Mercoledì scorso, 28 aprile, è stato diramato dal Comitato permanente per la salute delle piante dell’Unione Europea un comunicato che annuncia nuove misure per la lotta alla Xylella in Salento. In sostanza, si confermano – e, in certi punti, a quanto pare si inaspriscono – le misure contenute nell’oramai famoso “Piano Silletti“. In questa sede si cercherà di analizzare i contenuti del Piano stesso. Come nel precedente contributo, verranno fornite informazioni il più possibile chiare e documentate, nella certezza che una maggiore consapevolezza aiuti a prendere coscienza di quello che sta succedendo, dei punti controversi e delle possibili alternative. La situazione è in rapido divenire: quanto segue è riferito alle sole fonti ufficiali attualmente disponibili.
Il “Piano Silletti”
Le misure necessarie a contenere la diffusione del contagio sono organizzate secondo un preciso schema temporale e spaziale. Il disegno previsto è di notevole complessità e molto articolato. Sostanzialmente, si prevede la divisione del territorio salentino in diverse parti: zona infetta – all’interno della quale si inserisce una fascia di eradicazione (termine riferito, in tutto questo articolo, esclusivamente al batterio) -, zona cuscinetto, zona di profilassi (v. figura 1).
Figura 1 – Ripartizione delle aree secondo il “Piano Silletti”
La zona infetta è al suo interno ulteriormente suddivisa in aree, in base alla gravità della situazione a marzo 2015. Tale porzione di territorio è l’unica in cui è stata effettivamente riscontrata la presenza del batterio, e corrisponde alla provincia di Lecce (più il focolaio puntiforme di Oria, provincia di Brindisi). Le altre fasce sono porzioni di territorio in cui gli interventi sono semplicemente necessari al contenimento della diffusione di Xylella. Si vuole cioè creare delle zone inospitali per l’insetto vettore, in modo da limitarne la diffusione e, di conseguenza, il contagio verso altri territori. A seguire uno schema riassuntivo degli interventi previsti in ogni zona, che speriamo faciliti la comprensione rispetto alla lettura diretta della fonte.
Passiamo ad analizzare gli interventi. La misura A1 , da implementarsi tra marzo e aprile, prevede l’eliminazione di tutte le piante ospiti con estirpazione, trinciatura e smaltimento della chioma – il tronco delle piante non costituisce pericolo per ulteriore diffusione del batterio: la cicalina morde i rami teneri e i germogli.
La misura A2, sempre nel periodo marzo-aprile, prevede il controllo sulle erbe infestanti. Prima che l’insetto vettore diventi adulto infatti si stabilisce su queste erbe, per cui ridurne la presenza consente di evitare, nella fase successiva, di trovarsi davanti a una situazione ingestibile. Questa misura non prevede l’uso di pesticidi (tranne i prodotti biologici sui muretti a secco), ma solo misure agronomiche: fresatura, o aratura, con una preferenza per la prima; pirodiserbo controllato e decespugliatore per le zone inaccessibili.
La misura A3 riguarda invece l’uso di prodotti fitosanitari. Quando l’insetto diventa adulto e in grado di volare, la sua pericolosità aumenta; questo metodo è l’unica opzione disponibile per fermarlo. Nel documento si sottolinea che l’uso di chimica sarà calibrato: ossia, commisurato alla presenza dell’insetto adulto in questa fase secondo i risultati dei monitoraggi. “E’ quindi importante insistere con la lotta allo stadio giovanile perché può essere valido l’equazione PIU’ ARATURE OGGI EQUIVALE A MENO TRATTAMENTI DOMANI […]”. I trattamenti non verranno utilizzati in nessuna delle seguenti tipologie di territorio: riserve naturali, macchieti, garighe, prati permanenti, seminativi, vigneti, agrumeti ecc. Il loro uso sarà esclusivo per gli oliveti e frutteti del genere Prunus. I trattamenti previsti sono due, da condursi entro maggio il primo, ed entro luglio il secondo.
La misura A4 è quella su cui si è coalizzata maggiormente la perplessità dell’opinione pubblica. Si tratta, secondo quanto scritto nel piano, di rimuovere le piante infette e tutte quelle che presentano sintomi che indicano il possibile contagio, insieme a quelle probabilmente contagiate (possibile e probabile non sono infatti la stessa cosa). Le operazioni sono da condursi tra marzo e maggio; secondo quanto previsto dal piano, “la pianta sradicata deve essere immediatamente depezzata, partendo dal colletto. La chioma può essere utilizzata: come biomassa previo disseccamento in situ; bruciata in situ; tranciata e distribuita all’interno del campo. Le sezioni delle branche e dei tronchi privi di parti verdi possono essere movimentate perché non costituiscono fonte di inoculo di X. fastidiosa”. I dubbi sui tronchi lasciati nei campi, portati ancora oggi come prova del fatto che le autorità parte del complotto sanno che la Xylella non esiste, si sciolgono: basta studiare i documenti.
Infine, la misura A5 coinvolge solo i vivai nel periodo marzo-maggio. L’impatto è pesante: si parla nel piano di circa 300.000 piante ospiti del batterio, “che devono essere urgentemente distrutte”.
Tutte le altre azioni previste dal piano (A6 – A9) sono operazioni di monitoraggio dei vettori, organizzative ecc. Tutto questo è stato sottoposto al vaglio del Comitato fitosanitario permanente, per discutere della sua adeguatezza; dal comunicato stampa rilasciato ufficialmente non si può dedurre molto su cosa si sia deciso nello specifico, né se il piano Silletti verrà modificato, inasprito, o ammorbidito.
Ci saranno però una serie di misure dalle rilevanti implicazioni per l’interesse collettivo. Quelle che ci sembrano più urgenti sono: l’eliminazione delle piante infette, il rischio di cementificazione, l’impatto sulla salute e la salubrità dell’ambiente, l’impatto in termini di tutela della biodiversità e del paesaggio in generale. Cercheremo di discutere questi punti.
Eliminazione delle piante infette
Come abbiamo visto, il piano richiede l’eliminazione delle piante infette, così come previsto dalle normative comunitarie, a cui gli interventi nazionali e regionali, e lo stesso Piano Silletti, devono attenersi.
Perché? Per ridurre la fonte di inoculo, o (teoricamente, ma molto difficile) farla sparire del tutto. Nelle linee guida regionali del 2014 si sostiene che l’insetto vettore con la nuova generazione perde totalmente le cellule batteriche: questo significa che non trovando piante infette, i nuovi nati non saranno più in grado di trasmettere il batterio.
Secondo quanto comunicato dal Comitato permanente per la salute delle piante dell’UE, si prospetta un ulteriore “inasprimento” su questo versante: dovranno essere infatti eliminate tutte le piante ospiti, a prescindere (“irrespective“, nella versione originale) dal loro stato di salute, nel raggio di 100 metri dagli esemplari infetti.
Tale decisione si basa su una interpretazione della direttiva CEE del 2000, recepita nel decreto ministeriale del 26 settembre 2014. All’articolo 22 si afferma che per coprire le spese per le misure “necessarie, adottate o progettate” gli Stati membri possono richiedere il sostegno della Comunità. Queste misure definite necessarie contemplano, tra le altre cose, anche le seguenti, che cito testualmente:
a) le operazioni di distruzione, disinfezione, disinfestazione, sterilizzazione, pulizia o qualsiasi altro trattamento effettuato ufficialmente o su richiesta delle autorità competenti per:
i) i vegetali, prodotti vegetali e altre voci costitutivi delle forniture tramite i quali è stato introdotto l’organismo nocivo nella zona in questione, riconosciuti come contaminati o che possono esserlo,
ii) i vegetali, prodotti vegetali ed altre voci riconosciuti come contaminati, o che possono essere stati contaminati dall’organismo nocivo introdotto perché derivanti dai vegetali delle forniture in questione o per essere stati in prossimità dei vegetali, prodotti vegetali o altri oggetti di tali forniture o di quelli da esse derivanti,
In realtà, si tratta di una misura già prevista dal Piano, come abbiamo visto sopra; non era però stata ancora decisa la distanza di sicurezza tra pianta infetta e circostanti. Sembra in ogni caso che l’Italia sia riuscita effettivamente a ottenere un successo: si era parlato infatti di 200 metri in passato.
Non abbiamo strumenti per discutere quanto la attuale declinazione del concetto di “prossimità” sia dettata da necessità tecniche o sia il frutto di una interpretazione troppo forte da parte dell’Europa; né tantomeno possiamo dire se il taglio delle piante sane a prescindere è una “punizione” per i ritardi, gli intoppi, i ricorsi e gli altri elementi che hanno bloccato il Piano e hanno dato l’idea di un contesto non incline a fare il necessario per proteggere gli altri Stati membri. Non sappiamo nemmeno se con una mediazione efficace, si sarebbe potuto spuntare almeno la possibilità di accertare l’effettiva presenza del batterio sulle piante vicine a quelle infette, prima di tagliarle. Una cosa è chiara: gli spazi per discutere di questi elementi fondamentali sono stati coperti da altri temi, più o meno farseschi. Le decisioni UE erano prevedibili a chiunque, tra la società civile, avesse studiato i documenti, eppure non si è voluto discutere di questi temi. Ora c’è solo da sperare che le cose siano meno pesanti di quello che sembrano, perché difficilmente le scelte prese mercoledì potranno essere messe nuovamente in discussione.
Rischio cementificazione
Questa è forse la questione più semplice da discutere, poiché sono già stati posti in essere delle misure cautelative. Recentemente si è letto di progetti edilizi (una casa privata e una discoteca) che, nella richiesta di autorizzazione per l’espianto degli ulivi dai campi dove quelle strutture dovranno sorgere, richiamano le necessità legate all’eradicazione della Xylella, senza tuttavia avere alcuna analisi a supporto. In generale, si teme che questi e altri progetti possano approfittare della questione per velocizzare l’iter autorizzativo. Leggiamo anche che, fortunatamente, la Magistratura ha “drizzato le antenne”: segno che una vigilanza sul problema c’è. Da ottobre 2014, comunque, è in vigore una Legge Regionale, “Misure di tutela delle aree colpite da xylella fastidiosa”. Nei terreni soggetti a espianto a causa della Xylella fastidiosa, e solo per quelli con ulivi monumentali tutelati dalla specifica legge regionale, non si può cambiare per almeno quindici anni la tipizzazione urbanistica vigente al momento dell’espianto. Il fine è sostanzialmente quello di garantire la continuità della destinazione agricola di questi luoghi. Le discussioni su questa legge sembrano limitate; un altro frutto della generale confusione creatasi: da una discussione pacata e competente sugli eventuali limiti (piuttosto evidenti) di questa legge potrebbero scaturire idee migliorative, e questo avrebbe sicuramente un’utilità collettiva.
Pesticidi
In questo ambito sembra esserci la principale preoccupazione dei cittadini. La Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori (LILT) di Lecce ha per prima sollevato l’allarme, affermando che “se si dovesse irresponsabilmente procedere con uno spargimento a tappeto di pesticidi, si configurerebbe il reato di disastro colposo e di omicidio colposo a danno delle popolazioni salentine.”
In questa sede cercheremo di capire nel merito la portata delle misure; lo faremo, per quanto possibile, analizzando le sostanze presumibilmente da utilizzare e i loro impatti negativi.
Nel Piano si fa riferimento agli insetticidi registrati nelle “Norme eco-sostenibili per la difesa delle colture della Regione Puglia” (link). Le colture coinvolte sono quelle di olivo, rosacee da frutto e ornamentali, “evitando trattamenti sulle piante entomogame dall’inizio alla fine della fioritura. Ulteriori trattamenti potranno essere eseguiti nelle aree di aggregazione non alberate e sulle infestanti preferite dagli adulti delle sputacchine all’interno dei campi coltivati”.
Le sostanze coinvolte sono molteplici ed è difficile ricostruire la lista per ogni coltura: il riferimento principale utilizzato è quello definito dalle linee guida regionali 2014. Per fornire un’idea della pericolosità delle sostanze si è utilizzato il summary del database PAN: questo database raccoglie i risultati di diverse agenzie dedite alla valutazione del rischio associato a pesticidi (EFSA esclusa). Le valutazioni sono spesso non coerenti tra di loro: in questa sede si è scelto di utilizzare un principio di cautela, per cui se, ad esempio, anche solo una delle agenzie rileva che la sostanza può essere contaminante per le acque mentre per le altre non lo è, allora la sostanza verrà riportata come contaminante. Le sostanze sono le seguenti:
Imidacloprid: (cancerogenicità: improbabile, tossicità: moderata, potenziale contaminante per le acque)
Etofenprox: (cancerogenicità: probabile ad alte concentrazioni; potenziale distruttore endocrino)
Buprofezin: (cancerogenicità: possibile ; tossicità:bassa)
Dimetoato: (cancerogenicità: possibile; tossicità: moderata; potenziale contaminante per le acque, potenziale distruttore endocrino)
Deltametrina: (cancerogenicità: non classificabile; tossicità: moderata)
Lamba cialotrina: (cancerogenicità: improbabile, tossicità per mammiferi, api e invertebrati acquatici)
Clorpirifos metile: (cancerogenicità: improbabile, tossicità acuta: bassa)
Per evitare di indurre controproducenti allarmismi, è opportuno rilevare che le valutazioni delle agenzie preposte sono sempre ampiamente cautelative. Ad esempio, la stessa Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC) afferma che l’indicazione sul livello di cancerogenicità è basata su studi di laboratorio (se disponibili, anche epidemiologici) eseguiti ad “altissimi dosaggi o con durate di esposizione molto lunghe, difficilmente replicabili nella vita reale […] Alcol, benzene, la naftalina usata come antitarme negli armadi ma anche farmaci come la ciclosporina, impiegata per impedire il rigetto nei tumori: tutte queste sostanze hanno in comune l’appartenenza alla classe 1 IARC” (cancerogeni). La stessa istituzione dichiara che le liste mancano di alcune sostanze che, pur avendo una cancerogenicità, non sono inserite per mancanza di studi sistematici che ne possano adeguatamente valutare il rischio associato.
Questo vuol dire che si può prendere la situazione ( e in generale l’uso di queste sostanze) con leggerezza? Assolutamente no. Anche perché le dosi, la lunghezza di esposizione e l’aderenza alle modalità di uso prescritte sono centrali nell’effettivo impatto sulla salute, in primis dell’operatore che li usa. Inoltre, le interazioni tra sostanze e l’impatto di un loro eventuale accumulo sono molto complessi e ancora poco studiati nelle loro conseguenze di lungo periodo sia sulla salute che sull’ambiente.
Oltretutto, è opportuno ricordare che il territorio coinvolto dal Piano è già caratterizzato da un uso notevole, e forse poco consapevole, dei prodotti fitosanitari. I dati ARPA Puglia ci dicono che la nostra regione è la quarta per volume di prodotti distribuiti in Italia.
Tra fungicidi, acaricidi e insetticidi, erbicidi e vari prodotti fitosanitari, nella provincia di Lecce è stato distribuito il 13% del volume totale di prodotti usati in Puglia nel 2010, a fronte del 12% circa di SAU (superficie agricola utilizzata) di tutta la regione.
Si spera quindi che la sensibilità che sembra emergere in questi giorni possa rimanere alta anche nel lungo periodo, non solo nel momento in cui i riflettori sono puntati sull’emergenza.
Al di là di questi dati, non possiamo dire come il piano interagirà con la salute e l’ambiente nel territorio: mancano studi sistematici di valutazione su queste dimensioni che si spera arrivino presto.. Nel frattempo, la speranza è che la ricerca possa trovare soluzioni meno impattanti nella gestione di questo problema (v. qui e qui).
Il senso delle parole: “UNIONE Europea”
Lasciamo da parte per un attimo le responsabilità dei ritardi, delle discussioni astruse, del tempo perso. Perché ci troviamo in questa situazione? Tra tutte le teorie possibili, quella più probabile è anche la più semplice, direbbe il buon Occam: importazioni dal Costarica di piante di caffè ornamentali infette, transitate per l’Olanda.
Insieme al via libera alle misure di contenimento, attraverso il comunicato di mercoledì l’UE ci fa sapere che si bloccheranno le importazioni di piante di caffé da Costarica e Honduras, mentre le altre specie ospiti saranno soggette a condizioni severe.
Questo doveva essere il primo punto dell’agenda, come spesso sottolineato, pressoché in solitudine, dallo stesso José Bové, deputato francese dei Verdi; ad ogni modo, è il caso di sperare che le “strict conditions” di cui parla il comunicato stampa siano un bel po’ più “strict” di quanto avviene normalmente.
Proprio recentemente la Coldiretti ha richiamato l’attenzione sul rischio fitosanitario legato ai commercio internazionale. Basandosi sul rapporto Europhyt, il sistema di notifica fitosanitaria (attivo in 28 paesi membri più la Svizzera), l’associazione sostiene che “Nell’ultimo anno sono state intercettate ben 6957 partite di piante, parti di piante, prodotti ortofrutticoli e materiali di imballaggio in legno, delle quali il 95 per cento provenienti da Paesi extracomunitari, che non rispettavano le normative fitosanitarie comunitarie, secondo una analisi della Coldiretti. In 2483 partite, circa un terzo dei casi, sono stati trovati – precisa la Coldiretti – insetti, funghi, batteri o virus”. Nel 2013, la stima dei danni provocati in Italia da questi agenti ammonta a circa 1 miliardo di euro.
Prima o dopo poteva succedere che questi problemi minacciassero il patrimonio naturale e il paesaggio di qualche sfortunato pezzo d’Europa. La sorte ha voluto che toccasse proprio al Salento, e che colpisse quanto di più rappresentativo c’è dell’identità di quel territorio.
Nell’urgenza del presente però la stessa Europa non ha ancora fatto sapere che tipo di sostegno intende offrire al Salento, come è lecito aspettarsi che faccia. D’altronde, una comunità è tale quando si basa sul senso di responsabilità che lega i suoi membri. L’Italia e la Puglia in questo momento devono sopportare un grande peso per proteggere gli altri territori da un problema che la stessa istituzione, oggi così intransigente, ha generato ieri con la sua fallacia. L’Ue sembra non voler considerare il disastro causato: drastica nelle decisioni di contenimento, ma con la porta ancora aperta al contagio. Punitiva contro le specie ospiti in Salento, ma ancora accogliente con le stesse specie provenienti da paesi terzi. Tanti produttori hanno compreso appieno le implicazioni delle loro scelte. Per primi hanno mostrato grande senso di responsabilità, sforzandosi di trovare soluzioni propositive; soli, contro i complottismi, a portare una parola di buon senso: “bisogna puntare sulla ricerca!“. Proprio loro oggi sembrano doppiamente penalizzati: da un lato, l’ Europa lontana; dall’altro, un dibattito pubblico così confusionario da generare solo rumore, tanto assordante quanto inutile.
Sul come uscire da questo problema infatti sono poche le proposte sensate e vengono proprio dai quei soggetti che, nonostante la grande pressione a cui sono sottoposti, ancora adesso danno grande prova di lucidità. Nel mentre, si affollano i comunicati dai toni infuocati, le accuse strumentali, le criminalizzazioni, i sospetti. C’è chi sotto elezioni sposa le teorie più improbabili, purché popolari. Chi ha deciso che che l’obiettivo non è la tutela del patrimonio: è più importante il pubblico linciaggio dei “responsabili locali”. Chi si attribuisce una vittoria spacciata già per certa, quando ancora sappiamo poco e niente delle decisioni prese. Chi sostiene argomentazioni filoeuropee, che in questo momento sembrano quantomeno incomprensibili.
E per il resto, in tanti tacciono, per non entrare in una questione scivolosa sotto elezioni, non sia mai.
Mentre scrivo, si moltiplicano le indiscrezioni su un probabile peggioramento del piano che fin qui abbiamo discusso: c’è chi parla di dover eliminare anche i vitigni, chi parla di misure che coinvolgono anche le province di Taranto e Brindisi, finora toccate in minima parte e praticamente escluse dagli interventi più drastici, come abbiamo visto. Se questo fosse vero, si potrebbe dire che, rischiando il tutto per tutto, l’opposizione alle misure previste ha vinto, di fatto, scaricando il problema più a nord. Bel risultato.
Non ci sono ancora documenti ufficiali delle decisioni prese tra 28-29 aprile, i decreti attuativi arriveranno tra un mese: la sola cosa che sembra certa è che, continuando così, dove non arriva la Xylella, saranno la campagna elettorale e le manie di protagonismo a portare il deserto.
Paola Biasi