Mentre fuori l’autunno mette radici, io come in una soap opera di quart’ordine guardo dalla finestra scendere le gocce di pioggia sul vetro e ripenso all’estate. Alla mia estate, all’estate di merda che ho passato.
Perché nessuno me lo ha detto che non è d’estate che avrei dovuto cercare di elevarmi ma invece di abbassarmi a livelli di mediocrità epici?
Addio promiscuità diffusa.
Addio cocktail a 5€.
Addio serate in locali brutti facendo il paxxxerello.
Tutto finito.
Poi il dramma: Settembre.
Per tutti i nati oltre la Linea Gotica settembre è il mese del ritorno alla vita normale, quella produttiva, quella che permette al nostro paese di prosperare ed essere quell’esempio di qualità che solo il made in Italy sa dare: siamo fieri di voi ragazzi. Ma per noi meridionali settembre è solo un’altra estate, un po’ diversa da quella ufficiale, sbiadita; diciamo pure un’estate made in China.
Anche se fa ancora caldo lo senti che manca ancora qualcosa: non ci sono più i milanesi, tornati a fare i milanesi da un’altra parte.
Non c’è più l’acquagym e quell’insano piacere di vedere quelli più grassi di te che sbanfano in acqua scommettendo su quello/a che avrà prima di tutti il coccolone.
Che stronzo che sono stato per considerare tutto ciò inutile.
Da un mese a questa parte per consolarmi sto riascoltando un disco che è un po’ consolazione e un po’ speranza per me; si tratta di Salad Days, terzo album di Mac DeMarco.
Come definire Mac DeMarco? Secondo il gergo di noi giovani che guidiamo l’auto contromano, un “presobene”; secondo coloro che nel 77 sparavano nelle piazze, un “cantautore”.
Quale sia la definizione che più vi aggrada, lasciatemi dire che il buon Mac è uno che sa fare musica. La sua ricetta sonora è sempre la stessa: chitarre limpide e poco altro per realizzare un pop dall’andamento rilassato con la sua voce calda e qualche synth giusto per gradire.
Salad Days è un espressione inventata da Shakespeare, ed inserita per la prima volta in Antonio e Cleopatra; significa “i bei vecchi tempi andati”. Lo vedete che tutto torna con l’estate?
Salad Days è un album che parla di maturazione e delle sue difficoltà, ma la caduta non è mai definitiva: c’è sempre la famosa luce in fondo al tunnel. Così nell’omonima canzone che apre l’album Mac canta: “Ogni giorno invecchio e provo sempre più rancore. Vivo la vita senza pensare, per girarmi su un fianco e morire”. Ma qualche verso dopo: “Oh mamma, mi comporto come se la mia vita fosse già finita. Oh caro, comportati per gli anni che hai e provaci anche quest’anno”. Ecco, la caduta e il cerotto istantaneo. Anche nella seguente “Blue Boy” racconta la sua paura e la tensione per gli occhi del mondo sulla sua carriera in ascesa e subito si tira su: “ Calmati, tesoro. Cresci”.
La chitarra, qui come altrove, ha una funzione lenitiva, sembra una carezza; in altre come “Goodbye Weekend” è pigra e svaccata e fa da contraltare ad una storia di scazzo da fine settimana.
Mac ci stai dicendo tutto e il contrario di tutto?
Vi segnalo infine le mie due preferite: “Let My Baby stay”, una romantica preghiera scritta per la sua ragazza, Kiera McNally, che rischiava di essere espulsa dagli Stati Uniti per problemi di permesso di soggiorno (spoiler: è finita bene); e “Chamber Of Reflection” (la mia preferita in assoluto): qui ritorna il tema dell’inadeguatezza al mondo, accompagnata da una batteria che ricorda certi brani del Lennon solista, e dal synth, qui a farla da protagonista, che crea una sensazione di malinconia.
Grazie Mac, grazie per questo album, l’anno prossimo non mi farò scappare l’estate.
Per le traduzioni si ringrazia il blog traducocanzoni.wordpress.com
Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo:
Volcano Choir, Repave, 2013
Protomartyr, The Agent Intellect, 2015
Sufjan Stevens, Carrie & Lowell, 2015