Il 23 dicembre 2013 il Governo – attraverso il DM 1059/2013[1] – ha apportato alcune modifiche al D.M. 47/2013 meglio conosciuto come Decreto AVA (Autovalutazione, Valutazione, Accreditamento), ovvero quello sull’accreditamento dei corsi di laurea nei vari atenei.
Questo decreto elenca i parametri di cui bisogna tener conto per poter accreditare (quindi attivare) un corso di laurea. Nel fissare il numero di “proponenti”(garanti) necessari per l’attivazione dei corsi si tiene conto anche del numero di immatricolati per ogni corso di laurea, viene fissata cioè una “numerosità massima” – oltrepassata quella soglia di immatricolati i docenti necessari per l’attivazione del corso aumenta in base al numero degli immatricolati (il calcolo si fa attraverso una formula matematica inserita nel decreto).
Oltre a fissare un numero di “proponenti”, il decreto stabilisce quanti di questi devono essere docenti e quanti devono essere ricercatori.
L’approvazione dell’AVA ha comportato numerosi problemi per gli Atenei, questo perché i requisiti richiesti per l’attivazione di nuovi corsi ed il mantenimento di quelli preesistenti sono molto più rigidi rispetto alle regolamentazioni precedenti (in termini di numero di “proponenti”).
Il risultato è stato la chiusura di numerosi corsi, in quanto i dipartimenti dei vari Atenei non avevano il numero di proponenti necessari, e l’introduzione del numero chiuso in alcuni dei corsi “sopravvissuti” (attraverso il numero chiuso, si mantiene il numero di immatricolati sotto il limite di “numerosità massima” imposto dal decreto, quindi si evita che per mantenere attivo il corso di laurea siano richiesti nuovi proponenti).
Gli effetti del decreto hanno raggiunto anche il Polo Jonico, infatti lo scorso anno sono stati soppressi i corsi di laurea triennale di giurisprudenza e di scienze della formazione, e una delle magistrali di Ingegneria.
Il nuovo testo del decreto però non presenta grossi cambiamenti rispetto al precedente, rimane comunque un certo impoverimento dell’offerta formativa, e del “cambio di rotta” tanto atteso non vi è traccia.
Fra le – poche – modifiche vi è la riduzione del 25% del numero di “proponenti” necessari per mantenere attivi i corsi dal A.A. 2014/15: da 12 a 9 per i corsi di laurea triennale, da 8 a 6 per i corsi di laurea magistrale, da 20 a 15 per i corsi di laurea magistrale a ciclo unico quinquennale, da 24 a 18 per i corsi di laurea magistrale a ciclo unico di sei anni. Questi requisiti valgono allo stesso modo per le università statali e non, a differenza dei criteri differenziati del DM 47/2013.
La diminuzione dei “proponenti”è un fatto positivo; bisogna vedere però l’altra faccia della medaglia. Infatti, riguardo alla tipologia “proponenti” nel nuovo decreto, viene aumentato il numero dei professori e diminuito quello dei ricercatori. Quest’ultimo aspetto potrebbe comportare dei problemi, in quanto molti corsi di laurea fino ad oggi sono sopravvissuti grazie alla presenza dei ricercatori come “proponenti”.
L’altra modifica degna di nota è l’inserimento del limite del 2% nell’attivazione di nuovi corsi di laurea, sia per gli Atenei con ISEF[2] minore di 1 sia per quelli con ISEF maggiore di 1. Questo di fatto obbligherà gli Atenei a limitare l’aumento della proprio offerta formativa.
Uno degli aspetti più spinosi del vecchio decreto 47/2013 non è stato per nulla modificato, ovvero il criterio della “numerosità massima”.
Bisogna considerare che gli Atenei, in conseguenza al blocco del turn-over degli ultimi anni, hanno visto diminuire drasticamente la numerosità del proprio corpo docente, e negli Atenei del Sud questo problema è ancora più sentito a causa dell’approvazione del DM sui “punti organico”[3], il quale assegna alle università meridionali un numero di assunzioni molto inferiore rispetto al passato. Questo significa che, nel momento in cui le immatricolazioni oltrepassano il limite di numerosità massima e l’Ateneo non ha a disposizione ulteriori proponenti (causa mancanza di assunzioni), per quel determinato corso di laurea ci sono due possibilità: viene soppresso oppure viene imposto il numero chiuso. Non essendo stato modificato quel criterio, è facilmente immaginabile che la percentuale dei corsi di laurea a numero chiuso aumenterà in modo esponenziale.
In sostanza questo decreto non migliora la situazione attuale dei vari Atenei i quali, anche quest’anno, dovranno fare i salti mortali per poter mantenere attivi i corsi di studio ancora presenti e forse attivarne dei nuovi. Si tratta solo dell’ennesimo atto di una politica volta ad impoverire l’offerta formativa dell’Università Italiana.
[1] http://attiministeriali.miur.it/anno-2013/dicembre/dm-23122013.aspx
[2] ISEF (indicatore di sostenibilità economico finanziaria), basato sul rapporto tra entrate (tasse studentesche e fondi ministeriali) ed uscite (spese per i
l personale e debiti vari). Utilizzato per la ripartizione dei “punti organico” .
[3] Decreto che regola le assunzioni di personale negli Atenei – approfondimento http://www.siderlandia.it/2.0/index.php/decreto-punti-organico-come-affossare-ulteriormente-luniversita-pubblica/