Tanto si è detto e scritto sulla questione Xylella. Con questo contributo vi proponiamo un’analisi sulla qualità di una parte dell’informazione e sulle sue ricadute pratiche sul modo di intendere e affrontare il problema. Per una questione di leggibilità e accessibilità le citazioni dal materiale scientifico sono tradotte in italiano; il testo originale con tutti i riferimenti necessari, compreso il link alla fonte stessa, è disponibile in nota.
Sulla “questione Xylella” in Salento abbiamo avuto modo di confrontarci con le più disparate interpretazioni. Si sono sostenute, a volte contemporaneamente, tesi in aperta contraddizione logica. In alcune occasioni, si è semplicemente negata l’esistenza del batterio; in altre, si è detto che le piante infette stanno “risorgendo”. Si è affermato che l’infezione si è sviluppata a seguito di un convegno tenutosi a Bari nel 2010: a questo proposito, si è sostenuto che l’introduzione fosse dolosa perché funzionale agli interessi della multinazionale Monsanto e, al contempo, che la stessa Xylella in realtà sia una tipologia endemica del Salento (per cui la radice del male andrebbe ricercata in alcune specie di funghi che determinerebbero il disseccamento delle piante).
In questo vespaio è a volte difficile distinguere i pareri (basati su competenze) dai punti di vista (fondati su credenze, non verificate né verificabili). E tanto più difficile è capire cosa sta succedendo quanto più si moltiplicano le voci, con operazioni mediatiche che mettono sullo stesso livello tecnici politici attivisti cantanti agricoltori e chiunque, a vario titolo e giustamente, senta di doversi interessare al problema. Come si è arrivati a generare questo intrico di visioni in cui si può oramai dire tutto e il contrario di tutto? Vogliamo qui illustrare alcuni elementi che contribuiscono a spiegare almeno in parte il corso degli eventi
Cosa ha detto l’Efsa?
Come i più sapranno, l’associazione Peacelink si è fatta portavoce in ambito europeo delle istanze delle associazioni ambientaliste dei territori colpiti. In particolare, la ONG si è fatta carico di fornire, cito testualmente,
informazioni scientifiche e tecniche secondo le quali Xylella fastidiosa non è la causa del fenomeno del declino degli ulivi in Italia meridionale ma solo un elemento endogeno presente negli ulivi, che non è attivo o aggressivo a meno che una serie di funghi (…) non infettino le piante e creino le condizioni favorevoli per lo sviluppo della Xylella fastidiosa. Allo stesso tempo la ONG italiana sostiene che esistono possibilità di trattamento per questi funghi.
Le informazioni di cui si parla sono sostanzialmente di due tipi: 1) pubblicazioni scientifiche e studi della prof.ssa Antonia Carlucci riguardanti il ruolo di alcune specie di funghi nel deperimento degli ulivi nella zona di Foggia e BAT (fuori dall’area colpita dalla Xylella)[1], e il potenziale di insediamento della Xylella stessa nell’area mediterranea; 2) i video forniti dalle associazioni ambientaliste che riprendono le condizioni di ulivi su cui sono state implementate tecniche di trattamento dei funghi incriminati, insieme alle analisi dei suoli su cui insistono le piante trattate.
Va da sé che sostenere che ci siano evidenze che smentiscono le conoscenze finora acquisite è sufficiente a mettere in discussione le dolorose misure che dovrebbero essere implementate. Come dire: se hai un braccio rotto non serve la chemioterapia, basta un gesso. E così l’Agenzia europea sulla salute degli alimenti (Efsa), su sollecito della Commissione Europea, si è messa al lavoro, analizzando le pubblicazioni (e interpellando direttamente la prof.ssa Carlucci) e visionando i filmati sottoposti alla sua attenzione da Peacelink.
La prima questione con cui si è confrontata l’Efsa è: si può affermare che la Xylella è un elemento innocuo per gli olivi, a meno che non intervengano degli specifici funghi? Si può affermare che questi funghi siano quindi la causa primaria della malattia?
La risposta data dall’Efsa al quesito nello studio pubblicato venerdì scorso è stata chiaramente e inequivocabilmente NO[2]: non c’è alcuna dimostrazione scientifica che possa supportare l’affermazione che la Xylella non sia la causa del disseccamento degli olivi salentini, né che sia endogena, né che sia innocua, né che crei problemi alla pianta solo in presenza di questi funghi come sostenuto dalle associazioni ambientaliste. Certo, questi funghi fanno deperire le piante che infettano, come rileva ampia letteratura; tantomeno, ha rilevato l’Efsa, si esclude che, insieme ad altri agenti, essi abbiano un ruolo in quello che sta succedendo in Salento. Ma la domanda, lo ripetiamo, è: sono i funghi la causa primaria del disseccamento rapido? E la risposta è NO, non c’è alcuna dimostrazione scientifica a supporto di questa affermazione.
Riguardo ai video e alle analisi dei suoli, l’Efsa in buona sostanza dice[3] che in essi si sostiene l’efficacia del trattamento applicato, ma non si menziona la Xylella né i metodi di rilevazione della presenza del batterio (sebbene le piante siano vicine ai luoghi della prima manifestazione della Xylella); parimenti, non sono fornite informazioni sul disegno sperimentale utilizzato nella valutazione dell’efficacia del trattamento né è chiaro cosa dovrebbero dimostrare le analisi dei suoli e per quale motivo ci si aspetta che l’Efsa le tenga in considerazione. Nonostante il video non mostri in che modo il trattamento presentato sia in grado di prevenire o ridurre l’impatto dell’infezione da Xylella (che è appunto il tema centrale della questione), l’Agenzia ha provveduto ad analizzare la letteratura disponibile sui metodi di controllo dei funghi che si suppone possano essere coinvolti nel disseccamento degli ulivi. Trovando pochi contributi sull’olivo e molti di più sulla vite, l’Efsa sostiene che sia utile studiare e testare simili misure in ulteriori ricerche che focalizzino l’attenzione sugli ulivi.
I “bias cognitivi”
Perché tutto questo dovrebbe aiutare a capire in che modo si alimenta la generale confusione su ciò che sta accadendo agli ulivi pugliesi? Basta guardare come è stata recepita la notizia:
“Xylella, l’Efsa non scioglie i dubbi sul disseccamento degli ulivi” (Corriere del Mezzogiorno, 17 aprile 2015)
“La Ue sulla malattia degli ulivi: «ma è davvero la Xylella?»” (La Voce di Manduria, 18 aprile 2015)
Entrambi gli articoli sposano una interpretazione piuttosto libera dei risultati divulgati dall’Efsa; nel secondo caso essa è strettamente legata al comunicato della stessa Peacelink, firmato da Antonia Battaglia, riportato nel testo. Nel comunicato l’autrice sostiene ad esempio:
Questo non significa che sia stato dimostrato che l’agente primario è la Xylella e non i funghi stessi, ma solo che a tutt’oggi le evidenze scientifiche non sono sufficienti a stabilire con certezza il ruolo relativo svolto da queste due con-cause (a cui va aggiunta anche la falena Zeuzera Pyrina) del disseccamento degli ulivi.
Questa interpretazione focalizza l’attenzione su un aspetto, quello della falsificabilità dei risultati ottenuti; si sottintende che domani, con nuove ricerche, potremmo ottenere risultati diversi. Così non solo non si considera la bassa probabilità che ciò possa realmente avvenire, ma si trascura soprattutto il punto fondamentale del parere: l’ipotesi che Peacelink ha sostenuto, cioè che gli agenti primari del disseccamento siano i funghi, non è supportato da prove né da evidenze scientifiche. Si riconosce la necessità di ulteriori ricerche per colmare i gap di conoscenza attuali sul contributo relativo dei vari agenti coinvolti nel disseccamento, certo; ma il ruolo della Xylella non viene messo in discussione nel parere dell’Efsa; né tantomeno viene messo in discussione quanto precedentemente rilevato dalla stessa Agenzia, ossia che Xylella rappresenta un rischio importante per il territorio dell’UE e che lo stesso batterio è insediato su decine di migliaia di ettari della provincia di Lecce. E che, anche se è improbabile la sua totale eliminazione da una zona focolaio una volta che si è insediata, per scongiurare la propagazione dell’agente patogeno alle aree limitrofe o ad altre zone dell’UE o rallentarne la diffusione, è utile adottare misure “quali: impedire il movimento di piante infette o di insetti vettori infetti; eliminare le piante infette; controllare gli insetti vettori ed effettuare una corretta gestione della vegetazione circostante.” (Note informative qui)
Nonostante queste dichiarazioni, molto chiare e cristalline, il fronte ambientalista contrario alla eliminazione delle piante infette (Peacelink in testa) si è convinto che il parere Efsa confermi al 100% le sue perplessità sulle azioni da intraprendere. Con esso parte dell’opinione pubblica nazionale che giustamente, visti gli spazi ottenuti in Europa dai comitati ambientalisti grazie al suo impegno, individua nella Battaglia, blogger di MicroMega, un punto di riferimento in questa lotta. E ciò stupisce, ma non troppo. E’ chiaramente in gioco un fortissimo “bias cognitivo“, cioè un meccanismo mentale che porta a vedere solo le informazioni che confermano le proprie credenze. E i bias cognitivi di conferma sono tanto più potenti quanto più forte è il coinvolgimento emotivo e l’importanza data alla questione con cui ci si confronta: e cosa c’è di più importante e doloroso del rischio di perdere il nostro patrimonio paesaggistico, culturale e di inestimabile bellezza?
Ma Antonia Battaglia non è l’unica vittima di questo meccanismo.
Nel suo blog, la giornalista Marilù Mastrogiovanni ci racconta della riunione della Commissione agricoltura del Parlamento Europeo tenutasi il 23 marzo , da lei seguita in streaming, in cui si discute, tra le altre cose, della questione Xylella. La Mastrogiovanni è la giornalista di riferimento sul tema: è stata lei la prima a occuparsi continuativamente del caso Xylella; lei e la sua inchiesta sono citate nel famoso rapporto Eurispes sulle agromafie, nel capitolo scritto dal sociologo Luigi Russo, in cui si sollevano inquietanti interrogativi sull’origine del problema salentino e si segnala la necessità di indagare sullo “strano caso”. Il coinvolgimento e l’impegno personale investito dalla giornalista è quindi evidentemente elevato.
Alla fine del post, la giornalista riporta la sua sorpresa nell’ascoltare l’intervento di José Bové
deputato francese dei Verdi, che ha riferito che la Xylella è stata trovata in Corsica su ulivi ornamentali venduti nei centri commerciali. Ovviamente asintomatici.
Questa notizia potrebbe cambiare del tutto la prospettiva della ricerca scientifica condotta finora, perché, in attesa che escano i risultati sulla patogenicità dell’ulivo, la Xylella è stata trovata su piante sane nel corso di controlli di routine sulla tracciabilità delle piante. José Bové ha infatti concluso: «Alla luce di questi fatti, il massacro degli ulivi in Salento dovrebbe essere contenuto»
Tali affermazioni sarebbero davvero sorprendenti, visto che il giorno successivo alla riunione di cui si parla, dalla sua pagina Fb lo stesso Bovè, in un intervento dal titolo eloquente: “Xylella fastidiosa: la peste végétale” invitava a prendere le necessarie misure drastiche per fermare la piaga Xylella e evitare che si diffondesse in Europa. Fortunatamente, il Parlamento Europeo rende disponibile il video della riunione, con l’audio in lingua originale e la traduzione nelle varie lingue comunitarie; questo ci aiuta a chiarire questa apparente contraddizione.
Di Xylella si inizia a discutere al minuto 1.34.30 circa. Bové inizia il suo intervento al minuto 2.00.00 circa. Anche qui assistiamo a una interpretazione libera, dettata forse dal coinvolgimento emotivo della giornalista durante l’ascolto. Quello che il deputato dice è che bisogna fermare il contagio, che la malattia deve essere contenuta, che bisogna adottare tutte le misure drastiche necessarie, altrimenti la situazione sarà catastrofica. La parola “Salento”, nell’intervento di Bové durante la discussione del punto Xylella, non viene nemmeno menzionata nel suo discorso, né nelle traduzioni simultanee in italiano. E’ davvero incredibile come la mente possa portarci a sentire quello che vogliamo sentire.
Capita a tutti di sbagliare, certo. Ma quando si è un punto di riferimento, le ricadute sono pesanti. Il post della Mastrogiovanni è stato condiviso 576 volte, quindi almeno 576 persone saranno convinte che gli ulivi in Corsica, pur affetti da Xylella sono asintomatici, anzi sono sani, come scrive la giornalista; e che per questo il deputato Bové ha chiesto di bloccare il massacro degli olivi salentini, che apparirebbe, a questo punto, del tutto insensato visto che le piante infettate non si ammalano. Convincerli che questa informazione è frutto di un malinteso, dopo che per mesi si è parlato di complotti, interessi, speculazioni e quant’altro, sarà di certo difficile. Allo stesso modo, puntando i riflettori sulla necessità riconosciuta dall’Efsa di colmare i gap di conoscenza attuali, a discapito del risultato centrale del parere Efsa, l’eliminazione delle piante infette appare una misura incomprensibilmente drastica, e quindi da osteggiare.
E questo è un dramma, perché in questo momento è fondamentale riscoprire uno spirito di comunità,una visione comune senza la quale sarà impossibile impegnarsi efficacemente per l’unica battaglia assolutamente necessaria per tutelare questa terra: fermare il contagio.
Che cos’è l’ambientalismo?
Il clima di sospetto e i bias cognitivi fin qui delineati non sono solo dannosi allo sviluppo di un dibattito pubblico equilibrato sul tema Xylella: stanno impedendo di mobilitare le necessarie risorse umane per contribuire al controllo del problema. Hanno quindi delle chiare ricadute pratiche.
Per fermare il contagio non è solo necessario eliminare le piante infette; è necessario adottare una serie di buone pratiche su TUTTI i terreni, pubblici e privati, per ridurre al minimo lo sviluppo e la diffusione degli insetti vettori coinvolti nella malattia. In tal senso è encomiabile lo sforzo del buon pratiche day, organizzato dal comitato La Voce dell’Ulivo, che si pone l’obiettivo di organizzare i volontari e mettere a disposizione le attrezzature necessarie a portare a termine aratura, potatura, fresatura, pulizia dei terreni, nonché sfalcio delle erbe infestanti sulle aree pubbliche per ridurre al minimo le possibilità che la famigerata sputacchina si riproduca. Inoltre, proprio ieri il comitato si è fatto promotore di un ulteriore progetto, “UN GETSEMANI IN SALENTO“, ossia un parco della biodiversità che “diventerebbe il campo sperimentale più grande al mondo, a disposizione della scienza, per testare la tolleranza di tutte le varietà di ulivo a Xylella, e sperimentarne le eventuali cure”. Su questo si è tutti d’accordo: della ricerca abbiamo bisogno urgente, serve uno sforzo enorme, serve che le migliori energie intellettuali disponibili siano messe in condizione di lavorare sul tema in maniera continuativa. Un miraggio? Di certo una prospettiva che risulta quasi commovente visto il modo in cui, in questo paese, si tratta la ricerca e i ricercatori: il “futuro del paese” sulla bocca di tutti, tranne quando fanno il loro lavoro.
Tornando però alle misure necessarie nel breve, brevissimo periodo, servono braccia, impegno, e soprattutto una mobilitazione capillare sul territorio: tutte cose che il fronte ambientalista ha sicuramente messo a disposizione in questi mesi, su altri obiettivi. Ma la mobilitazione, senza chiarezza di obiettivi da perseguire, nulla può ottenere se non girare su se stessa. Ed è questo quello che sta succedendo adesso: l’unico punto su cui sembrano essere tutti d’accordo, ambientalisti, autorità locali ed Efsa, è che le buone pratiche e la cura dei terreni sono elementi indispensabili per la salute delle piante (infettate o no dal batterio). Ma invece che partire da ciò che è utile, si mira a ciò che è desiderabile: trovare un appiglio per bloccare qualsiasi intervento, temporeggiare puntando su ciò che ancora non è noto del comportamento del batterio sugli ulivi, nella speranza che nel frattempo venga fuori una cura o che, almeno, emergano misure alternative efficaci ma meno dure di quelle attualmente sul tavolo delle opzioni. Si è scelto di rischiare il tutto per tutto, accollandosi il rischio che l’inerzia aggravi la situazione. Ma questo può davvero essere definito impegno civile a difesa dell’ambiente e del patrimonio naturale?
Uno dei cardini della tutela ambientale è il principio di precauzione: davanti a questioni controverse dal punto di vista scientifico, a pericoli potenziali seppur non completamente delineati, è necessario adottare una politica cautelativa. Come afferma il principio 15 della dichiarazione di Rio
Al fine di proteggere l’ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere ampiamente utilizzato dagli Stati in funzione delle proprie capacità. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive, anche in rapporto ai costi, dirette a prevenire il degrado ambientale.
Che tipo di ambientalismo è quello che si discosta dai propri fondamenti? Che tipo di ambientalismo è quello che impedisce l’eliminazione di un numero limitato eppure già insopportabile di piante infette, creando così le condizioni per rischiare, domani, di sacrificarne molte di più?
Guardando le foto degli abbattimenti ad Oria e i volti dei contadini, non è possibile fare a meno di chiedersi: se si fosse proceduto a tagliare subito le piante infette nel focolaio nel sud Salento già riscontrato due anni fa, le piante di Oria si sarebbero infettate? Fino a gennaio 2015, infatti, la stessa Efsa chiariva che tutti i casi riscontrati di contagio erano limitati nella sola provincia di Lecce. Oggi, invece, il batterio ha ampiamente varcato i confini dei focolai originari. Eppure questo sembra non bastare al fronte negazionista. Si è deciso appunto di rischiare il tutto per tutto: ma tra gli eventuali esiti di questa scommessa c’è la possibilità di consegnare alle future generazioni pugliesi una terra che non è quella che la generazione attuale e quelle precedenti hanno conosciuto. Sembra mancare la maturità necessaria a fronteggiare un problema che, piovutoci in testa, richiede il massimo del coraggio e della responsabilità che abbiamo da offrire come collettività, sia nel gestire la situazione attuale, sia nel fare in modo che non si ripeta mai più.
Nunca mas!
Un problema piovutoci in testa dicevamo; e, come sempre succede quando si è vittima innocente di un danno grave, è partita la caccia al responsabile. Anche da questo punto di vista, il dibattito pubblico ha preso vie contorte. Il rapporto Eurispes già citato per molti cittadini ha rappresentato una sorta di certificato di attendibilità ai sospetti diffusi già da mesi: se una organizzazione autorevole include la questione Xylella in un rapporto sulle agromafie allora qualcosa che non quadra c’è davvero. In effetti, come racconta lo stesso rapporto, la Magistratura ha aperto una inchiesta sulla base dei dubbi sollevati dai comitati locali e dalle inchieste della stampa locale, prima fra tutte le stessa Mastrogiovanni di cui sopra. Come è noto, le indagini si concentrano sulla possibilità che il convegno sulla Xylella organizzato dallo Ististito Agronomico Mediterraneo (IAM) di Bari nel 2010 e le sperimentazioni attuate in quella sede possano essere state la fonte fondamentale del contagio. Le indagini sono in corso e certamente forniranno informazioni utili. Certo, sappiamo che il contagio ha colpito il sud Salento, e nessun caso è stato riscontrato nel barese – circostanza che è quanto meno difficile da spiegare se si sposa l’idea del contagio partito da Bari. Sappiamo anche che la specie di Xylella salentina è di una tipologia diversa rispetto a quella studiata dai ricercatori in quel contesto, mentre è simile a una variante diffusa in Costarica. Inoltre, in base alle informazioni attualmente disponibili, sembra probabile che il contagio sia avvenuto attraverso importazioni dall’Olanda di piante ornamentali costaricane. Il 16 aprile, tra l’altro, è stato reso noto che su una pianta di caffè giunta al mercato all’ingrosso di Rungis, alle porte di Parigi, è stato individuato il batterio Xylella. Sono ancora in corso verifiche sulla provenienza, ma “verosimilmente” questa è originaria dall’America Centrale, ed era stata “introdotta nell’Unione Europea” attraverso il porto di Rotterdam, in Olanda.
Davanti a questo nuovo caso si ha la forte sensazione che, sospettando dell’improbabile, non si è parlato del verosimile: non sarà il caso di interrogarsi sulla qualità dei controlli sulle importazioni di vegetali extraeuropei? Che tipo di responsabilità hanno i paesi importatori, in questo caso l’Olanda, nei confronti degli altri paesi membri quando i controlli non funzionano adeguatamente? O il semplice fatto che il batterio proliferi in luoghi caldi è sufficiente, per quel paese, a non porsi il problema di una minaccia che è improbabile rimanga sul suo stesso territorio? E’ possibile, almeno in questa fase, mettere in discussione il libero commercio per dare priorità alla protezione delle nostre produzioni, del nostro ambiente e del nostro ecosistema?
Sono queste le domande che forse bisognerebbe urlare a gran voce nel dibattito pubblico; sono queste le questioni rilevanti che sono in pochi ad aver sollevato, per lasciare spazio a una opposizione spesso basata su confusione, credenze poi smentite, sospetti inverosimili, errori più o meno gravi e paure dei cittadini locali.
Giù le mani dagli ulivi, davvero! E, soprattutto, giù le mani di coloro che non sanno quello che fanno.
Paola Biasi
[1] Negli studi non sono menzionati test riguardanti la presenza di batteri patogeni sulle piante studiate.
[2] European Food Safety Authority (Efsa), Response to scientific and technical information provided by an NGO on Xylella fastidiosa, Efsa Journal, 17 April 2015, p. 7. “In conclusion, in all the scientific papers provided in this request and in the other literature reviewed, there is no scientific demonstration or statement that could support the claim that X. fastidiosa is not the cause of the olive tree decline in Lecce Province, Southern Italy, but only an endogenous element present in the trees, which is not active or aggressive unless a series of fungi, such as Pleurostomophora richardsiae, Phaeoacremonium aleophilum and Neofusicoccum parvum, infect the plants and create the right conditions for the development of X. fastidiosa This does not rule out that such fungi are able to produce leaf scorch and dieback symptoms on olive trees and that they can play a role together with other agents, such as X. fastidiosa and the leopard moth, in the olive quick decline complex. This has to be investigated by ongoing and future research in Apulia.”
[3] Ivi, p. 9. “Although the two videos claim the effectiveness of the treatments applied on the recovery of the trees from the disease, no specific mention of X. fastidiosa or detection methods was made in the video and no additional information of the experimental design was provided. […] The chemical and physical analyses of soil were provided (possibly to illustrate the edaphic conditions/types of orchard soil on which the treatments were applied), without indicating the scope for the analyses. It is not clear from the request for which reasons EFSA is expected to take them into account.
Although the soil analyses and videos provided do not show that fungal disease management, or orchard management more generally, will prevent or reduce the impact of X. fastidiosa infection, EFSA performed a preliminary literature search in the ISI Web of Knowledge database to identify the published scientific literature on methods applied to or researched for olive cultivation to control Phaeoacremonium spp and Phaeomoniella spp. supposedly involved in the olive decline in southern Italy. A very limited number of articles were found and these did not directly address the topics in question. Therefore, as the tracheomycotic complex was studied more extensively in relation to the control of ECAS disease in vineyards, EFSA recommends that similar control measures could be explored and tested in further research on olive tree decline, through the implementation of replicated and well-designed field experiments.”