“Misuratore del mare, e della terra, e delle innumerevoli arene; ed uomo che sulle celesti sfere ardito avea di sollevarsi ed aggirarsi” (Orazio)
“Virum magnum in primis et praeclarum” (Cicerone)
L’avvento della democrazia a Taranto portò una serie di sconvolgimenti sia dal punto di vista politico e sociale, sia dal punto di vista topografico. Per tutta la polis ci furono opere di restauro e costruzioni che modificarono nettamente la planimetria della città. I tarantini costruirono nell’area orientale una grande cinta muraria che andava da Punta Pizzone a Chiapparo, tenendo al di fuori l’area paludosa della Salina, ma inglobando all’interno del territorio cittadino la grandissima necropoli, un fatto eccezionale nella storia della topografia greca, in quanto nessuna delle poleis aveva l’area sepolcrale all’interno delle mura. L’assorbimento della necropoli nell’area urbana fu spiegata in antichità attraverso la predizione di un oracolo secondo cui i tarantini sarebbero stati invincibili se avessero abitato con i “più”, interpretandolo come coabitazione della cittadinanza con i defunti. In realtà, la motivazione più probabile per la quale la cinta muraria chiuse la necropoli dentro la città fa riferimento a motivi difensivi: lasciando al di fuori la palude della Salina e posizionando difese pesanti sulle porte di accesso si poteva evitare la probabilità di un assedio prolungato.
Dal punto di vista politico si andò a formare una classe dirigente indirizzata maggiormente verso la creazione di un ceto cittadino unitario; di conseguenza, la ricchezza venne distribuita equamente tra la popolazione: attraverso le leggi sontuarie si impedì qualsiasi forma di ostentazione della propria ricchezza. Tale decisione provocò diverse conseguenze, fra cui la sparizione delle grandi tombe a camera, sostituite da più banali tombe a fossa con un corredo molto povero, e l’emigrazione di artigiani ceramisti o orefici verso altre colonie elleniche o nell’area indigena. Per quanto riguarda la politica estera, fallito l’allargamento in Iapigia, le attenzioni tarantine si portarono verso la “Megale Hellas”, della quale la città non veniva inizialmente considerata facente parte. Le fonti antiche riportarono Taranto come parte della Magna Grecia, e quindi dell’Italia, solo nell’ultimo trentennio del V secolo a.C., quando le mire espansionistiche della città ionica si allargarono nell’area della siritide, per la quale si ebbe lo scontro armato contro la città di Turi e la fondazione di Eraclea (l’attuale Policoro) da parte dei tarantini.
Un evento fondamentale per l’ascesa di Taranto fu l’avvento del pitagorismo, già diffusosi nelle città di Eraclea e a Metaponto, dopo essere stato bandito da Crotone. Nelle due colonie elleniche della Basilicata operarono due esponenti del pitagorismo, Filolao ed Eurito, che ebbero numerosi allievi nelle loro schiere, ma uno solo fu di importanza storica, non solo per la Magna Grecia e Taranto, ma anche nei secoli seguenti. Egli si chiamava Archita.
Eletto stratego per sette volte, Archita fu per molti versi l’uomo che attuò una politica che cambiò per sempre il volto della Magna Grecia, portando Taranto a diventarne la città più importante; al suo insegnamento fecero riferimento molti esponenti della cultura e politica romana, tra cui lo stesso Cicerone. Oltre alla politica, il pitagorico tarantino si dilettava anche in altre attività: la musica (scrisse un’opera sugli strumenti musicali), e la geometria (risolse il problema della duplicazione del cubo utilizzando strumenti meccanici). La figuradi Archita, però, è diventata leggenda soprattutto per la sua opera di legislatore: fu sostenitore del cosiddetto logismos (calcolo ragionato), del quale scriveva «Il calcolo ragionato (logismos), una volta scoperto, mette fine allo stato di stasis (guerra civile) e conduce all’homonimia (l’uguaglianza tra gli uomini); con ciò, infatti, non c’è più pleonexia (brama di potere) e si realizza l’isotes (uguaglianza); per suo mezzo si effettua il commercio in materia di scambio contrattuale; grazie a ciò, i poveri ricevono dai potenti e i ricchi danno a quelli che hanno bisogno, avendo gli uni e gli altri la pistis (fede) di conseguire per questa via l’isotes». In pratica, il logismos non era altro che una regolamentazione dei contratti fra ricchi e poveri, secondo la quale i primi non dovevano guadagnare troppo ai danni dei poveri, ma allo stesso tempo si ponevano al riparo da possibili atti criminosi. In poche parole, Archita voleva risolvere i problemi socio-economici di Taranto incrementando lo strumento del prestito e della circolazione della moneta. Alla base della politica di Archita vigeva dunque una delle regole più importanti del pitagorismo, l’armonia. In sostanza, la società doveva essere governata promuovendo la pace fra le varie parti che la componevano, evitando che queste entrassero in conflitto tra loro. Altra legge interna fu quella per lo sviluppo dell’agricoltura, attuando nuove forme di coltivazioni.
Nella politica estera egli si impegnò per aumentare l’influenza di Taranto negli eventi magnogreci. Relazioni amichevoli furono strette con il tiranno di Siracusa, Dionigi II, con il quale portò avanti una politica di difesa contro l’avanzata dei popoli italici che premevano ai confini delle colonie greche. L’influenza di Archita sul despota siracusano emerge dalla richiesta (soddisfatta) di liberare il suo amico: il grande filosofo Platone. Lo stratego tarantino inoltre fu promotore della ripresa del dialogo con i popoli italici: si ricorda un incontro con i Sanniti. Il successo della politica di Archita portò Taranto ad avere il controllo, insieme alla potente Siracusa, della Lega Italiota, l’alleanza delle colonie elleniche, della quale fu nominato autocrator. In seguito, con la caduta del regime di Dionigi II, la potenza di Siracusa declinò, lasciando la responsabilità della difesa delle poleis magnogreche interamente nelle mani di Taranto.
Molto probabilmente Archita non vide mai la definitiva consacrazione di Taranto come potenza guida della Magna Grecia, dal momento che morì in un naufragio nei pressi del promontorio di Matino, nel Gargano, durante un’azione di supporto ai siracusani nell’area adriatica. L’immagine dello stratego divenne leggendaria; la stessa politica romana ne assorbì gli insegnamenti, cancellati soltanto dall’avvento degli imperatori. Con Archita, Taranto raggiunse l’apice della propria potenza; in seguito si verificò un periodo di decadenza morale e politica che portò la cittadinanza a fare affidamento su condottieri stranieri per difendersi dall’avanzata di Roma che diventava giorno dopo giorno sempre più pericolosa per l’indipendenza tarantina.
BIBLIOGRAFIA
Taranto e il Mediterraneo, in ATTI DEI CONVEGNI DI STUDIO SULLA MAGNA GRECIA, XLI, ISAMG Taranto, 2002.
Alessandro il Molosso e i “condottieri” in Magna Grecia, ATTI DEI CONVEGNI DI STUDIO SULLA MAGNA GRECIA, XLIII, ISAMG Taranto, 2004.