«Per tanto, questi nostri principi, che erano stati molti anni nel principato loro, per averlo di poi perso non accusino la fortuna, ma la ignavia loro»
(N. Machiavelli)
Arriva il 15 novembre la notizia dell’esclusione di Taranto dalla corsa al titolo di “Capitale Europea della Cultura” per il 2019 (da ora in poi ECoC 2019).
La candidatura, sostenuta dal Sindaco di Bari Michele Emiliano, ha sempre destato più di qualche perplessità, sia per le implicazioni politiche di cui a un certo punto è stata tacciata, che per una sorta di sfiducia nel sistema della cultura a Taranto. Tuttavia, tra le più svariate vicissitudini e gli avvicendamenti al vertice del progetto, c’è stato un nutrito gruppo di tarantini che ha creduto nel sogno di vedere la propria città capitale della cultura europea e non sono mancati i suggerimenti anche da parte di alcune realtà politiche (iniziativa pubblica “Cultura: una sfida Capitale” a cura del Circolo “Peppino Impastato” del Partito della Rifondazione Comunista il 18 luglio 2013). L’impegno di questi cittadini è stato costante e si è concretizzato nel bel dossier (ben 91 pagine) consegnato per la valutazione della candidatura. Si è fatto perno anzitutto sugli aspetti di degrado urbano della città, uno dei requisiti richiesti dalla guida per ECoC 2019. Titolo del progetto: “I delfini fanno l’amore nei mari di Taranto”. Nonostante ciò Taranto non ce l’ha fatta. C’è da domandarsi, a questo punto, cosa non ha funzionato.
In tutta franchezza, l’esclusione di Taranto dalla competizione non è stata una doccia fredda. Un po’ la disillusione della cittadinanza nei confronti del progetto – a tratti vera e propria indifferenza probabilmente data da una campagna comunicativa poco efficace -, un po’, forse, il solito “particolarismo” tarantino – quella tendenza un po’ presuntuosa a tenersi distanti l’uno dall’altro quando si tratta di grandi progetti, in maniera da non compromettersi e, tuttavia, poter egualmente criticare. Così, nella città dove a tutti piace fare il lavoro di qualcun altro, dinanzi a un progetto di portata europea non si è stati in grado di fare fronte comune. E questo non è poco se si considera che realtà molto vicine alla nostra – Lecce, ad esempio, ma anche Matera, che alla candidatura ci lavora da tre anni – sono riuscite a mobilitare ogni singolo lembo creativo e propulsivo della città.
Non me la sento assolutamente di incolpare chi ha lavorato al progetto, a cui va un plauso sia per la determinazione che per l’impegno profuso in un lavoro che potrà essere un buon punto di partenza per iniziative future.
Il vero problema, a mio modesto avviso, è che la città di Taranto è culturalmente assopita da tempo; e ciò fa sì che anche il senso civico sia venuto, in qualche modo, meno. La mancanza di luoghi della cultura quali la pinacoteca, i parchi archeologici, il museo nel pieno delle proprie funzioni, l’assenza di teatri e di una mediateca – oggi come oggi fondamentale luogo di confronto e aggiornamento culturale – possono essere stati deterrenti non secondari. Questo lo dico perché al progetto veniva richiesta – come necessaria – una funzionalità nel lungo termine e che andasse oltre l’anno 2019. Sebbene si sia fatto cenno all’istituzione di qualcuno di questi luoghi – si parla, di sfuggita, di una pinacoteca di arte contemporanea, ma le opere del Seicento e del Settecento, che amo chiamare “Taranto dispersa” (ne parleremo presto!), quando le recuperiamo? E dove le mettiamo? – , la mancanza di una progettualità del genere dev’essere stata penalizzante.
Taranto ECoC 2019 non può partire solo ed esclusivamente dai fasti della Magna Grecia o dalla rivitalizzazione del centro storico (sebbene si tratti di interventi fondamentali a prescindere dalla candidatura); di Taranto fanno parte anche quelle periferie lasciate a se stesse, distese di palazzi tutti uguali e nessun servizio, che andrebbero recuperate al vivere comune.
A Taranto candidata ECoC 2019 c’è ancora chi propone di demolire uno dei due grandi monumenti di arte contemporanea che abbiamo, la fontana di Nicola Carrino, mentre brandelli di città antica crollano sotto l’indifferenza di cittadini e istituzioni (l’ultimo disastro il 12 novembre).
Allora non stiamo a farci troppe domande sul perché si è fuori dalla competizione.
L’esistenza di un senso civico – inteso come affetto nei confronti della città di stampo pratico, che vada oltre le dichiarazioni d’amore dal sapore retorico dalle quali siamo continuamente deliziati (o malamente bombardati, dipende dai punti di vista!) – è propedeutica nella corsa all’educazione culturale cittadina. Senza i luoghi deputati all’istruzione e alla cultura, senza un’unione salda tra centro e periferie cittadine, senza la propensione verso la qualità degli interventi – requisito fondamentale se si vuol guarire dalla miopia del campanilismo – i fiori del senso civico e del bene comune non sbocciano. Va riscoperto, soprattutto, il senso dell’eccellenza, della competenza, della conoscenza contro quel protagonismo individuale che è, probabilmente, uno dei mali di questa terra e cause di derive verso chiusure provinciali di difficile recupero.
Non cerchiamo altre scuse. Basta utilizzare l’ILVA come alibi per spiegare il ristagno culturale della città, la sua mancanza di attrattiva turistica. A Venezia la gente continua ad andarci nonostante il polo industriale di Marghera e il transito delle grandi navi ne inquinino il mare e, quando c’è acqua alta, ci si bagnano anche! La monocoltura dell’acciaio non può motivare la pigrizia di una classe intellettuale che continua ad essere composta da gente “di cultura” disabituata a “fare cultura”. Questa rassegnazione intellettuale è dettata dall’assordante silenzio in materia da parte delle amministrazioni locali che si sono succedute: l’attuale assegnazione ad interim dell’assessorato alla cultura è spia dell’importanza che la questione culturale riveste a Taranto, orfana da anni di una programmazione culturale degna di questo nome. Tutto questo ha lasciato nel torpore la cittadinanza che ha preferito attaccarsi a semplici, banali slogan per ritrovare il senso delle proprie origini; o, più semplicemente, ha deciso di emigrare da Taranto per poter sfruttare la propria vitalità laddove potesse essere meglio apprezzata, senza più tornare o – terribile a dirsi! – voler tornare.
Bisogna dunque recitare tutti il “mea culpa” e rimboccarsi le maniche, ora e in comunione d’intenti – a partire, magari, proprio dalle forze che per Taranto ECoC 2019 si sono messe in moto – se si vuole che, almeno in futuro, la città possa vantare le solide basi culturali che oggi non ha.
Il turismo ne sarebbe la logica conseguenza ma, in alcun modo, può essere concepito come una premessa.
StecaS
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I requisiti per la Capitale Europea della Cultura si trovano a questo link:
Il dossier Taranto ECoC 2019:
http://www.sfogliami.it/flip.asp?sc=gshrpagto5zbi5qp6nutz9kf2lyckn7m&ID=101922#page/50