha rappresentato una nuova occasione per riflettere sullo “stato” che la Politica, con lettera maiuscola e minuscola, possiede attualmente nella caotica situazione del fu Belpaese, segno tangibile della crisi sempre più forte che attanaglia senza alcuna distinzione tutte le forze parlamentari e non.

Tre sono i segni sotto i quali sono state rubricate queste votazioni, almeno quelli più macroscopici. Proviamo ad analizzarli nel merito, più nello specifico insomma.

Astensione:

Per dirla con poche parole, non è andato a votare nessuno. L’Italia, Paese di solida e vasta partecipazione elettorale, con punte fino a vent’anni fa di 90-95 % di aventi diritto alle urne, ha conosciuto nelle ultime amministrative un’astensione superiore in molti casi al 40%, arrivando fino al 50% di corpo elettivo disperso a Roma, di sicuro il caso più eclatante.

Un dato spaventoso, per continuare con la sintesi di poco prima, anche considerando la storica e diversa incidenza del numero in questione nelle elezioni locali rispetto alle nazionali. Confrontandosi infatti con le Politiche di febbraio, già in calo rispetto alle precedenti del 2008, la perdita di votanti è stata del 20, 30%, in uno stillicidio di numeri che testimonia una volta di più quanto la Politica sia ormai lontana, oltre che dalla pancia, dal “cuore” del cittadino italiano. Cittadino poi in senso generale, in una definizione che abbraccia tutti gli schieramenti, senza differenze di sorta. Sia Destra, come Sinistra, sia Grillo che altri soggetti, nessuno si salva da questa desolazione, in un orizzonte ormai limitato, se va bene, al solo e sempre più sparuto corpo militante, in molti caso frustrato dalle proprie “dirigenze” oltre che isolato dalla realtà circostante.

Obbedendo alla personalissima opinione del sottoscritto, il voto 2013 testimonia in via definitiva la situazione di reciproca incomunicabilità, modello “compartimenti stagni”, che regola ormai i rapporti tra Palazzo e “Piazza“. Il primo non capisce l’altro e non vuole farsi capire, il secondo non recepisce perché, semplicemente, parla un altro linguaggio, con cui nessuno vuole fare i conti, se non riducendolo a mera “delusione fisiologica“ stupidità diffusa, in uno sforzo auto indulgente e consolatorio difficilmente perdonabile;

Cappotti:

Popopopopo, siamo solo noi, sempre solo no….. Tralasciando un attimo i discorsi da stadio subito esplosi in certi schieramenti politici, di sicuro il 17-0 con cui il Centrosinistra ha regolato nel computo dei comuni conquistati i concorrenti del Centrodestra è oggettivamente interessante. Certo, il secondo ha sempre sofferto nelle elezioni locali, in virtù della struttura leggera e della totale identificazione con il proprio leader, mentre il primo può ancora far rivalere una presenza sul territorio più “pesante” ed maggiori capacità di presentare personalità adeguate e conosciute nelle singole zone, però il comune sentire non sembrava lasciare molte speranze di vittorie larghe. I pasticci democratici degli ultimi tre mesi infatti facevano presagire una situazione non molto rosea, tanto che molti opinionisti già decretavano il valore tombale che questa tornata avrebbe avuto sulle formazioni centro sinistroidi. E invece la barca è rimasta a galla, il Pdl avanti nei sondaggi è risultato parimenti in caduta, le maggiori città conquistate quasi senza colpo ferire, l’avanzata penta stellata sgonfiata in modo clamoroso, movimento afflitto tra l’altro dalle stesse problematiche territoriali degli odiati rivali pidiellini;

Non vittorie:

Eh eh, qui veniamo al bello. Una vittoria elettorale, arrivata grazie ad una quota minoritaria del grosso degli aventi diritto, non può dirsi tale in presenza di questi numeri, se si vuole obbedire ad un’astratta idea di onestà intellettuale (Mourinho d’ antan docet). Il Pd modalità “on fire“, entrando nello specifico, ha lasciato comunque sul campo centinaia di migliaia di voti, vincendo quasi sempre con candidati al di fuori dei partiti o comunque in posizioni particolari all’interno di essi, come dimostrato dal caso Marino. Il neosindaco della Capitale, infatti, ha espresso punti di vista in molti casi duramente avversati dai propri colleghi, oltre che richiamare il meno possibile nel corso della campagna il coinvolgimento della “bad company” politica. Insomma, una vera e propria non vittoria, per citare l’ormai ex segretario Bersani, pericolosa per il potenziale effetto “placebo” che ha e avrà sulla discussione interna al Partito Democratico, tanto che il neoboss Epifani ha già prudentemente lanciato l’idea di un rinvio sine die del congresso prima previsto per il prossimo autunno;

Questi tre punti sono solo una piccola goccia nel mare delle potenziali riflessioni, ovviamente. Possiamo aggiungere che il fallimento del Movimento 5 Stelle, prima argine al malcontento e ai fuoriusciti dei vecchi schieramenti, non ne pregiudica del tutto l’esistenza, semmai una lenta deriva verso dati di consenso più “normali”, così come l’esistenza stessa del fragile governo Letta, seppur depotenziate le ansie berlusconiane di staccare la spina, è messa adesso in discussione da frange democratiche vogliose di rivincite e auto legittimatesi dall’esito locale.

Su tutto, però, grava quel 40, 50, 60% di deserto elettorale, un oceano sempre più profondo e incolmabile, necessaria premessa di ogni discorso politico. Concludendo, bisogna meditare sì ma cambiare un bel po’, ma cambiare veramente.