Il Calcio, si sa, nel nostro Paese è qualcosa di più di un semplice gioco. È ossessione, è epica, è malattia, di sicuro uno dei pochi fattori “unificanti” di una Nazione che fa della divisione un fatto genetico. Però, essendo così popolare, ossia danaroso, il pallone rotondo ha conosciuto nel corso della sua storia scandali e brutte storie, cittadino legittimo di quell’ampia zona grigia, più italiana della pizza, a cavallo tra ordine e caos, legale e illegale.
L’ultimo caso di “frontiera” riguarda l’ormai ex capitano del Palermo Calcio Fabrizio Miccoli. Il “Romario del Salento”, infatti, è stato pizzicato in un intercettazione telefonica a colloquio con Mauro Lauricella, figlio del boss del quartiere cittadino Kalsa, con il quale aveva preso in precedenza accordi per un “servizio” di recupero crediti e per questo finito sotto osservazione da parte delle forze dell’ordine. Il dato inquietante, quello che ha colpito l’opinione pubblica, è stata la definizione di fango rivolta a Giovanni Falcone, gaffe di pessimo gusto vista la recente partecipazione del calciatore alla partita del cuore per il ventennale della strage di Capaci.
Un brutto scivolone, a cui si aggiunge l’altra inchiesta giudiziaria che lo vedo implicato, connessa ad un giro di schede telefoniche contraffatte sempre in collaborazione con il fido Lauricella Junior.
Le relazioni pericolose di un calciatore con elementi della criminalità organizzata non sono però una novità per l’italico pallone. Negli anni ‘80, per esempio, voci di vicinanza tra l’ambiente del Napoli e importanti nomi della Camorra erano così consistenti da essere vere. Celebre, a tal proposito, fu una foto che ritraeva Maradona ospite di Carmine O’lione Giuliano, padrone del quartiere Forcella, in occasione dei festeggiamenti per il vittorioso scudetto ‘86. Altrettanto indicative furono alcune dichiarazioni del pentito Paolo Pugliese, rilasciate alla fine degli anni Novanta, dove si collegava il clamoroso crollo finale dei partenopei nel campionato 1987-’88 al nutrito giro di scommesse clandestine, organizzato appunto dalla famiglia Giuliano. Il Napoli infatti, dominatore della stagione e vicino alla vittoria finale, si fece rimontare nelle ultime giornate dal Milan, grazie ad una serie di prestazioni troppo assurde per non scatenare fin da subito ogni genere di pettegolezzi. Il “motivo” si trovò nell’impossibilità da parte dei Giuliano di pagare le consistenti puntate sul trionfo azzurro, tanto da costringere la squadra a un previdente sorpasso da parte dei rossoneri.
Più recentemente si possono segnalare le amicizie di moderni assi, come Ezequiel Lavezzi o Paolo Cannavaro, con figli e coetanei in odore di criminalità. Le ragioni sono le più disparate, dalla droga alla prostituzione, per arrivare ancora alle onnipresenti scommesse.
Eh sì, puntare denaro in modo più o meno lecito per e contro la propria squadra è un sistema nel sistema del Calcio italiano, capace ogni tanto di emergere all’attenzione pubblica. I due giganteschi scandali degli anni ‘80, quello dell’1980 e del 1986, ne sono una riprova: partiti entrambi da inchieste di altro genere, arrivarono a svelare una vera e propria realtà parallela, con partite aggiustate in campo o in spogliatoio, presidenti che scommettevano contro il proprio club, dirigenti che scambiavano favori “economici” per gli interessi più disparati, oltre che imbarazzanti implicazioni per buona parte dello sport più amato dagli italiani. Le sentenze della giustizia sportiva, in entrambi i casi, servirono in larga parte ad acquietare gli animi, scaricando tutta la responsabilità su singoli capri espiatori e lasciando alla fine tutto come prima.
Un epilogo simile a tanti altri “affari” pallonari: senza tirare in ballo Calciopoli e il terzo scandalo scommesse del 2011, si possono ricordare le derive nel doping o nel crack finanziario. Nel primo rientrano la celebre intervista di Zeman al settimanale “L’Espresso” nel ‘98, che testimoniava il sistema farmaceutico in uso alla Juventus di allora ma comune a tante altre squadre, mentre nel secondo si trovano i fallimenti del Palermo nel 1987, circondato da debiti e relazioni con ambienti non proprio limpidi, e quello della Fiorentina all’inizio del nuovo millennio, dove il patron Cecchi Gori cercò di passare come vittima di poteri a lui ostili. Anche in tali occasioni sentenze e reazioni degli ambienti istituzionali furono a dir poco blande, riprova di quel “show must go on” dominante in ambienti ricchi economicamente e con troppi interessi in ballo.
L’elenco potrebbe continuare all’infinito, non risparmiando nessuno. Tra scandali e scandaletti, nel fango reale del Dio pallone( citando un noto libro inchiesta di Carlo Petrini), le perle sono molteplici, tanto da far perdere quasi la speranza di un calcio realmente pulito, tralasciando rimandi nostalgici a tempi andati oltre all’incidenza sempre evidente della crisi del nostro Paese ,“comune” anche negli ambienti sportivi. Per cambiarlo davvero, forse, servirebbe però un’altra società, un’altra mentalità, un’altra Italia addirittura.