«I bei libri sono scritti in una sorta di lingua straniera. Sotto ogni parola ciascuno di essi mette il proprio senso o, per lo meno, la propria immagine, che spesso è un controsenso. Ma, nei bei libri, tutti i controsensi in cui si cade sono belli».
Così scriveva Proust e lo stesso avvertiamo quando un libro come “Bartleby lo scrivano” ci capita per le mani. Il racconto breve che Melville regala ad un mondo intriso di utilitarismo irrompe attraverso la laconicità dello scrivano, caratterizzata dalla sua affermazione o negazione «I prefer not to» e, attraverso questa, Bartleby realizza il massimo della propria potenza d’essere.
Ci troviamo a New York, Wall Street, in data non specificata, presso l’ufficio di un avvocato, voce narrante dell’opera, il quale ci mette in guardia sin da subito che Bartleby è un personaggio troppo ambiguo e sconosciuto anche per egli stesso che lo racconta e lo ha assunto come suo scrivano. Colleghi del protagonista sono due singolari individui che rappresentano nelle loro caratteristiche l’opposto del nuovo assunto: infatti il primo esercita alla perfezione il proprio mestiere al mattino diventando nel pomeriggio arrogante e distratto, e il secondo manifesta gli stessi umori al contrario. Opposto, dunque, di Bartleby il quale sin dal primo giorno si presenta come persona straordinariamente composta, per niente eccentrica e dedita al lavoro in modo impeccabile. Questo almeno accade sino alla prima richiesta da parte dell’avvocato di eseguire un’altra faccenda rispetto a quella di copista, evento che mette in scena la ‘formula-blocco’ : preferirei di no.
In un meraviglioso saggio scritto a quattro mani da Gilles Deleuze e Giorgio Agamben “Bartleby – La formula della creazione”, il filosofo francese analizza minuziosamente l’evoluzione linguistica che sottintende la formula e la sua potenza, la quale si presenta come via di fuga in un processo rizomatico ovvero in grado di stabilire connessioni, o meglio concatenamenti in ogni direzione :
Melville inventa una lingua straniera che corre sotto l’inglese e lo travolge: è l’OUTLANDISH, o il Deterritorializzato. […] È come se si concatenassero tre operazioni: un certo trattamento della lingua; il risultato di questo trattamento, che tende a costituire nella lingua una lingua originale; e l’effetto, che consiste nel mettere in movimento tutto il linguaggio, nel farlo fuggire, spingerlo verso il suo proprio limite per scoprirne il Fuori, silenzio o musica.
La formula di Bartleby una volta pronunciata comincia a proliferare, presentandosi sempre più frequentemente alle richieste dell’avvocato, facendo crescere ‒ come fosse un lento climax che percorre il libro ‒ una follia, non quella di Bartleby, ma di chi lo circonda: il narratore in primis si lancerà in strane proposte e ambigui comportamenti.
La formula, I prefer not to, non era né un’affermazione né una negazione. Bartleby «non rifiuta e neppure accetta, avanza e si ritira in questa avanzata, si espone appena in un leggero ritrarsi del discorso». L’ avvocato sarebbe sollevato se Bartleby non volesse affatto; ma Bartleby non rifiuta, si limita a ricusare un non – preferito.
Ed è quest’espressione che disegna la figura di un uomo che non ha nulla in particolare: non ha proprietà, non ha qualità, non ha passato né futuro, non ha referenze, tant’è vero che “I prefer not to” può essere letto anche come “I am not particular” ovvero “non ho esigenze particolari”. Tutta la letteratura del XIX secolo è pervasa da questo senso dell’uomo inetto, fuori luogo, che non si riconosce, che viene ricacciato ed escluso, schiacciato e meccanizzato dalle grandi metropoli. Secondo Deleuze questa tipologia di individui fa parte di una “Natura Prima”.
«Gli Originali sono esseri della Natura prima, ma non sono separabili dal mondo o dalla natura seconda e vi esercitano il loro effetto: ne rivelano il vuoto, le imperfezioni delle leggi, la mediocrità delle creature particolari, il mondo come mascherata.»
Il problema dunque che tormenta l’opera di Melville, di cui Bartleby è tappa fondamentale, è sicuramente il bisogno di far ricongiungere questi due tipi di Nature, quella di costituire un universo, una società di fratelli, una comunità che muove dal pensiero di Jefferson, Thoreau . Egli stesso in Moby Dick scrive :
«Se l’uomo è il fratello dell’uomo, se è degno di «fiducia»,non lo è in quanto appartiene ad una nazione o in quanto proprietario o azionista, ma lo è solo in quanto Uomo, quando ha perso quei caratteri che costituiscono la sua «violenza», la sua «idiozia», la sua «abiezione», quando non ha più coscienza di sé se non sotto i tratti di una «dignità democratica» che considera tutte le particolarità come altrettante macchie d’ignominia che suscitano angoscia o compassione. L’America è il potenziale dell’uomo senza particolarità, l’Uomo originale.»
É visto attraverso questa lente d’ingrandimento, fornita dal filosofo francese, che comprendiamo con facilità la funzione vera di Bartleby, il quale non è più il farmakòs, l’elemento da allontanare; egli si sottrae ad ognuna delle categorie solite razionali che la letteratura ha conosciuto per regalarsi alla storia come medico o come Cristo di un America o meglio di un’umanità.