Ha senso sovrapporre i termini governo e ambientalismo? È risaputo che l’ambientalismo – sia con riferimento ai movimenti politici, locali e nazionali, che si richiamano esplicitamente ad esso, che alla galassia di associazioni/organizzazioni/ comitati che fanno più o meno apertamente riferimento a questo sistema di valori – non è coinvolto in nessuna esperienza di esercizio formale del potere amministrativo. È, però, altresì evidente che i discorsi in termini di difesa/ripristino/valorizzazione dell’ambiente occupino, nel dibattito pubblico ionico, un posto di assoluto rilievo. È possibile imbattersi in un intervento pubblico che non faccia riferimento– anche solo strumentalmente o per convenienza politica – alla salvaguardia dell’ambiente? Verosimilmente no. Da questo punto di vista, almeno da sei anni a questa parte – per lo meno a partire dal grande corteo del 28 novembre 2008 promosso da Altamarea – l’ambientalismo rappresenta un campo di sapere, pratiche e linguaggi così esteso e pervasivo, radicato e partecipato, da costituire – a tutti gli effetti – un campo di potere con il quale è impossibile non fare i conti.
In quest’ottica, il tema del governo sembra interessare l’ambientalismo da due punti di vista differenti ma connessi. Il sapere ambientalista è sottoposto – come tutti i movimenti potenzialmente idonei a sovvertire l’ordine delle cose – al costante logoramento da parte di strumenti, retoriche, interventi che lavorano per depotenziare, limitare, indirizzare, disinnescando la sua carica potenzialmente trasformativa. In una parola, l’ambientalismo è costantemente sottoposta ai tentativi di governo da parte dei dispositivi di potere che, tramite l’inserimento nell’ordine del discorso ambientalista di efficaci elementi retorici di indirizzo e cattura, tendono a normalizzare la sua carica potenzialmente sovversiva, finendo col rendere l’ordine generale del discorso ambientalista compatibile con la razionalità dominante, a Taranto e ovunque: quella del mercato e del profitto.
Da questo punto di vista, un certo trionfalismo con il quale si descrive l’evidente consenso e partecipazione che accompagnano le manifestazioni in difesa dell’ambiente è probabilmente per lo meno frettoloso: non facciamo sufficientemente i conti con la capacità dei dispositivi di potere di inserirsi, recuperandole e governandole prima ancora che tramite divieti e censure, nelle pratiche di movimento potenzialmente sovversive. Il punto è centrale, e sembra opportuno precisarlo ulteriormente: questa capacità di recupero non si sviluppa principalmente tramite l’imposizione di forme del divieto (che resta comunque un’ipotesi residuale e emergenziale) ma, al contrario, avviene inducendo la proliferazione del discorso ambientalista lungo percorsi consolidati, in direzione dell’assoluta compatibilità con l’esistente, in un efficace processo di disciplinamento sociale.
Appare evidente quanto il tema del governo, quindi, interessi (anche) le tematiche ambientaliste: più che osteggiati, impediti, vietati, i discorsi in termini di ambiente – con particolare riferimento alle pulsioni, alle idee e alle tendenze incompatibili con l’ordine dominante del profitto e del mercato – vengono governati, tramite l’utilizzo di una serie di strumenti, dispositivi e retoriche che, lungi dall’opporsi al discorso ambientalista, lo amministrano, lo disinnescano, e infine lo riconducono in una zona di compatibilità con quel particolare tipo di organizzazione sociale che chiamiamo neoliberismo.
Si obietterà: l’ambientalismo, più che un sistema di valori omogeneo, è un insieme eterogeneo di tendenze a volte molto diverse tra loro. È indubbiamente vero, e proprio per questo può essere utile – tenendo ben presente la composizione multiforme e diversificata del campo ambientalista – valutare qual è la risultante di questo affollato campo di forze. Il discorso sull’ambiente, quindi, come campo di battaglia, nel quale i dispositivi di potere, lungi dall’impedire, limitare, contenere la circolazione del sapere, utilizzano questo stesso insieme di sapere come arma di governo per esorcizzare le controcondotte potenzialmente trasformatrici, a vantaggio delle prese di posizioni compatibili con le miserie dell’esistente.
Si domanderà: ha senso analizzare la portata del discorso ambientalista in un territorio amministrato da corpi politici di altre tendenze? La risposta, probabilmente, è affermativa. Lo si immagini come una forma di autotutela collettiva: è molto probabile che una parte importante della rappresentanza politica del prossimo futuro provenga e/o utilizzi (anche solo strumentalmente) il campo di sapere proveniente dal mondo ambientalista. Inoltre, intorno alla disfatta del vendolismo e alla farsesca epopea dell’amministrazione Stefàno, iniziano ad esserci riflessioni/prese di parola approfondite e interessanti. Mancano, allo stato attuale, forme di autovalutazione collettiva della portata dei discorsi ambientalisti, che appaiono decisamente troppo importanti per il presente e il futuro di questa città per essere ignorati e/o accettati e replicati acriticamente.
Con l’avvicinamento al corteo del 19 dicembre – lavorando affinché sia partecipato dal punto di vista dei numeri e molteplice ed eterogeneo dal punto di vista delle prese di parola – potrebbe essere utile far si che quella data sia anche l’occasione per fare un bilancio collettivo del sapere ambientalista. Di più: se complessivamente, nonostante la diffusione e il generoso attivismo di tante e tanti, il sapere ambientalista non è stato in grado di contrastare la devastazione che pure descrive, un check up collettivo è quanto mai necessario, alla ricerca di quei dispositivi di potere che, insediati anche in questa galassia, favoriscono l’eterno ritorno dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sull’ambiente.
Il tema è centrale, anche per un’altra circostanza. L’ambientalismo, come abbiamo indicato precedentemente, è sottoposto a mirate tecniche di governo e, allo stesso tempo, è esso stesso uno strumento di governo. È esso stesso costantemente utilizzato per produrre passioni, governare le condotte, imporre punti di vista e linguaggi. E’, in aggiunta, una forma di governo particolarmente efficace, forte dell’ utilizzo di una terminologia tutt’altro che neutra (piena di termini come vita, morte, malattia, sofferenza, dolore) capace di veicolare emozioni, creando un denso campo di passioni. Questo intenso campo di passioni, probabilmente, è tra i più incisivi strumenti di assoggettamento e soggettivazioni per una sterminata moltitudine di giovani e giovanissimi nata e cresciuta nella nostra città.
In un secondo intervento sul tema de “il governo dell’ambientalismo” verrà presentata una prima ipotesi di elenco e descrizione dei citati strumenti, dispositivi e retoriche, utilizzati dal potere per depotenziare la carica potenzialmente sovversiva dell’ambientalismo. Non può che essere l’inizio di una riflessione collettiva e molteplice. È appena il caso – per ragioni di metodo – richiamare in questa sede, schematicamente, uno di questi potenti dispositivi, tra i più efficaci e utilizzati. Tendenzialmente, chiunque inserisca elementi di riflessione critica, o semplicemente suggerisce letture inconsuete, o ancora produce interrogati o solleva dubbi, che interloquiscono con l’ordine del discorso ambientalista, non accodandosi con le tendenze dominanti ma cercando di far emergere il nascosto, il non detto e il molteplice, è frequentemente tacciato, a seconda dei casi, come colluso/amico dei Riva/funzionale all’inquinamento/nemico dei bambini. Ecco un esempio – appena accennato – dei dispositivi retorici che ostacolano la nascita di un pensiero complesso, approfondito, articolato ed efficace intorno al rapporto tra l’ambiente e società. Potremmo provare a farci caso, nell’avvicinarci all’importante giornata del 19 Dicembre: il futuro resta possibile se il presente viene messo in movimento.