Nell’era dell’informazione totale e istantanea, il modo in cui i media narrano la realtà assume sempre più importanza. Raccontare i fatti in modo pressoché univoco contribuisce a quella che noi consideriamo realtà oggettiva (una falsità raccontata cento volte diventa verità), modellando le nostre esperienze e le nostre convinzioni riguardo il mondo e la vita.
Il modello di riferimento per tutti i media che hanno raccontato i fatti extracalcistici riguardanti la finale di Coppa Italia è quello del conflitto narrativo tra violenza (e paura, che per convincere la massa è da sempre utile) e sport, quella che nelle favole è semplicemente il conflitto tra antagonista e protagonista, cattivi contro buoni. Può essere esercizio utile smascherare questo schema.
“Rovinata la finale di Coppa Italia dalla follia ultrà”
I fatti che tutti si prodigano nel raccontare, in realtà, sono ancora poco chiari, dall’inizio alla fine.
In rete si trovano decine di link intitolati “video degli scontri”, ma basterà aprirli per rendersi conto di come non emergano particolari situazioni di pericolo. Anche il momento dello sparo a Ciro Esposito, ultrà napoletano, non è testimoniato da alcun video o immagine e le ipotesi riguardanti le dinamiche rimangono per ora tali. La più accreditata parla di un agguato dei tifosi romanisti a quelli partenopei, e a sparare è un tifoso giallorosso, candidato tra l’altro con Alemanno alle scorse elezioni.
Per ciò che è successo all’Olimpico, invece, i media narrano di una presunta trattativa avvenuta tra Digos e ultras Napoletani sul giocare o meno la partita. A riguardo, nessuna testimonianza diretta, audio o video. Questa versione – che anche tutta la politica assume come dato di fatto incontrovertibile – cozza sia con quella data dalla Questura di Roma, sia con quella del ormai celebre Genny ‘a Carogna. Riservo dubbi su entrambe le ultime due fonti. Ma se la Questura avrebbe un chiaro vantaggio di credibilità nel non ammettere l’eventuale contrattazione, diverso è il discorso per l’ultrà partenopeo, che potrebbe invece risultare avvantaggiato e fiero – almeno stando a quello che possiamo immaginare da ciò che (non) si racconta riguardo la mentalità ultras – di aver messo sotto scacco il circus calcistico mentre Renzi e Grasso, due tra le più importanti cariche dello stato, guardavano attoniti l’evolversi dei fatti.
Di Gennaro De Tommaso, i media, già poche ore dopo gli avvenimenti delineavano già un dettagliatissimo profilo, degno del peggior antagonista: si tratta – dicono – di un camorrista scissionista che indossava una maglia che inneggia un assassino. L’assassino in questione è Antonino Speziale ultrà catanese condannato per l’omicidio dell’ispettore di polizia Filippo Raciti durante gli scontri che hanno preceduto il derby col Palermo nel febbraio 2007.
De Tommaso afferma che non c’è stata alcuna trattativa: le forze dell’ordine così come Hamsik, calciatore-simbolo del Napoli, hanno rassicurato un’intera moltitudine giustamente preoccupata delle sorti di Ciro Esposito, sul fatto che il ragazzo ferito non fosse morto. Nel momento in cui scrivo rischia la vita e la paralisi per un atto vile, ma è stato incredibilmente già posto in stato di arresto.
Inoltre, afferma che il suo soprannome “‘a carogna” è stato ereditato dal padre e non indicherebbe cattiveria ma sfortuna.
Riguardo la maglietta di solidarietà a Speziale, precisa che si tratta di un ragazzo che chiede la revisione del processo. Che Speziale sia stato accusato ingiustamente di omicidio lo dicono invece i Ris, le cui indagini sembrano colpevolizzare una manovra fatale di un jeep della polizia.
“Lo sport non ha a che fare con la violenza: il calcio è solo un gioco”
Ma è davvero così? Il sociologo Roger Callois ha delineato i caratteri necessari affinché un’attività si consideri gioco. Tra queste vi è l’improduttività, ossia quando non si creano né beni, né ricchezze, né altri elementi di novità.
Il calcio moderno è un vero e proprio mercato e la Figc è l’istituzione regolatrice così come lo è la Consob per i mercati finanziari.
Un mercato globale e senza scrupoli, se consideriamo volume d’affari e i morti che esso produce: in Brasile sono 8 gli operai deceduti nella costruzione degli impianti sportivi che ospiteranno i mondiali il prossimo Giugno; in Quatar, per gli impianti utili per i mondiali del 2022, sono già 400.
Il marketing insegna che in ogni mercato di produzione di servizi, tutto ruota attorno al cliente e il fatto che i tifosi siano ormai considerati clienti non lo scopriamo certo ora. Il marketing afferma che i clienti difficili creano distorsione nell’erogazione del servizio, e gli ultras sono considerati tali.
Il calcio è un mercato, dicevamo, e come tale deve mantenere integra la propria immagine nel segmento di mercato di riferimento, che non è sicuramente quello dell’ultras: il tifoso modello segue le comunicazioni della squadra, compra i gadget del merchandising ufficiale, sostiene commercialmente le scelte dei giocatori più rappresentativi. Qualcuno li chiama “tifosi sani”.
L’ultras invece è un cliente che crea poco valore aggiunto, poco profitto. Non è un cliente fedele e remunerativo – il tipo di cliente ideale per tutte le aziende di produzione di servizi – che invece è ormai rappresentato dalla maggioranza dei fans delle più quotate squadre calcistiche. Crea da solo il materiale di tifo, come bandiere e sciarpe del gruppo ultras d’appartenenza; è l’unico a protestare per aumenti del costo del biglietto; è una potenziale moltitudine; tifa la maglia. Tutti aspetti in contraddizione con quelli dei cosiddetti tifosi sani. Eliminare i clienti difficili e poco remunerativi è per le società vantaggioso e profittevole.
Definire il movimento ultras una controcultura è alquanto riduttivo. È un fenomeno molto più complesso, che spesso colma i vuoti sociali e affettivi degli individui in un mondo dove la socialità va via via disgregandosi. Molte sono le amicizie che si legano nei gruppi organizzati che hanno ormai un tessuto di estrazione sociale variegato. Il senso d’appartenenza è forte e il potenziale aggregativo delle curve è potentissimo: è uno dei luoghi più empatici. Pensare, quindi, di debellare l’ultras come fosse un virus è l’illusione di tutti i governanti. La narrazione dei media è comunque funzionale sia per legittimare gli interventi delle forze dell’ordine in caso di conflitto di piazza; sia affinché la mannaia repressiva si abbatta durissima e a furor di popolo: Alfano, Ministro dell’Interno, parla già di Daspo a vita, cioè di ergastolo sportivo.
Parallelismo esagerato?
Così come gli ultras che hanno la “colpa” di non adeguarsi al mercato vengono espulsi dalla società di mercato, additati come inadeguati alla convivenza socialmente accettata, lo stesso trattamento viene riservato da sempre ai movimenti di protesta che non si vogliono adeguare ai diktat del capitalismo globalizzato.
Oppure: essendo i partiti governati da vere e proprie politiche di marketing, potenziali moltitudini avverse ai partiti di governo non sono funzionali al “mercato della politica”.
Ricordiamoci i toni dei media locali il 3 Agosto 2012, il giorno successivo alla prima protesta del Comitato Cittadini e Lavoratori Liberi e Pensanti e alla sua nascita. Definizione in quel caso: “teppaglia sottoproletaria ultras”.
Come recitavano alcuni striscioni contro la repressione negli anni scorsi, “Prima agli ultrà, poi a tutta la città”. Intanto Alfano, che vuole l’ergastolo sportivo per gli ultras, è lo stesso che chiama i No Tav terroristi.