Ogni corso di laurea per essere attivato ha bisogno dei docenti “garanti” che variano in funzione degli immatricolati; viene inoltre richiesto un numero preciso di docenti per ogni categoria (es. professori, ricercatori ecc..): questi criteri vennero inaspriti dal Decreto Ministeriale 47/2013 dell’ex Ministro Profumo e poi leggermente modificati dall’ex Ministro Carrozza (senza novità significative). Considerando che, rispetto alla normativa precedente al D.M. 47/2013, viene chiesto un numero maggiore di garanti, e che le Università non possono assumerne di nuovi a causa del blocco del turn-over (vanno in pensione più docenti rispetto a quelli assunti), molti corsi vengono chiusi.
Proprio per la mancanza dei requisiti imposti dalla normativa sull’accreditamento dei corsi di laurea il Corso di Beni Culturali di Taranto potrebbe non essere attivato il prossimo anno, dal momento che alcuni dei docenti garanti sono andati in pensione e non possono essere sostituiti. Il problema non è solo tarantino: il SATA (Dipartimento in Scienze dell’Antichità e del Tardoantico, al quale afferisce il corso di Beni Culturali di Taranto) è in difficoltà anche sulla gestione del corso di Beni Culturali di Bari; a questo proposito si sta pensando di unire i dipartimenti di Filosofia, Letteratura, Storia e Scienze Sociali (FLESS) ed il SATA per non avere problemi sulla questione dei docenti garanti dei corsi e quindi essere obbligati a disattivarne altri.
Ovviamente, dopo la diffusione della notizia è aumentata la preoccupazione tra gli studenti, perché di difficoltà del corso si parla da anni, ma questa volta le probabilità di chiusura sono alte. Alcuni studenti hanno anche creato una pagina FB ed un sito internet dove rivendicano il loro diritto ad avere un corso di laurea in Beni Culturali in una città come Taranto che, come sappiamo, è sostanzialmente un sito archeologico a cielo aperto; sarebbe quindi un controsenso chiudere un corso che forma le generazioni future in questo ambito; è stata anche presentata una lettera al Sindaco per chiedere l’intervento delle istituzioni.
Come detto in altre occasioni, attraverso la formazione universitaria i giovani di questa città possono acquisire quelle competenze che servono per valorizzare tutto ciò che c’è di buono nel nostro territorio, e che può contribuire alla creazione di un futuro diverso, che non sia basato sulla monocultura dell’acciaio. Si parla spesso di turismo legato alla cultura: il problema è che proprio quella “cultura” sempre menzionata non viene mai valorizzata (basti pensare ai numerosi siti archeologici in città chiusi al pubblico, a volte accessibili solo grazie ad alcune associazioni). Né tanto meno viene fornita una formazione idonea: infatti la possibile chiusura di Beni Culturali sarebbe l’epilogo negativo di una vicenda spinosa, quella di un corso mal organizzato e sul quale probabilmente non si è mai deciso di investire seriamente.
Ho ascoltato vari pareri di studenti che attualmente studiano Beni Culturali a Taranto ed altri che ormai si sono laureati, e devo dire che l’opinione generale non è del tutto positiva. Se, da un lato, si riscontra la completa disponibilità di alcuni docenti per il mantenimento del corso (nonostante a quanto pare non vengano pagate le trasferte per le lezioni a Taranto) e la voglia di portare a compimento un progetto per una formazione di qualità, dall’altro vanno segnalati numerosi problemi mai risolti che purtroppo si ripercuotono sulla formazione degli studenti.
Primo fra tutti, è la disorganizzazione: alcuni corsi non partono nel semestre di riferimento e slittano a quello successivo, mettendo in difficoltà gli studenti, che ovviamente non riescono a sostenere tutti gli esami previsti perché, a conti fatti, si ritrovano con meno appelli rispetto agli esami da sostenere, e quindi vanno “fuori corso”. Ci sono poi i corsi di esami a scelta che non vengono proprio organizzati, e quindi lo studente è costretto a “scegliere” l’esame che si tiene a Taranto, a meno che non decida di sostenere quel particolare esame a Bari (accollandosi tutti i costi del caso per seguire le lezioni in Ateneo).
Dal punto di vista didattico invece alcuni studenti hanno lamentato la presenza di un piano di studi povero di materie prettamente archeologiche, che peggiora di anno in anno: alcune materie fondamentali del corso prima obbligatorie ora sono a scelta. Quindi, ad esempio, se prima per laurearsi era necessario studiare la Storia greca e quella romana, adesso si sceglie solo una delle due. Va sottolineato poi che si tratta di una formazione solo teorica, a causa della mancanza dei laboratori necessari (attualmente a Taranto c’è solo quello di Archeologia subacquea) e soprattutto di un vero e proprio scavo universitario. In altri Atenei infatti nel piano di studi vengono inserite delle ore di scavo obbligatorie senza le quali non ci si può laureare, mentre gli studenti tarantini per poter lavorare su uno scavo archeologico hanno come unica possibilità i bandi pubblicati dall’UNIBA, per i quali vi sono richieste superiori ai posti disponibili, quindi molti ne rimangono inevitabilmente fuori. Gli studenti potrebbero anche partecipare ai bandi di altri Atenei, ma in quel caso difficilmente vengono riconosciuti i CFU di laboratori svolti su quei determinati scavi, e quindi per colmare la parte del piano di studi relativa alle attività a scelta non resta che sostenere altri esami o partecipare a convegni di formazione, questi ultimi tra l’altro a Taranto non vengono mai organizzati (mentre a Bari ce ne sono molti ogni anno). Ricapitolando quindi a Taranto ci si può laureare in Beni Culturali senza aver mai partecipato ad uno scavo archeologico, ad un laboratorio di restauro o un convegno di formazione, perché tanto la parte del piano di studi relativa alle attività a scelta viene colmata solo con esami. Se poi ci si vuole specializzare nell’ambito archeologico non resta che trasferirsi in un’altra città per conseguire la laurea specialistica e frequentare la scuola di specializzazione (entrambe necessarie per diventare archeologi a tutti gli effetti), però a quel punto viene da chiedersi chi tornerebbe a Taranto considerando che in questo campo le possibilità lavorative sono minime rispetto ad altre città, dove c’è più sinergia tra Università ed Enti Locali.
I problemi del Corso di Beni Culturali sono molteplici: sicuramente derivano soprattutto dalla Riforma Gelmini, i decreti successivi ed i tagli all’Istruzione, ma alla base c’è anche una cattiva gestione da parte dell’Università e degli Enti Locali. Negli anni passati non si è mai creata una collaborazione ad esempio con la Soprintendenza Archeologica per l’impiego degli studenti universitari sui siti archeologici, oppure per la creazione di laboratori. Si parlava spesso della mancanza di spazi, ma dal trasferimento del Corso di Beni Culturali nella struttura universitaria di Città Vecchia è stato creato un solo laboratorio, in una struttura dove ci sono ancora spazi in disuso che aumenteranno considerando che alcune aule rimarranno vuote a causa della disattivazione del corso si Scienze della Comunicazione e dell’Animazione Socio Culturale. E che dire della biblioteca per gli studenti di Beni Culturali che l’Università di Bari avrebbe dovuto creare all’interno di Palazzo Delli Ponti, concesso in gestione proprio per questo fine? Mai realizzata, ma oltre il danno, la beffa: Palazzo Delli Ponti è stato abbandonato e vandalizzato. A completare questo quadro c’è anche l’incompetenza del Comune di Taranto che, sul fronte universitario, risulta abbastanza impreparato: si cambia assessore all’Istruzione ogni sei mesi (quelle volte in cui viene nominato), non viene creato un dialogo con l’Università, non si vigila su come vengono spesi i soldi erogati dal Comune, manca proprio un progetto di città universitaria senza il quale non si possono imporre delle condizioni. Il Comune si limita a stanziare fondi e mettere a disposizione strutture restaurate a proprie spese, in questo modo la disorganizzazione dei corsi e l’impoverimento dell’offerta formativa non verranno mai contrastati.
Il Ministro Giannini, attraverso il D.M. 194/2015, ha disposto che fino all’a.a. 2017/2018 nel conteggio dei “garanti” potranno essere tenuti in considerazione i docenti con contratto a termine (prima non era previsto). Con questa nuova disposizione, se venissero trovati docenti a contratto disposti a fare da garanti, il corso di Beni Culturali potrebbe essere salvato in extremis.
Arrivati a questo punto però va fatta un riflessione importante non solo su questa particolare situazione ma su tutti i corsi di laurea del Polo Jonico: vale la pena tenere in piedi un corso che non fornisce una formazione adeguata? La risposta è no. La dobbiamo smettere di limitarci a salvare il salvabile, non dobbiamo avere un corso di laurea solo per fare numero, altrimenti diventa una presa in giro per lo studente ma anche per le famiglie che pagano le tasse. Dobbiamo salvare l’offerta formativa di Taranto ma soprattutto avere un progetto, pretendere che venga garantita una didattica di qualità, altrimenti oltre a fare del male agli studenti di questa città ci neghiamo la possibilità di diventare una vera e propria città universitaria.