E’ giunta ormai l’estate. La banalità di questa affermazione nasconde intrinsecamente alcuni considerazioni più minuziose. L’estate è la stagione del gran caldo: le temperature si elevano, l’aria diviene umida e stagnante e gli uomini sono avvolti da un aurea di confusione ed apatia, che le rende spesso indifferenti agli avvenimenti che li circondano. Le passeggiate serali sostituiscono la lettura di un buon libro; un tuffo in acqua estromette dal proprio corpo la volontà di leggere il giornale, causa anche la leggera brina estiva che immancabilmente lo allontana dall’ombrellone; la siesta pomeridiana attenua le fatiche e gli ardori di chi ogni giorno è costretto a convivere con una realtà di precarietà lavorativa e sociale, recluso in una prigione di incertezze in cui anche l’ottimismo si arrende all’evidenza. Ma ineluttabilmente anche l’estate e la sua aurea consolatrice, presto lasceranno il passo all’autunno e alle sue giornate fredde da passare in casa, sotto i pallidi raggi dei televisori, accesi su di un imperituro telegiornale. Ed è a questo frangente che vuole volgere il mio pensiero, accompagnato da un’unica domanda: cosa accadrà nei prossimi mesi?
– Il decreto del “farematantononsimainientelostesso”. Opinabile la scelta del nome di questo decreto (decreto del “fare”); induce alla mente di chi ascolta la strana sensazione che prima allora non si sia fatto nulla. Temi stilistici a parte il governo Berlusconi-Letta crede di rilanciare, con l’introduzione di questo decreto, la stagnante economia di questo Paese. Chi auspicava un rilancio della politica industriale italiana, che (benchè si voglia far credere il contrario) rimane l’unico vero volano per l’economia di un paese industrializzato, ne rimarrà profondamente deluso. Leggendo il testo in questione si scopre, in realtà, come le misure presentate siano solo dai palliativi momentanei ed assolutamente superficiali. Consideriamone una tra le altre. Ad esempio è stata prevista la possibilità di prorogare e spalmare il debito delle imprese nei confronti di Equitalia; di fatto si passa dalla possibilità di spalmare il debito dai 72 mesi attuali fino ad una durata massima di 120 mesi. Più che un’attività di rilancio delle imprese sembra un tentativo di prolungarne l’agonia in attesa che qualcosa possa migliorare. In attesa di un miracolo insomma. Senza programmazione alcuna, ma con qualche preghiera in più.
– caso Ilva. La questione Ilva sembra in stand-by. Si aspettano con trepidante attesa le decisioni del commissario straordinario Bondi nominato il 4 giugno come previsto dal decreto legge ministeriale. La sua carica, però, sarà a termine: tre anni la durata massima pattuita. La nomina dell’ex commissario straordinario di Parmalat e Montedison, laureato in chimica, ha subito le forti critiche del governatore Vendola, che ha accusato il governo di servirsi, come figura di garante, di una figura già nominata nell’organigramma aziendale dalla famiglia Riva. Il compito di Bondi sarà quello di adempiere e portare a termine, tutti i dettami presenti nell’AIA. Le risorse necessarie, come si evince dal decreto-legislativo approvato con urgenza nel consiglio dei ministri del 4 giugno [1], sono da ricercarsi dalla somma precedentemente sequestrata dalla magistratura ai danni della famiglia Riva; somma che è stata successivamente svincolata, dunque pronta ad essere utilizzata. Va ricordato che la somma, valutabile in 8 milardi di euro, è teorica; essa è calcolata valorizzando i beni sequestrati (per lo più immobili) al valore di mercato; un plausibile deprezzamento è da mettere in conto qualora i beni fossero venduti al valore reale (considerando che sono beni sequestrati). La somma reale nelle mani del commissario Bondi sarebbe dunque di gran lunga inferiore. Ma “cosa accadrà ” all’Ilva? Dapprima Bondi si troverà di fronte alla necessità di ridurre la capacità produttiva dell’impianto (che nel 2008 ha prodotto circa 10 milioni di tonnellate) a 7 milioni di tonnellate. Dunque un 30% in meno rispetto al valore che dichiara Ilva sul suo sito (10,268 milioni di tonnellate tra Coils, tubi e lamiere [2] ). Ed i numeri potrebbero essere ancora più impietosi stando alle dichiarazioni del presidente dell’ Arpa Puglia Giorgio Assennato e di Legambiente; sostengono, infatti, che la piena sostenibilità ambientale dell’impresa si possa raggiungere solo riducendo ulteriormente la capacità produttiva totale degli impianti. In siderurgia c’è una regola d’oro (un ringraziamento va a chi me ne ha portato a conoscenza) che prevede che per ogni milione di capacità produttiva perduta, circa mille lavoratori sono considerati in esubero. Dunque dato che ormai è certo che ci sarà una riduzione delle potenzialità dell’impianto tarantino, presumibilmente circa 3000 lavoratori diretti ed indiretti rischiano il posto di lavoro. Ma “cosa accadrà” a questi lavoratori? Come potranno essere reinseriti nel tessuto lavorativo cittadino, se (come ormai noto) la capacità di creare lavoro nella provincia ionica è pressoché nulla? L’ipotesi di una riconversione al turismo della città, come panacea per tutti i mali occupazionali cittadini, naufraga miseramente nel mare di silenzio e mancate programmazione tipico dell’amministrazione cittadina. Confidare tutto nella campagna pubblicitaria “Questa è Taranto”, estemporanea e francamente inutile, assomiglia più ad un bluff pokeristico che ad un tentativo di serio e programmato rilancio.
Di queste problematiche dovranno occuparsene lo Stato italiano e l’amministrazione comunale. Ma con calma. L’aria è troppo torrida e l’acqua del mare è troppo invitante per dar fondo alle residue energie mentali e fisiche. Infondo in estate il Mondo girà più lento, perché rincorrere qualcosa che può esser svolta con calma nelle fredde giornate invernali.
Aspettiamo l’autunno e attendiamo…cosa accadrà.
[1] http://www.governo.it/Governo/ConsiglioMinistri/dettaglio.asp?d=71429