Qualche settimana fa il MIUR ha siglato un accordo con il colosso del fast food “McDonald’s” nell’ambito della c.d. “alternanza scuola-lavoro” (istituita con la legge 107/2015, meglio conosciuta come “Buona Scuola”). Si tratta di un percorso formativo (concordato con la Scuola) all’interno di un’azienda della durata di 200 ore per i licei, 400 per gli istituti tecnici.
Questa notizia ha riacceso il dibattito su questo tema: da un lato, viene vista come una misura necessaria per evitare la dispersione scolastica ed aumentare l’occupazione; dall’altro, c’è il timore che le aziende possano sfruttare la cosa solo per avere manodopera a costo zero (a cosa serve assumere personale se c’è un ricambio di tirocinanti?).
Per capire come funziona l’alternanza scuola-lavoro voluta dal Ministro Giannini, basta leggere la guida operativa pubblicata sul sito del MIUR: l’obiettivo è quello di fornire una formazione “pratica” coerente col percorso di studi degli studenti.
Vengono create delle apposite convenzioni tra scuola-azienda, nelle quali sono descritte le condizioni dell’alternanza scuola-lavoro: attività da svolgere, norme e le regole da osservare, gli obblighi assicurativi ecc. Ogni studente fa riferimento a due tutor: quello interno (un docente della scuola) e uno esterno (scelto all’interno dell’azienda); in linea di massima, il primo si occupa di delineare il percorso dello studente, monitorare l’andamento del tirocinio ed informarne gli organi competenti (il consiglio di classe, o il comitato scientifico). Il secondo affianca lo studente nelle attività all’interno dell’azienda (che può essere svolta anche durante la sospensione delle attività didattiche).
Alla fine dell’esperienza in azienda c’è una valutazione e il conseguente rilascio di una certificazione (è necessaria la frequenza di almeno tre quarti del monte ore previsto dal progetto) che viene indicata nel curriculum dello studente (inserito nel “Portale Unico della Scuola”[1]).
L’alternanza scuola-lavoro ha valore ai fini della valutazione dello studente durante lo scrutinio finale che dà accesso all’esame di Stato e, quindi, anche sull’attribuzione dei crediti scolastici.
I sostenitori dell’alternanza scuola-lavoro affermano che nel resto d’Europa questa è presente da decenni e che le aziende spesso assumono i ragazzi che hanno svolto il tirocinio, come ad esempio in Germania. Purtroppo però non si tiene conto del fatto che la Germania ha un sistema scolastico completamente diverso dal nostro e soprattutto non ha i nostri problemi legati al mercato del lavoro.
Innanzitutto va detto che Italia e Germania hanno due concezioni diverse di scuola: per noi è il mezzo principale per diffondere la cultura, acquisire gli strumenti per capire il mondo che ci circonda e prendere decisioni. In Germania la scuola è concepita quasi esclusivamente per formare ragazzi in un determinato lavoro.
Questa differenza si nota già confrontando le tipologie di scuole ed i relativi titoli rilasciati.
Noi abbiamo istituti tecnici o licei, che formalmente rilasciano un titolo di studio abbastanza simile (tutte le tipologie di diploma danno accesso all’università). In Germania invece ci sono tre tipi di scuole: Hauptschule – Realschule – Gymnasium (equivalenti alle nostre scuole superiori) molto diverse tra loro: le prime due sono concepite esclusivamente per una formazione professionale in un dato settore, mentre l’ultima è l’unica che fornisce un bagaglio culturale teorico più approfondito e che consente l’accesso a qualsiasi università dopo il diploma.
La Hauptschule è una tipologia di scuola che fornisce la qualifica di “operaio specializzato”, “lavorante artigiano” oppure “assistente commerciale”. In tutto dura cinque anni: dopo i primi due (in età di 14/15 anni) si consegue una qualifica che dà accesso ai tre anni dedicati all’apprendistato (la frequenza a scuola è di due giorni a settimana, mentre i restanti giorni si lavora in azienda e vi è anche una piccola retribuzione).
La Realschule dura sei anni e, rispetto alla prima, fornisce una formazione teorica più articolata; dopo il diploma (in età di 15/16 anni) si accede alla Fachoberschule, una scuola professionale a tempo pieno della durata di due anni (ce ne sono diversi tipi, ognuna specializzata in un settore, ad es: tecnologia, economia e dell’amministrazione, scienze dell’alimentazione, scienze sociali ecc..). Anche qui gli studenti alternano ore in aule ed ore in azienda (il primo anno si lavora 4 giorni a settimana, il secondo è dedicato principalmente alle lezioni teoriche); alla fine del biennio gli studenti ottengono il certificato “Fachhochschulreife” che li qualifica per l’accesso alla “Fachhochschule” (Istituto universitario che offre un insegnamento orientato all’applicazione pratica, in particolare nei settori dell’ingegneria, dell’impresa, dell’amministrazione, dei servizi sociali e della moda).
Il Gymnasium dura otto/nove anni (a seconda dei Land); equivale ai nostri licei, il diploma da accesso a qualsiasi facoltà universitaria.[2]
La differenza è evidente: in Germania i neodiplomati hanno alle spalle un’esperienza lavorativa considerevole, che permette loro di acquisire una qualifica spendibile immediatamente nel mondo del lavoro (magari proprio all’interno delle aziende dove hanno svolto l’apprendistato); in Italia invece abbiamo imposto dei tirocini che non sempre hanno un senso: che tirocinio possono svolgere ad esempio gli studenti di un liceo classico? Difficile trovare delle aziende/enti dove poter applicare le conoscenze di letteratura latina o greca, ma le 200 ore di alternanza scuola-lavoro sono obbligatorie, e quindi escono fuori tirocini fantasiosi in raffinerie, come è successo a Cagliari, oppure corsi di psicologia per gli studenti del liceo scientifico.
Viene poi da chiedersi quale valore aggiunto possa dare l’alternanza scuola-lavoro dentro un ristorante McDonald’s dove gli studenti, citando le dichiarazioni dell’azienda, svolgeranno “attività di accoglienza e relazione con il pubblico”… Cioè? Accompagneranno le persone al tavolo? Aiuteranno nella decisione del piatto da ordinare? Cercheranno di calmare un cliente arrabbiato per un hamburger poco cotto o la mancanza di ketchup e patatine? Per questo tipo di lavoro esiste già una scuola apposita, l’istituto alberghiero, dove si impara a lavorare in un ristorante attraverso stage (retribuiti) in importanti catene di alberghi/ristoranti dove sicuramente si apprende davvero un mestiere.
I tirocini possono avere un senso dove c’è davvero un collegamento tra scuola ed azienda: se, per esempio, voglio diventare un perito elettrotecnico e svolgo l’alternanza scuola-lavoro all’interno di un’azienda che si occupa di impianti elettrici industriali, allora sicuramente posso imparare qualcosa di utile. Ma, come detto prima, noi non siamo la Germania: la maggior parte degli imprenditori italiani per assumere chiede determinate qualifiche (derivanti da corsi di formazione post diploma/post laurea) oppure esperienza pregressa; da noi non c’è quella mentalità secondo la quale un’azienda decide di formare una persona pensando che, in futuro, quella stessa persona lavorerà seguendo i principi e le metodologie dell’azienda, portando quindi un valore aggiunto.
In Italia le aziende non hanno voglia di insegnare, perché credono che quello sia un compito esclusivamente spettante alla scuola, quindi cosa succede se si hanno a disposizione ragazzi gratis da poter utilizzare come si vuole? Semplice: li si utilizza per attività noiose, magari nemmeno attinenti a ciò che studiano. Queste non sono mere supposizioni: basta considerare quello che accade con i tirocini di Garanzia Giovani: persone che lavorano sei mesi (a spese delle Regioni) all’interno di aziende che nella maggior parte dei casi non li assumono e soprattutto non li formano sul serio.
Quindi, in sintesi, in Germania i ragazzi svolgono un vero e proprio apprendistato (anche retribuito) durante il periodo scolastico che permette di imparare un mestiere. In Italia invece abbiamo un’alternanza scuola-lavoro gratuita che non insegna quasi nulla – tant’è che, dopo il diploma, ci si troverà comunque a dover fare corsi, stage semi-gratuiti, lavorare un periodo a nero per poi riuscire a trovare un impiego pagato con i voucher.
Non dico che è sbagliato far conoscere il lavoro agli studenti delle scuole superiori; il problema è che qui parliamo di un’alternanza scuola-lavoro che, per come è strutturata, non può garantire un’esperienza davvero formativa. Un sistema del genere può funzionare solo quando, da un lato, c’è una scuola che crea dei percorsi formativi in azienda coerenti con il piano di studi degli studenti e, dall’altro, ci sono imprese che hanno voglia di insegnare (e non sfruttare). Sono condizioni che il Ministro dell’Istruzione non può garantire; questo tipo di alternanza scuola-lavoro può insegnare solo una cosa: lo sfruttamento legalizzato all’interno di un’azienda (giusto per far capire subito ai ragazzi cosa c’è dopo la scuola).
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[1] È un portale dove vengono pubblicati tutti i dati relativi al sistema di istruzione: bilanci delle scuole, Anagrafe dell’edilizia, Piani dell’offerta formativa, dati dell’Osservatorio tecnologico, Cv degli insegnanti, incarichi di docenza ed anche i Cv degli studenti (da dove si possono consultare informazioni come il percorso degli studi, le competenze acquisite, eventuali scelte degli insegnamenti opzionali, esperienze formative in alternanza scuola-lavoro)
[2] Portale Ufficio scolastico Regionale per L’Emilia – Romagna http://istruzioneer.it/ – PDF
Portale Eurydice Italia http://eurydice.indire.it/ – PDF