Da qualche giorno nella coalizione capeggiata da Michele Emiliano è esplosa l’ennesima astiosa polemica. Ma questa volta l’oggetto del contendere non sono i cosiddetti “impresentabili” candidati nelle diverse liste che sostengono l’ex sindaco di Bari, bensì un punto di fondamentale importanza politica e di grande rilevanza simbolica. Nel mirino di Emiliano è finito nientemeno che “Bollenti Spiriti”: il programma di coalizione prevederebbe infatti un suo ridimensionamento, volto a finanziare il cosiddetto “reddito di dignità” (poco più di 500 Euro per i percettori di redditi al di sotto della soglia di povertà in cambio di prestazioni di lavoro di pubblica utilità). Dura è stata la reazione dell’ideatore del progetto, Guglielmo Minervini, candidato nella lista “Noi a Sinistra per la Puglia”. Al netto delle polemiche di rito, la questione è quanto mai delicata. “Bollenti Spiriti” può essere considerato infatti l’emblema del decennio vendoliano. Sulle realizzazioni di quel programma è stata costruita gran parte della “narrazione” sulla “Puglia Migliore”. Ma un’analisi completa sulle implicazioni concrete e sui presupposti culturali di quella politica ancora dev’essere svolta. Ne abbiamo discusso con Onofrio Romano, ricercatore in Sociologia dei processi culturali e comunicativi dell’Università di Bari.
Una recente ricerca del Dipartimento di Scienze della Formazione, Psicologia e Comunicazione dell’Università di Bari (“L’innovazione nelle Politiche Giovanili: il caso Bollenti Spiriti in Puglia”) rivela che 2/3 dei progetti finanziati nel quadro del primo bando di “Principi Attivi”, conclusosi nel 2010, sono attualmente attivi. Tuttavia, ad oggi, solo il 14% dei soggetti coinvolti dichiara che quella stessa attività rappresenta la sua occupazione prevalente. Alla luce di questi dati, come si possono giudicare gli esiti di quel programma sull’occupazione giovanile in Puglia?
La disoccupazione giovanile in Puglia è al 58,1%. Siamo nel novero delle dieci regioni europee con più elevata disoccupazione giovanile. In Italia, solo la Calabria fa peggio di noi. Punto.
Il governo regionale ci direbbe, però, che l’obiettivo di Bollenti Spiriti non è direttamente economico, bensì culturale. Non è creare impresa, occupazione, sviluppo ecc., ma favorire lo spirito d’auto-attivazione, offrire ai giovani un’opportunità di auto-formazione, incrementare la fiducia istituzionale ecc. Tutte dimensioni non misurabili (se non attraverso proxy costruite astrattamente – stavo per dire “ideologicamente”), tanto meno nei loro effetti diretti su sviluppo e occupazione. In queste condizioni, parafrasando Popper, le politiche adottate dal governo regionale diventano “non falsificabili”, quanto ad appropriatezza ed efficacia.
Insomma, tutti sappiamo che per vincere una partita di calcio occorre segnare nella porta della squadra avversaria. Qui in Puglia, invece, ci siamo inventati una porta immaginaria e in quella continuiamo entusiasticamente a insaccare. Ognuno si consola come può. Certo, sempre meglio che insaccare nella porta della propria stessa squadra, ossia fare autogol ed esultare come deficienti, come sta facendo il nostro Presidente del Consiglio…
I principi di “attivazione sociale” o di “autoimprenditorialità” che hanno ispirato “Bollenti Spiriti” vengono oggi rilanciati da diverse istituzioni: governo e Confindustria, ma anche la stessa Commissione Europea con il recente programma “Garanzia Giovani”. L’esito che si prospetta è però paradossale: gli aspiranti imprenditori aumentano mentre il potere d’acquisto dei consumatori, a causa dell’aggravarsi della recessione, diminuisce. Si tratta di un errore di impostazione o gli obiettivi che si perseguono sono altri rispetto a quelli strettamente economici?
Sì, è davvero paradossale. Noi non siamo in una crisi di offerta, bensì di domanda. La crisi non deriva da un’insufficiente valorizzazione delle risorse materiali e immateriali. Siamo, all’opposto, in una crisi d’abbondanza. Il problema è che l’enorme surplus prodotto dalle nostre economie viene catalizzato, come nell’Ottocento, dai titolari del capitale, lasciando a bocca asciutta i produttori. Perciò non ha alcun senso puntare su un’ulteriore valorizzazione “molecolare”. Ne risulteranno attività produttive marginali, periferiche e stabilmente precarie. Solo la politica può ribaltare questa situazione, se si decidesse a intervenire a gamba tesa nei processi di riproduzione e redistribuzione.
Allora, perché si continua invece a insistere con questo tipo di politiche? La ragione c’è ed è tutta ideologica (in senso squisitamente marxiano: promuovere una narrazione che descrivendo l’assetto sociale presente come rispondente a canoni “naturali”, consenta di nasconderne le contraddizioni, permettendo ai dominanti di continuare a dominare). In questo senso, è vero che le misure à la Bollenti Spiriti hanno un obiettivo prevalentemente culturale e non economico. Ma è un obiettivo completamente diverso da quello spacciato dai loro ideatori. E’ convincere le cittadinanze che non vi sia altra via allo sviluppo e all’emancipazione se non quella che passa per la valorizzazione di “mercato”. L’obiettivo è convincere tutti che il mercato sia un’arena “neutra”, senza gerarchie e senza striature di potere, in cui se uno è bravo, volenteroso e talentuoso troverà certamente spazio e riconoscimento. Così, l’assetto che consente ai detentori del capitale di succhiare tutto il valore diventa inamovibile. Questo è l’unico obiettivo.
Una generazione di “imprenditori di se stessi” è una generazione votata alla competizione. E, date le circostanze oggettive particolarmente difficili di questo momento, drammaticamente esposta al fallimento individuale. Che tipo di conseguenze sociali e psicologiche possono derivare dalle politiche di attivazione?
Devastanti. Il carico di frustrazione, rabbia e depressione cui ci espone un simile innalzamento delle aspettative – del tutto sconnesso dalle condizioni di realtà – ci ricadrà addosso nei prossimi anni, quando le stampelle istituzionali a sostegno delle attività create si sgretoleranno definitivamente. Il gioco perverso di questi strumenti consiste proprio in questo: caricare sulle spalle degli individui le colpe sistemiche. ‘Io, istituzione, ti dò la spinta iniziale; il mercato è lì pronto ad accoglierti; ergo, se la tua attività non funziona è esclusivamente colpa tua’. Se fallisci, vuol dire che tu, esclusivamente tu, sei un fallito. L’operazione ideologica consiste proprio nell’occultare l’esistenza del sistema: esiste solo l’attore. Tutto dipende da lui.
Per fortuna, gli effetti saranno mitigati dal fatto che queste politiche sono rivolte principalmente ai “migliori” (più che “la Puglia migliore”, lo slogan giusto per questi anni avrebbe dovuto essere “la Puglia dei migliori”). E i migliori se la cavano sempre, in qualche modo, anche senza il pistone istituzionale (o, meglio, il pistone istituzionale accompagna loro anche quando non è visibile a occhio nudo). I “normali” sono stati esclusi alla fonte, quindi non subiranno grandi conseguenze.
Il soddisfacimento dei bisogni sociali dei contesti urbani pugliesi è uno degli obiettivi fondamentali del programma “Bollenti Spiriti”. L’idea di fondo è che la cosiddetta “società civile” sia in grado di capire e soddisfare quelle esigenze meglio dell’operatore pubblico. Le cose stanno realmente così?
Penso che queste elezioni rappresentino una cesura rispetto allo spirito degli ultimi venticinque anni, caratterizzati appunto dall’enfasi sulla società civile, l’epopea dei nuovi sindaci e dei nuovi governatori. Questa stagione si è fondata sull’idea che l’auto-attivazione sociale, intrecciata a filo doppio con l’auto-regolazione di mercato, potesse teletrasportare il Sud dentro il gran mondo. La politica è stata relegata in un ruolo neutro, di mera assicurazione dei servizi pubblici essenziali in una logica universalistica di legalità e trasparenza (pensata apposta, cioè, per chi non ha bisogno della politica, perché sta già bene di suo). Siccome questo assetto è quello tipico delle società forti, ricche e centrali, abbiamo pensato bene che calandolo a Sud anche noi saremmo diventati forti, ricchi e centrali. Ma non funziona così. L’assetto fondato su “società civile-mercato-politica neutra” non è la “causa” dello sviluppo e dell’emancipazione, ne è solo l’effetto.
Oggi paghiamo il conto di questo abbaglio. Non serve a nulla lamentarsi moralisticamente dell’emergere dei nuovi cacicchi meridionali (De Luca, Emiliano ecc.) e dei nuovi patrons in odore di mafia caricati nelle liste. Questo è solo il sintomo del bisogno prorompente di grande politica (una politica che dia da mangiare al corpo e all’anima, finalmente) manifestato dalla “società reale” contro gli spacciatori della “società civile”.
Lei in altra sede ha definito Guglielmo Minervini, il grande deus ex machina di “Bollenti Spiriti”, l'”architrave ideologico” dell’esperienza vendoliana in Puglia. I pilastri di quella ideologia (primato del sociale sul politico, valorizzazione dell’individuo contro lo Stato ecc.) sono però egemoni nella cultura politica della Sinistra italiana da tempo. E’ ipotizzabile una prospettiva diversa? E su quali basi?
Certo. Ma occorre porsi una domanda preliminare: chi ha deciso che la sinistra dovesse essere quello che è stata in questi anni? Chi ha pensato che essa dovesse identificarsi con la logica dei “Bollenti Spiriti”? In quale consesso collettivo è stata elaborata questa politica, dove s’è deciso che si dovesse far così e non in un’altra maniera? Qui c’è la nota, secondo me, più dolente. Poiché a prescindere da ogni valutazione sui “contenuti”, quel che è certo è che la sinistra ha rinunciato a elaborare discorsivamente il senso delle proprie azioni all’interno di corpi collettivi e democratici. Queste politiche sono state pensate a tavolino da personaggi nominati dall’autorità monocratica eletta direttamente dal popolo, insieme alle proprie impenetrabili clique. La beffa è che questi personaggi sono gli stessi che ci inondano quotidianamente di retorica dell’auto-attivazione, della partecipazione civica e via blaterando. Allora, prima di tutto, occorre ripristinare, a sinistra, i luoghi della discussione collettiva. Dopodiché, se vogliamo parlare di “prospettive” politiche concrete, io penso che non possa esserci sinistra senza una riassunzione in seno alle istituzioni collettive dei fattori produttivi (lavoro, terra, moneta). Nessuna politica di sinistra potrà darsi fino a che la sinistra continuerà a farsi paladina, più e meglio degli avversari liberisti, della gestione orizzontale (ossia della mercatizzazione) dei fattori produttivi. Solo recuperando sovranità sui questi fattori, è possibile organizzare una vita degna per tutti. In mancanza, continueremo a far servizio ai forti.