L’inizio del nuovo anno ha visto la firma di due accordi, uno sul piano nazionale e l’altro riguardante la sola Ilva, che ridisegneranno la rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro. Venerdì 10 Gennaio è stato siglato tra Confindustria, Uil, Cisl e Cgil un accordo che prevede nuove regole sulla rappresenta e la democrazia sindacale, rendendo operativa l’intesa del 31 maggio scorso. Il 14 Gennaio, presso l’Ilva di Taranto, Usb, Uilm, Fim e Flmu hanno sottoscritto un’ipotesi di accordo in merito alla rappresentanza, in materia di sicurezza, di agibilità sindacale e di sistema di relazioni industriali. Per la Fiom entrambi gli accordi limitano duramente l’agibilità delle rappresentanze sindacali aziendali.
Il segretario della Fiom, Maurizio Landini, aveva chiesto al segretario della Cgil, Susanna Camusso, la sospensione della firma dell’accordo del 10 Gennaio in attesa di una consultazione delle lavoratrici e lavoratori. Tuttavia, il 17 Gennaio il Direttivo nazionale della Cgil ha approvato la scelta della Camusso con 95 voti a favore, 13 contrari e 2 astenuti. Praticamente una ratifica della decisione già presa dall’esecutivo dell’organizzazione; alla votazione però hanno deciso di non prendere parte ben 52 membri – probabilmente in segno di dissenso nei confronti del segretario.
Nel “Testo Unico” siglato il 10 Gennaio vengono indicate le regole per misurare la rappresentatività delle organizzazioni sindacali (con il mix tra iscritti e voti e la soglia del 5% per sedere al tavolo) e per sottoscrivere gli accordi. Per Susanna Camusso l’accordo disegna un “modello di rappresentanza sindacale trasparente, democratico e fortemente partecipato dall’insieme delle lavoratrici e lavoratori”. Tuttavia, Maurizio Landini ha annunciato che “per la Fiom, non essendoci il voto dei lavoratori, quell’intesa non è da ritenersi vincolante”, e quindi non verrà applicata nelle imprese dove la Fiom è presente.
Analizzando il “Testo Unico”, ci si accorge immediatamente che questo differisce rispetto a quello firmato lo scorso maggio. Nel nuovo testo sono stati inseriti per ben cinque volte i termini “sanzioni” e “sanzionare”, inesistenti nella versione precedente; a stabilire le sanzioni per chi non rispetta gli accordi – in attesa (e in assenza) dei contratti nazionali – sarà un collegio arbitrale (formato dai rappresentanti delle confederazioni e delle imprese). Le sanzioni nei confronti di organizzazioni o rappresentanti sindacali possono essere di carattere pecuniario o di “temporanea sospensione” di diritti sindacali contrattuali.
Inoltre il Testo Unico stabilisce che la Rappresentanza Sindacale Unitaria (RSU) “deciderà su accordi di qualsiasi natura, anche sulle intese che modificano le condizioni nazionali”. Una novità che rischia di limitare il coinvolgimento dei lavoratori, che non potranno più votare su accordi aziendali e quindi non potranno esprimersi su decisioni importanti.
Vengono introdotti inoltre gli arbitrati interconfederali in sostituzione dell’autonomia delle singole categorie. L’intesa stabilisce infatti che “se ci sono problemi tra diversi sindacati all’interno di una categoria c’è l’obbligo di chiedere l’intervento di una confederazione, che insieme alle controparti è incaricata di risolvere il contenzioso”. I contratti nazionali vengono firmati dalle categorie e se le confederazioni si sostituiscono a loro c’è un cambio di natura del sindacato, che porta ad un minor potere contrattuale per i lavoratori, eliminando così il ruolo libero di contrattazione tra le parti sociali.
Un attentato all’autonomia delle categorie, poiché il nuovo accordo, in questo modo, vincola tutti i firmatari e cancella il diritto di esistere a chi non lo firma. In un certo senso si estende il modello applicato da Marchionne alla Fiat di Pomigliano e, dopo la recente sentenza della Corte Costituzionale, l’intesa siglata il 10 Gennaio potrebbe contenere, a parere di chi scrive, dei profili di illegittimità.
Alcuni elementi presenti nell’accordo del 10 gennaio fra sindacati confederali e Confindustria sembrano essere stati recepiti in Ilva con un’intesa siglata appena quattro giorni dopo fra azienda e una parte delle RSU. Francesco Brigati, delegato sindacale della Fiom, a questo proposito denuncia che “le organizzazioni sindacali firmatarie dell’ipotesi di accordo del 14 Gennaio limitano di fatto l’agibilità sindacale delle RSU, rinchiudendole in collegi. Poniamo il caso in cui un lavoratore del collegio Ghisa segnala ad un delegato sindacale problemi di natura ambientale o di sicurezza; se questo appartiene ad un altro collegio, secondo l’azienda e i firmatari dell’accordo (Usb compresa) dovrebbe astenersi da possibili interventi derogando di fatto alle leggi e ai contratti vigenti. Inoltre gli accordi tra azienda e sindacato saranno validi ed “efficaci” per le rappresentanze sindacali unitarie e le organizzazioni sindacali, nonché per tutto il personale se approvati dalla maggioranza della RSU”.
“L’azienda così facendo”, aggiunge il delegato, “si è “blindata” con una maggioranza composta delle rappresentanze sindacali unitarie di Uilm e Fim, che consentirebbe di chiudere accordi senza una consultazione degli operai dello stabilimento siderurgico di Taranto, che dovranno subire scelte senza poterle votare”. Per queste ragioni, conclude Brigati, “la Fiom di Taranto non ha firmato l’ipotesi di accordo, anti democratica, in virtù del quale la maggioranza delle RSU potranno decidere qualsiasi cosa senza consultare i lavoratori. L’ipotesi di accordo vincolerà le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie ad un abbraccio mortale con l’azienda che ha un unico obbiettivo, quello di eliminare ogni forma di conflitto”.