Eravamo stati ottimisti a celebrare il funerale del MiBACT quest’estate: pensavamo non si potesse proprio fare di peggio. Ma con i vertici di questo Ministero non ci si annoia davvero mai. Da qualche giorno, infatti, impazza il dibattito attorno alla bozza di decreto dove si propone un’ulteriore riorganizzazione della struttura centrale e periferica del Ministero. La vittima sacrificale, in linea con il motto renziano «Soprintendente è una delle parole più brutte di tutto il vocabolario della burocrazia», sarebbe dunque la Soprintendenza, l’organo preposto alla tutela del patrimonio. Questa nuova riforma, infatti, prevederebbe la convergenza di tutte le branche della tutela in Soprintendenze uniche, con le Soprintendenze archeologiche che verrebbero inglobate nel nuovo organo periferico del Ministero. Così, sotto la bandiera della semplificazione burocratica, si correrebbe il rischio di rendere questi organi pura e semplice burocrazia, riducendoli a una funzione quasi totalmente amministrativa. Come fa notare, con la consueta puntualità, Pier Giovanni Guzzo dell’Associazione Bianchi Bandinelli:
A nessuno si può chiedere di essere esperto in più discipline diverse fra loro; e, di conseguenza, il responsabile dei nuovi uffici tricorpore dovrà fidarsi di quanto gli viene sottoposto oppure fare di testa sua. Nel primo caso si addossa responsabilità che non potrà valutare; nel secondo correrà il rischio di aberranti azioni. È prevedibile, quindi, che regnerà un plumbeo “silenzio assenso” su tutto: così che sarà possibile avere mano libera nella trasformazione del territorio senza tener più conto di limitazioni e vincoli, come molti, a cominciare da alti livelli istituzionali, desiderano.
Insomma, la figura del Soprintendente uno e trino è difficile da immaginare. Nella tutela, che è l’azione propedeutica a qualunque altra – dalla gestione del patrimonio alla sua valorizzazione – non ci può essere una confusione di competenze. Si tratta, come si può facilmente evincere, di un ulteriore rallentamento della macchina ministeriale, tutta a svantaggio del patrimonio.
Tomaso Montanari, inoltre, pur non mostrando eccessive riserve circa la Soprintendenza unica, ha indicato come fosse tuttavia necessario un altro tipo di lavoro, ovvero l’istituzione di Direzioni Generali divise per funzione e “guidate a rotazione da funzionari dalla diversa competenza, e non affidate agli evanescenti ectoplasmi interdisciplinari che ora si vagheggiano, e che rischiano di essere i leggendari managers del patrimonio”.
Ma la competenza, per questo Ministero, è diventata un optional: dal restauro del Colosseo affidato a ditte edili anziché a restauratori sino alla promozione del volontariato anziché del lavoro per i professionisti (in ultima istanza si veda il bando per il Servizio Civile Nazionale legato all’anno giubilare). Senza dimenticare la politica comunicativa del Ministero, dove i numeri sono sciorinati con più tempestività e attenzione rispetto ai contenuti, dove si esulta ogni lunedì dopo la domenica al Museo per le code e la gente che si accalca nelle sale, in cui la cultura è presentata dallo slogan “Il cibo per la mente è in tavola” – con tanto di presentazione del patrimonio su piatti d’argento – e in cui si cerca di nascondere la polvere sotto il tappeto in ogni occasione, lesinando, ad esempio, le parole sul gravissimo furto al Museo veronese di Castelvecchio.
Tornando alla Soprintendenza unica, suona l’allarme per i patrimoni bibliotecari, archivistici e immobiliari – con annessi depositi di materiale ancora da studiare – delle istituzioni che verrebbero inglobate, beni che sembrerebbero destinati a confluire nei patrimoni dei musei autonomi (si veda qui). Non si comprende, infatti, come potrebbe lavorare la Soprintendenza senza gli strumenti del proprio lavoro.
E Taranto?
Taranto è sede da oltre un secolo della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia, un organo che confluirebbe nella Soprintendenza unica territoriale che avrebbe sede non più tra i due Mari, ma a Lecce. Questo vuol dire che Taranto perderebbe un’Istituzione che ne ha segnato la storia e che, di questa storia, conserva le testimonianze nei propri archivi e depositi. Insomma, senza mezzi termini, un ulteriore schiaffo alla città con la perdita di un punto di riferimento importante sia per la comunità degli archeologi di tutta Puglia (e non solo) che per quella tarantina che si sta spogliando, via via, di tutti i connotati che la rendono città. La chiusura del corso di laurea in Beni Culturali, le vicende del Paisiello e del Liceo Artistico sono esempi della direzione che ha preso la cultura a Taranto; ma per comprendere la portata di questa sorta di ulteriore periferizzazione della città, si vedano le vicende relative all’Autorità Portuale, alla Banca d’Italia, alla Corte d’Appello e così via. Tutti presidi la cui scomparsa dal territorio costituisce – o costituirebbe laddove programmato – un ulteriore elemento di crisi d’identità e coesione sociale.
Illuminanti, a proposito della scelta di spostamento della Soprintendenza, le parole di Vittorio Emiliani
A Taranto, indiscussa capitale della Magna Grecia con un Museo acheologico strepitoso, sarà “valorizzato” (si vedrà) il Museo ma viene sottratta una Soprintendenza Archeologia di grande merito e prestigio, esistente da oltre un secolo, per accorpare tutto a Lecce e crearne un’altra a Brindisi. Ma con quale razionalità? Con quali criteri? Se uno obietta che la geografia delle Soprintendenze divise per competenze scientifiche era stata studiata e sperimentata da grandi esperti come Corrado Ricci, Adolfo Venturi e altri, si risponde con un sorrisino ironico che difatti “sono strutture ottocentesche che incatenano la modernizzazione” opera di “professoroni”…E di chi dovrebbero essere opera, forse di manager della Banca Etruria?
Alla luce di queste circostanze appare sempre più evidente come le prospettive del Ministro Franceschini di rilanciare la cultura a Taranto, così sbandierate quando è venuto in visita al Museo, si limitassero allo slogan. Se il Museo di Taranto è stato uno dei venti la cui dirigenza è stata cambiata recentemente, è anche vero che non si può pensare che la responsabilità dell’intera macchina culturale cittadina possa gravare esclusivamente sulle spalle della nuova Direttrice. Soprattutto dal momento che all’orizzonte non si vede nulla che assomigli anche lontanamente a un progetto per il rilancio, sotto tutti i punti di vista, di questa città. Appiattite sulla querelle ILVA – una questione in cui non si decide nulla a livello locale ma, come si vede con i decreti e contro-decreti, ad altri e più alti livelli – le forze della città perdono di vista la progettualità alternativa che, almeno per il momento, deve necessariamente procedere in parallelo con l’esistenza dell’industria.
Non si può assolutamente pensare di attendere una parola definitiva sul futuro della fabbrica per cominciare a far carburare i cervelli e a muovere le fila per uno sviluppo alternativo che deve necessariamente passare, a nostro avviso, da investimenti pubblici importanti e copiosi nel campo delle attività culturali. Solo un buon esercizio della tutela può permettere una buona valorizzazione. E solo se si ha una buona sinergia tra queste forze – che un tempo erano la stessa cosa – si può sperare di attivare anche la macchina del turismo culturale. Non funziona, come si crede, in maniera inversa. Né si può credere che il turismo possa essere l’unica fonte di attività per una città.
Intanto Renzi e compagnia continuano a smantellarla la macchina della tutela, a danno non solo di Taranto – non siamo il centro del mondo – ma dell’intero Paese.
Ci sarebbe da reagire al più presto prima che le Soprintendenze diventino corpi senza vita e la tutela un lontano e nostalgico ricordo. E, con esse, il patrimonio.
Stecas
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Tra le varie proteste sulla questione della Soprintendenza, ci sentiamo di segnalare, per completezza di informazione e ampiezza di prospettive, questa lettera di alcune Associazioni del territorio al Ministro Franceschini:
https://radiocittadella.wordpress.com/2016/01/22/la-soprintendenza-archeologica-da-taranto-a-lecce-lappello-al-ministro-dario-franceshini-nella-lettera-di-alcune-associazioni-della-capoluogo-jonico/