Nella giornata del 18 settembre, Colosseo e Fori hanno ritardato di due ore e mezza l’apertura al pubblico per via di un’assemblea sindacale dei lavoratori. Le ragioni dell’assemblea erano legate alla difficile e confusionaria situazione in cui si trovano i dipendenti del MiBACT, nonché al mancato pagamento degli straordinari ai lavoratori.
Per qualche ora i turisti sono rimasti in fila ad attendere e dai piani alti sono partite, puntualissime, le invettive contro i lavoratori e i sindacati. Il Ministro Franceschini accusa l’assemblea sindacale di aver causato un disagio e un danno all’immagine del Paese , mentre il sempre combattivo Renzi twitta: “Non lasceremo la cultura ostaggio di quei sindacalisti contro l’Italia”. Entrambi – per certe cose si va sempre in coppia – annunciano un decreto (prontamente varato) che faccia rientrare i Musei tra i servizi essenziali del Paese, limitando così il diritto di sciopero.
Peccato che l’assemblea – e non uno sciopero – fosse stata richiesta l’11 settembre, calendarizzata a inizio turno per recare il minor disagio possibile e svolta nel rispetto delle norme che regolano i servizi essenziali: in poche parole, il Colosseo non è rimasto chiuso a sorpresa tutta la giornata, ma solo per due ore e mezza e prima dell’apertura dei cancelli. I fondi per pagare gli straordinari intanto sono stati sbloccati, ma Claudio Meloni, coordinatore CGIL del MiBACT, sulla base del contenuto del decreto sta valutando la possibilità di uno sciopero generale.
D’altronde è singolare sentir tuonare Franceschini sull’interruzione di pubblico servizio quando la carenza atavica di personale ministeriale non permette l’apertura di tutte le sale nei Musei. Non è interruzione del servizio pubblico anche quella?
Ed è ancora più divertente sentir parlare Renzi del disagio creato ai turisti dai ‘cattivi’ sindacati quando nella sua
Firenze Ponte Vecchio è stato noleggiato da Montezemolo per una festa della Ferrari e gli Uffizi da Madonna per un’intera domenica (per tacere dei tariffari per cenare o fare aperitivi all’interno dei beni culturali): chissà che avranno pensato i turisti giunti a Firenze da tutto il mondo per vedere la Galleria… Esempi fatti da tutti i giornalisti, gli opinionisti e i blogger attenti alle questioni della cultura o, semplicemente, con una buona memoria. Al Sindaco di Roma, invece, forse questi episodi sono passati di mente quando ha dichiarato che “il fatto che [il Colosseo] sia chiuso e che una persona che arriva da Sydney o da New York e aveva solo quel giorno per poter vedere il monumento millenario, è uno schiaffo in faccia alle persone e uno sfregio per il nostro Paese. Intollerabile”.
Quello che è intollerabile in un Paese civile è che un visitatore debba attendere ore ed ore davanti ad un Museo anche quando non c’è l’assemblea sindacale. Quando Franceschini, con la lungimiranza di una talpa, sciorina numeri sull’affluenza alle domeniche al Museo – dove si formano le code anche perchè il personale è troppo poco per gestire grandi flussi di visitatori – lo fa grazie a quei lavoratori che non vengono pagati da un pezzo per quegli straordinari; da quei lavoratori che la tutela la fanno quotidianamente e con sempre maggiore fatica e ai quali sembra essere precluso anche il diritto di riunirsi in assemblea per rivendicare i propri sacrosanti diritti e quelli di tutti dato che, di fatto, il poco personale che è rimasto è quello che attua la tutela del patrimonio.
Quello che è intollerabile è che in questo Paese la parola cultura venga sventolata come un vessillo nello stesso momento in cui si depotenziano le Soprintendenze, si tagliano i fondi, si privatizzano i profitti, mentre i costi restano tutti statali, ci si rivolge sempre più al volontariato per la gestione del bene comune; e, ancora, si distrugge la scuola e si costringe chi la cultura la produce, i ricercatori, all’invisibilità e all’emigrazione.
In altri contesti, come in Inghilterra, a fronte di scioperi ad oltranza – si veda il caso della National Gallery di Londra e di svariate altre realtà – l’opinione pubblica si è schierata a favore dei lavoratori. In Italia, invece, il nemico comune è il dipendente statale e non il sistema marcio: è come se gli autisti che hanno fatto impantanare la macchina nella sabbia se la prendessero con chi, da dietro, la spinge per farla ripartire.
L’art. 9 della Costituzione prevede che sia la Repubblica a tutelare paesaggio e patrimonio storico e artistico della Nazione; la Repubblica, giusto l’art. 1, si fonda sul lavoro e non sul volontariato. Il lavoro nel pubblico pertanto va retribuito e deve anzi prevedere, soprattutto in relazione al patrimonio, un alto profilo formativo. Ecco perché la vertenza culturale che andrebbe aperta non può riguardare soltanto i dipendenti del MiBACT, ma deve includere anche i precari, i lavoratori a partita IVA, i tirocinanti e stagisti a vario titolo, gli studenti a tutti i livelli, gli insegnanti e le gerarchie accademiche, dal dottorando al docente ordinario, per riaffermare che il patrimonio è bene comune e la cultura diventa una cosa impalpabile solo se non la si prende per quello che realmente è: lavoro e laboratorio di cittadinanza. È l’unica maniera per salvare il Paese dall’ignoranza e dal definitivo collasso.
Lasciare deperire il patrimonio, svenderlo, affidarlo a chi non ha idea di che cosa si tratti equivale a sacrificarlo a un presenzialismo fatto di incassi, biglietti staccati, opere in tournée: ed è la maniera migliore per non averlo più.
E, in casi come questi, indietro non si può tornare.
StecaS