La sveglia suona come ogni giorno alle 7:15 è giovedì, ma oggi non è il solito giovedì: è il primo maggio; festa dei Lavoratori. E fin qui tutto normale, ma dall’anno scorso qui a Taranto c’è il Concerto organizzato dal Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti.
Anche quest’anno il vostro Amorevole Inviato viene spedito nel mezzo della bolgia per raccontare questo evento e le sue tante implicazioni. Cambiano i direttori di Siderlandia non cambia la follia, questo è certo.
Il tempo appena sveglio fa schifo. Ma c’è solo una persona che può svelarmi la verità, l’unica autorità che io ateo riconosco simile ad un dio: Paolo Sottocorona.
Il grande meteorologo di La7 alle ore 7:55 mi dice chiaro e tondo come stanno le cose: piogge residue almeno fino alle 12 e per il resto della giornata parzialmente soleggiato. Sommo Paolo io andrò al concerto nel tuo nome e deriderò tutti gli infedeli che presagiranno una giornata di grande pioggia.
Arrivo al parco archeologico, luogo del concerto alla buon ora; come l’anno scorso in apertura di manifestazione c’è un dibattito, il titolo è: “Sì ai diritti, no ai ricatti. Futuro? Ma quale Futuro?”, quest’anno il dibattito solletica l’interesse di molti. Tra gli invitati c’è Maurizio Landini, segretario FIOM; non proprio apprezzato dal Comitato.
Il vostro Amorevole Inviato pur sapendo dei rischi che potrebbe correre a questo dibattito non trema, è solo un po’ di me che se ne va. Anche gli altri invitati al dibattito non sono da meno: c’è Pino Aprile, giornalista autore del libro “Terroni”,Giorgio Cremaschi, ex segretario della FIOM, Giuseppe De Marzo, di Libera e Ugo Mattei, giurista, esperto di beni comuni e tra gli autori dei quesiti dei referendum per l’acqua bene comune. Davvero nulla da appuntare.
A Taranto quando viene organizzato un dibattito, siamo sempre gli stessi. È quasi una grande comitiva che si ritrova tutta e che condivide quel momento, dovremmo iniziare a portarci dietro il pallone. Il dibattito inizia, siamo tutti in circolo sotto la pineta a sinistra del palco, il tempo non promette nulla di buono. Ma ricordo la promessa di Sottocorona, ho fede.
Il dibattito è di ottimo livello, si parla di riappropriazione della politica da parte dei cittadini (Cremaschi) di “geometrie delle reti” (Aprile), di non difendere una Costituzione svuotata che difende il pareggio di bilancio (Mattei); interviene Landini a musi duro affermando di non voler la chiusura della fabbrica ma il suo ammodernamento, i mormorii di disapprovazione si fanno sentire, inizia a piovere. Molti si preoccupano, blasfemi senza fede, non sanno che su La7 il Profeta dell’alta pressione ha già sentenziato. Gli interventi vanno concludendosi, e qualcuno da sfogo alla propria rabbia contro Landini, come vostro Amorevole Inviato non mi tiro indietro e mi ritrovo in mezzo alla piccola baraonda che scoppia e si spegne in pochissimo tempo, la sintesi politica del dibattito la fa la mia amica Mariagrazia di fianco a me: “Oh Riondino è proprio bono”.
Va spiovendo, ma io non avevo dubitato neanche per un po’ del Maestro.
La pioggia ci regala il fango, sembra di essere a Woodstock ma senza ragazze nude che ballano felici, questo mi rattrista.
Al parco arriva una marea di gente quanta non ne ho mai vista se si esclude quella volta in quella certa stanza…con quella certa gente…un giorno vi racconterò questa storia; quello che davvero conta è il delirio che si respira nell’aria, tutti camminano nel fango, pochi si lamentano, tutti ci sguazzano da una parte all’altra.
Alle 15 in punto sale sul palco Caparezza. È il delirio, lui è la band si presentano vestiti da piante e la gente apprezza. Dopo i primi due pezzi Caparezza si accorge che quest’anno gli organizzatori hanno osato non inserire pizzica nel cartellone del concerto, quindi provvede con la sua celeberrima “Vieni a ballare in Puglia”. Tutti ballano e qualche giovanotto/a esce fuori impunemente il tamburello. Sono sconvolto.
Ma ben di peggio avviene poco dopo: ascolto due tizi vicino a me, riconosco subito l’accento barese, poi ascolto altri ragazzi e hanno tutti quell’accento. CRISTO SONO CIRCONDATO DA BARESI! Il vostro Amorevole Inviato è circondato da giovinastri che ingollano birra Raffo e che affermano menzogne del tipo: “Ma come fate a dire che questa è la birra di Taranto se non la fanno più qui da anni?”, disgustato da tanta menzogna decido di spostarmi.
Dopo Caparezza è il momento degli artisti emergenti, alcuni hanno già un disco alle spalle. Mi sposto alla destra del palco, vicino allo stand dei panini in posizione strategica, per ascoltarli quasi tutti.
Un ottima impressione mi fa Non Giovanni da Grottaglie, col suo cantautorato libero dalle menate del passato, da Grottaglie vengono anche i Don’t Ask Me, indie rock in italiano, molto maturati rispetto al passato, qualcosa sta succedendo da quelle parti. Molto forti anche i romani Rubbish Factory, pur utilizzando una formula strausata (chitarra e batteria), sprigionano grande potenza sul palco. E niente male anche gli Stip Ca Groove, baresi con una convincente commistione di funk e rap. Salgono sul palco anche gli Apres La Class, che ricordo in un concerto dove non mi erano piaciuti, ma oggi sul palco sono più aggressivi e convincenti; una delle loro canzoni ha come ritornello “Lu sule, lu mare lu ientu” che ormai da queste parti è diventato l’equivalente della rima cuore-amore.
In cerca di un bagno (lo troverò nel confortevole prato non tagliato ai margini del campo), mi ritrovo tra i rastamanni che suonano i bonghi senza sosta. La diatriba se questo sia il vero concerto del primo maggio rispetto al concertone romano trova quindi una risposta: sono la stessa cosa.
I fumi dell’Ilva hanno distorto lo spazio e il tempo, quello che succede a Roma succede anche qui. Per cui i rastamanni coi bonghi ci dimostrano che la diatriba tra le due manifestazioni è campata in aria.
Arriva la sera ed è il momento dei big. Arriva sul palco Fiorella Mannoia, ormai la pasionaria di questo concerto. Già l’anno scorso ne era stata tra le più grandi sostenitrici. Insieme al mio amico Fabio ci andiamo a prendere un panino, lo so, rovina la poesia, ma praticamente fa lo stesso set dell’anno scorso. Però il pubblico apprezza, cantano tutti e la seguono. Ovviamente anche quest’anno fa “Quello che le donne non dicono”, già l’anno scorso avevo spiegato cosa comporta questa canzone: orde di donne che cantano il pezzo abbracciandosi ed ondeggiando rigorosamente ad occhi chiusi. Ma oggi questo fenomeno dilaga: anche gli uomini partecipano al rito. Sopratutto coppie che si ritrovano a condividere questo momento. Malelingue al soldo delle multinazionali dei prodotti dimagranti affermano di aver visto in quel momento il vostro Amorevole Inviato solo e con una lacrima che scavava il suo volto, falsità ovviamente.
Tra applausi scroscianti la Mannoia lascia il palco. Un rapido cambio e viene annunciato Vinicio Capossela.
Il boato di una piazza piena oltre ogni comprensione lo accoglie. Lui in camicia rossa cravatta e con quel berretto alla Corto Maltese arriva sul palco con la Banda della Posta e la loro musica per sposalizi. In quel momento il concerto del 1 maggio diventa un incrocio tra la Festa dell’Unità (r.i.p.) e una qualsiasi festa patronale meridionale; distese di bucce di lupini compaiono ovunque al posto del fango e dal nulla compaiono le giostre con il calcioinculo in primo piano. Per venti minuti Capossela fa ballare tutti con brani della tradizione popolare, compreso l’Inno dei Lavoratori, un saluto sincero a pugno chiuso compagno.
Neanche fai in tempo a divertirti che ti ritrovi di nuovo il reggae tra i piedi. Sale sul palco prima Fido Guido e poi i Sud Sound System.
Il vostro Amorevole Corrispondente è stato un grande amante della band salentina, gli ho visti nei concerti più assurdi davanti ad un pubblico enorme e davanti a quattro ubriachi, gli ho visti centinaia di volte. Adesso basta. Così con altri illuminati usciamo fuori dal concerto per staccare un po’ la spina. In qualità di vostro Amorevole Inviato però non posso fare a meno di vedere dalla strada la marea di gente che balla nonostante il fango e le tante ore del concerto.
Ritorno nella bolgia solo per beccare Mama Marjas insieme ai 99 Posse. Fanno un set con i pezzi più famosi della band napoletana e malgrado gli anni e i problemi con la droga spaccano di brutto.
A questo punto e quasi l’una e il concerto non è ancora finito. L’anno scorso era finito per mezzanotte. Ma ci sono le due band che aspetto di più: Tre Allegri Ragazzi Morti e Afterhours.
Molti se ne sono andati, ma in qualità di vostro Amorevole Inviato non mollo la mia postazione nel fango.
Più mascherati che mai salgono sul palco i TARM. Una lunga catena di sfighe tipiche di un uomo di sinistra mi aveva impedito di vederli tante volte. È l’una passata e la band ha poco tempo per esibirsi, il loro set è essenziale e senza fronzoli.
Quando sono ormai le 2:30, i presentatori salgono sul palco senza voce. Gran parte del pubblico se ne è andato via, restiamo in pochi felicemente impantanati nel fango. Sappiamo tutti chi chiuderà il concerto, con un filo di voce vengono annunciati gli Afterhours.
Di Manuel Agnelli si dice che sia uno stronzo. Magari è vero. Però per me si è conquistato il diritto di esserlo, per tutte le gemme che ha scritto, lo so, parlo come una sciacquetta qualsiasi, ma ho ragione.
Salgono sul palco e anche se il pubblico è stanco per le tante ore in piedi si rianima. Il vostro Amorevole Inviato appena sente il primo ululato della chitarra, beh come dire…, vengo. Per la mezzora successiva Agnelli e Co. bastonano per bene tutto il pubblico suonando al massimo del volume possibile, tutti i palazzi nelle vicinanze non credo che avranno una buona notte, a noi va di lusso.
Dopo l’ultimo ululato degli Afterhours è il momento di andarcene.
Come vostro Amorevole Inviato non sono interessato alla diatriba su quale sia stato il vero concerto del primo maggio, dovremmo preoccuparci invece dell’eccessiva presenza di baresi a Taranto.
Un fiume di persone torna verso le proprie case, siamo tutti sporchi di fango, ci fanno male i piedi, qualcuno è sbronzo perso. Siamo stanchi e soddisfatti, così dovrebbe terminare sempre la festa dei lavoratori.
Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo
Thee Oh Sees, Drop, 2014;
Chain & The Gang, Minimum Rock and Roll, 2014