Ultima parte della satira gialla. Dopo questa, mi prendo una pausa, ma tornerò!
Per ore, Lopippo rimase fermo, davanti al computer, con Spada e Tanzi che vigilavano su di lui. L’informatico faceva scorrere uno dopo l’altro i selfie condivisi sui social con hashtag #NotteDiTempestaTA. Erano migliaia. Con un rapido calcolo, Merli dedusse che per ogni intervenuto al concerto c’erano almeno venti selfie. L’idea era stata sua; non era la prima volta che usava i social per delle indagini. Alla gente piace auto-schedarsi: ormai è un fatto.
«Modò, ispettò» si lagnò Lopippo «e so’ tre ore che sto qua a vedere foto.»
Merli gli prese la testa e gliela spinse verso lo schermo. «Sta’ zitto e guarda.»
Ancora nulla. Poi Lopippo si rizzò sulla sedia come un gatto e gridò «Chiste so’!»
Il selfie di quattro ragazzi – tre maschi e una femmina – che facevano le smorfie in camera, il palcoscenico sullo sfondo. Due ragazzi sbaciucchiavano le guance dell’unica donna, uno a destra e l’altro a sinistra, mentre un altro passava la sua lingua tra indice e medio aperte a V.
«I tre ragazzi sono quelli che si sono incazzati col barese. La ragazza non lo so chi è.»
«Sei sicuro che siano loro, Lopippo? Non è che mi vuoi fregare?»
«Io a voi, ispettò? Ma che dite?»
Merli lo fece portare via da Spada, e poi disse a Tanzi di chiamare l’antisofisticazione. «Quel coglioncione non deve poter aprire più neanche un vespasiano. Ora disponiamo tutto per andare a prelevare quei bei signorini.»
«Li hai riconosciuti, dottò?» domandò Tanzi.
«Quello che fa finta di leccare la fica… è il figlio di Pasquale Baudaffi, il costruttore.»
«Azz’»
«Proprio così, Tanzi. Proprio così…»
Merli fece comprare due cassette di Raffo e le svuotò sul pavimento, sulla scrivania e sulla sedia nella stanza degli interrogatori. Betti, che aveva assistito, gli chiese cosa stesse combinando. Lui disse: «La puzza li aiuterà a sciogliersi. Avranno la nausea, non vorranno mai più vedere una birra.»
Betti stringeva un fazzoletto sul naso. «Eh, ma così nemmeno noi, dottò.»
Tornò Tanzi col primo invitato: Mirko Baudaffi, 17 anni, frequentante il quarto anno al classico, voti medi. Capelli lisci, riga al centro, viso pulito, basettoni, occhiali fosforescenti da segretaria porca e qualche brufolo. Entrò che guardava Merli come se volesse sbranarlo, ma trasformò la sua espressione da vendicatore in una smorfia di bambino schizzinoso. Merli gli fece segno di mettersi a sedere, ma lui esitò. «È tutta bagnata.»
«Me ne fotto se ti si bagna il vestitino. Siediti.»
Mirko si guardò addosso, ora era fradicio e la puzza lo aveva fatto impallidire.
«Dunque, vediamo un po’» fece Merli dalla sua poltrona. Stava bene attento a non appoggiarsi al tavolo. Già non beveva birra e odiava da morire l’odore di malto seccato. Quell’interrogatorio metteva a dura prova anche lui.
«Mirko Baudaffi, detto Mirko Bee, aspirante dj e grande appassionato di kebab e birra Raffo. Dico bene? La notte del concerto dei Tempesta d’Oro – guarda caso, sono un gruppo che fanno solo canzoni a tema birra e alcol – tu e i tuoi amiconi vi siete fatti una birra, vero? Raffo, ovviamente.»
Mirko cercava di non guardare Merli.
«Un po’ su di giri, vi siete messi a litigare con un ragazzo che non conoscevate, ma che aveva ordinato una Peroni. E che cazzo, una Peroni! Era chiaro, cercava lo scontro. Vi siete sentiti in dovere di difendere la città da quest’invasore birraiolo. Ma lui ha parlato troppo, è così?»
Mirko teneva lo sguardo basso.
«Le sue parole» continuò Merli «la Raffo non è neanche la sciacquatura… eccetera. Vi ha fatti incazzare, siete partiti di testa, ma vi siete fermati prima che qualcuno del servizio d’ordine vi venisse a rompere. Ora, lascia che indovini cos’è successo dopo, ti va?»
Gli occhi di Mirko salirono verso l’ispettore, che gli sorrideva.
«Avete chiamato rinforzi, lo avete seguito in auto, lo avete sequestrato, lo avete condotto lontano, lo avete picchiato, poi gli avete ficcato un tubo di gomma in gola e lo avete costretto a bere dall’imbuto Raffo, finché non è soffocato.»
«Vi siete cagati addosso, come un cane che si spaventa col rumore delle sue scoregge! Non sapevate che fare, allora avete usato il suo stesso cellulare per fare una chiamata d’emergenza. Uno di voi ha finto di star male e ha detto il punto esatto in cui trovare Domenico Gallo. E siete scappati.»
Merli tacque, fisso Mirko, che era tornato a digrignare gli occhi, ma il naso era arricciato.
«Allora, è così?» fece Merli.
Nessuna risposta.
L’ispettore sbatté il fascicolo sul tavolo, la birra schizzò sulla faccia di Mirko. «È così o no?» urlò.
Aprirono la porta, qualcuno urlava in falsetto. Apparve un uomo in giacca, con una cravatta rosa e bianca. Occhialini tondi, capelli lisci che si aprivano a tendina sulla fronte, pizzetto e ventiquattrore in mano. Era Giacomo Randellazzi, un avvocato.
«Ma che puzza! Ispettore Merli, non dovrebbe bere in servizio.»
«Lei che vuole?»
«Sono qui per conto del signor Baudaffi, stimatissimo cittadino. Lei sta commettendo un abuso.»
«Non mi dica…»
«Il giovane Mirko viene con me. E qualunque cosa abbia detto…»
«Se lo porti via, amico» sorrise Merli. «Qui abbiamo finito.»
«Se ne pentirà, Merli.» Randellazzi prese Mirko sottobraccio, lo osservò disgustato. L’inquisito aveva i pantaloni fradici e schiumosi. Mentre lasciavano la stanza, Randellazzi recitò a memoria qualche slogan di giustizia ed equità. Mirko si lasciò trascinare in silenzio.
«E lo lascia andare così?» domandò Betti.
«Ormai è fatta, ragazzi» disse Merli. «Noi abbiamo finito. Ora tocca agli avvocati, ai giudici…»
«Randellazzi è uno squalo, i Gallo non troveranno mai un avvocato disposto ad andargli contro.»
«Affari loro, Tanzi. Ne ho abbastanza. Vogliono che i vari Mirko Baudaffi siano assolti? Amen, che si ammazzino per una marca di birra. Arriverà il momento in cui affogheranno anche loro. Quanto a me» sospirò infine «quando si formerà la nuova classe dirigente, spero di essere già morto.»
A rileggerci!