Dal 25 al 27 Settembre si è tenuto a Bari il meeting EurHope? organizzato dalla Sinistra Unitaria Europea (Gue/Ngl) con il supporto della rete italiana Act!, nata l’anno scorso durante la campagna elettorale a sostegno della lista L’Altra Europa con Tsipras. L’iniziativa barese, articolara tra assemblee e gruppi di lavoro, ha visto la partecipazione di Philippe Van Parijs, teorico del reddito di base, di Maurizio Landini, segretario Fiom, dei militanti di gruppi come Blockupy, ed esponenti delle forze della Sinistra Europea. L’obiettivo del meeting è stato proporre e discutere una comune “cassetta degli attrezzi” per giungere ad affrontare un’intensa stagione di lotta e contribuire nella costruzione della parte italiana di una forza politica europea. Il cuore del dibattito è stato la questione sociale. Lavoro, welfare e lotta alle diseguaglianze sono state designate come coordinate da seguire per dare vita ad una nuova Europa in grado di porre al centro le condizioni di vita delle persone, in particolare di quella fascia di europei a rischio povertà e dei precari. Su che gambe poter guardare l’Europa in un orizzonte di speranza e opportunità?
Nel pomeriggio di sabato 26 si è sviluppato il dibattito Reddito e welfare: una nuova cittadinanza europea. Philippe Van Parijs, filosofo ed economista belga, noto come principale sostenitore dell’introduzione del basic income, ha osservato una vera e propria accelerazione in Europa a favore del reddito di base, spiegando che un numero sempre maggiore di forze politiche appoggiano questa idea, nonostante il tema continui ancora oggi a dilaniare una parte della sinistra europea. Philippe Van Parijs ha posto l’accento sui tre aspetti incondizionali del basic income:
– reddito ad hoc per il singolo individuo. Ciò si tradurrebbe nell’incoraggiamento all’unione, alla vita comunitaria e familiare;
– universalità di tale misura: il sussidio universale comporterebbe delle alternative migliori rispetto alle tradizionali politiche laburiste, con un conseguente miglioramento della società nel suo complesso;
– proprio perché incondizionato il reddito non solo è volto alla lotta contro la povertà e le diseguaglianze, ma deve innescare un processo di liberazione dell’uomo dal lavoro stesso. La giustizia non è solo una questione di reddito, ma di potere, della possibilità di scegliere cosa fare della propria vita. In altri termini, si tratta della libertà reale di fare, nel lavoro e al di fuori del lavoro. Anche se parliamo di un reddito, dunque di una risorsa monetizzabile, i benefici non si limitano a considerazioni sul benessere materiale degli individui, ma investono anche l’uso che possiamo fare del nostro tempo. Il reddito di base proprio perché incondizionato ci permetterebbe di scegliere tra lavori diversi e tra differenti attività non lavorative. É grazie tutti questi elementi che può celebrare un matrimonio con la giustizia.
Come giungere a questo obiettivo? Perché la Sinistra europea appare spesso scettica e spaccata come una mela attorno a questa tematica? Le diseguaglianze nel mercato del lavoro sono aumentate verso la fine del periodo fordista. Progressivamente si è assistito ad una polarizzazione dei redditi: alti redditi concentrati in ristrette fette di popolazione e bassi salari nelle mani di tanti. Ciò è avvenuto per due ragioni: da un lato, per motivi di mercato e, dall’altro, a causa di meccanismi trainati dalle politiche (tassazione, sistemi di contrattazione collettiva, sussidi di disoccupazione sempre più insufficienti).
Il trionfo del neoliberismo e le conseguenze dell’Unione Monetaria hanno reso il welfare classico del tutto inadeguato a fronteggiare le sfide odierne. Infatti esso aveva come riferimento il lavoratore garantito, il vecchio operaio industriale. Il problema adesso è dato dai vecchi ammortizzatori sociali: i vari modi di cassa integrazione non bastano più a causa della diffusione del lavoro precario, sommerso, a tempo e quindi non garantito. Siamo dinnanzi ad un Welfare State fermo, che non riesce a tutelare precari, migranti e altre soggettività ibride, ovvero la maggioranza invisibile dell’Europa. Il reddito in questo quadro tutelerebbe universalmente i soggetti che eccedono il paradigma del welfare classico e, dall’altro lato, fungerebbe da dispositivo di decostruzione, poiché riconoscerebbe gli individui aldilà del posto che occupano nel mercato. Il dibattito vero e urgente non è sull’essere favorevoli o contrari alla moneta unica, ma sul cercare di mettere insieme e rappresentare questa maggioranza invisibile, sapendo connettere le lotte, i movimenti, i sindacati, i partiti, ma anche intellettuali e studiosi per ripensare le coordinate di una società intera. L’Europa è il terreno di lotta che ha fatto del debito un efficacissimo strumento di violenza e di ricatto.
Per molto tempo si è caduti in errore pensando che la crescita economica equivalesse ad un miglioramento delle condizioni di vita. Durante il dibattito Emanuele Ferragina, della Oxford University, ha sottolineato che paesi come il Regno Unito, la Germania e la Svezia ad un aumento del PIL hanno registrato un incremento di precari e nuovi poveri. Ciò ha significato la rottura irreversibile di uno dei capisaldi del fordismo. Contrariamente a ciò che si possa pensare, non garantire il reddito di base affossa la domanda aggregata con un netto aumento della povertà e delle diseguaglianze.
Riflettendo sul reddito minimo si può incorrere in criticità, e le imbarcate teoriche possono essere pericolose. In particolare, si avverte il rischio di snaturare il welfare del futuro rendendolo un ulteriore strumento di ricatto. Si pensi ad esempio al REIS (reddito d’inclusione sociale), che vincola l’ottenimento del sussidio all’obbligo di cercare un lavoro, dare disponibilità a iniziare un’occupazione offerta dai Centri per l’impiego e a frequentare attività di formazione o riqualificazione professionale, a prescindere dalla congruità con il proprio percorso formativo o dalla volontà dell’individuo. Inoltre, nel dibattito contemporaneo abbiamo assistito ad una sinistra abbastanza spaccata sull’argomento: la risposta prevalente in Italia, dalla politica ai sindacati passando per parte dell’informazione, cade spesso in un equivoco: quello di contrapporre la tutela del lavoro e le politiche per l’occupazione all’introduzione di un reddito minimo. Come se una strada escludesse l’altra. Nel peggiore dei casi, invece, si tende a liquidare il reddito garantito come una misura utopistica, nonostante 22 paesi Ue già lo prevedano.
Durante l’incontro di sabato sono stati condivisi tantissimi spunti di riflessione sull’idea di una lotta per il basic income, la cui filosofia abbraccia il costituzionalismo dei bisogni, muove le leve di un’attitudine contro-assistenziale passando per innovativo concetto di protezione sociale, all’interno di un processo di discussione faticosamente costituito dentro e oltre la crisi. Eurhope? Europa e speranza possono ancora andare insieme?