La vicenda Xylella continua a far discutere. Dopo la sentenza del Consiglio di Stato che ha bloccato le eradicazioni previste dal Piano Silletti, sono attesi i nuovi interventi ispirati alla decisione della Commissione Europea. Intanto, nelle settimane passate, si sono rincorse voci relative a sperimentazioni di cure, opzioni alternative ai pesticidi ecc. Di questo e altro ancora abbiamo parlato col prof. Donato Boscia, dirigente dell’Istituto di Virologia Vegetale (IVV) del CNR di Bari, che da tempo si sta occupando del problema.
Ci sono novità riguardo i test di patogenicità? Quanto tempo presumibilmente sarà necessario ad avere delle evidenze utili a chiarire il legame Xylella – disseccamento ulivi?
Non siamo in condizioni di stimare i tempi necessari: è una prova dipendente da numerose variabili, quali le condizioni ambientali, l’età delle piante. E non abbiamo idea dei tempi di incubazione.
Si è fatta una gran confusione riguardo ai dati di positività a Xylella sul totale degli alberi analizzati per mappare la presenza del batterio sul territorio; spesso sono stati invocati per mettere in discussione l’eziologia riferita a Xylella nel dibattito pubblico. Facciamo chiarezza: ci sono dati disponibili che chiariscano il punto? Tra gli alberi che presentano i sintomi di CODIRO, quanti sono positivi a Xylella?
Come già detto in altre occasioni, i dati del monitoraggio regionale non possono essere utilizzati direttamente per indicare la percentuale d’incidenza del batterio nelle aree con disseccamento. Nelle diverse fasi di svolgimento il monitoraggio ha avuto obiettivi diversi mirati, in prima battuta, ad accertare che le diverse aree della regione fossero esenti, quindi a delimitare i confini dell’epidemia ed a garantire l’assenza del patogeno nelle aree delimitate come “fascia cuscinetto” e “fascia profilassi”. Per tale ragione svariate migliaia di campioni sono stati prelevati in oliveti privi di disseccamento, e l’assenza di Xylella in quelle aree in un certo qual modo indirettamente rafforza l’associazione di essa alla patologia. Ora che, nell’ultima fase, il programma di monitoraggio si sta invece indirizzando essenzialmente nella ricerca di piante infette nei focolai già individuati nella fascia settentrionale della provincia, il numero dei positivi sta crescendo con un ritmo diverso, ed ha ora superato il migliaio.
Ci aiuta a capire l’impatto delle decisioni del consiglio di Stato e del TAR sulla possibilità di portare a termine gli interventi pianificati? Ci sono delle limitazioni che costituiscono una reale minaccia all’efficacia degli interventi stessi?
Non ho le competenze per commentare gli aspetti giuridici. Certo, è evidente che la cosa sta ostacolando non poco le azioni di contenimento. Quello che posso dire è che l’efficacia dipende direttamente dalla tempestività, quindi…
Cosa può dirci riguardo la velocità di diffusione del contagio nel territorio? Ci sono dati disponibili a riguardo?
Che io sappia, tutto il monitoraggio è adesso concentrato sulla fascia settentrionale, i margini dell’epidemia. Il resto del territorio sembra un po’ abbandonato a sé stesso. Comunque percorrendo in auto la strada che da Ugento porta a Lecce si può facilmente notare come, oltre alla situazione disastrosa del focolaio “storico” (da Taviano fino alle porte di Gallipoli) ormai manifestazioni di disseccamento, anche gravi, sono sempre più frequenti lungo tutto il percorso. Gli operatori della zona, che già avevano preso coscienza con l’ondata di disseccamenti manifestatasi all’inizio dell’anno, nelle ultime settimane stanno assistendo impotenti alla seconda ondata del 2015.
L’insetto vettore risponde a richiami feromonici? Se sì, sarebbe ipotizzabile e realistico utilizzare trappole ormonali contro di esso al posto dei prodotti fitosanitari su cui c’è tanto allarme?
E’ una domanda che esula dalle mie competenze: andrebbe posta ad un entomologo. Comunque gli stessi entomologi mi dicono che questo insetto comunica attraverso i suoni, per cui purtroppo sembra che il ricorso ai ferormoni non sia praticabile.
Nella bozza di decisione UE discussa il 28 aprile è prevista, nella fascia di Eradicazione nel nord Salento, l’eliminazione delle piante ospiti a 100 metri da quelle infette, a prescindere dal loro stato di salute. Perché è necessaria questa misura? E’ effettivamente una necessità legata a un dato scientifico, o si tratta di una applicazione intransigente della Direttiva CE del 2000?
E’ la “decisione” della Commissione Europea, che ha sposato il principio della massima precauzione. L’abbattimento indiscriminato delle piante vicine a quelle infette, che non riguarda la Provincia di Lecce, deriva dalla consapevolezza che le analisi di laboratorio siano utili per intercettare i focolai, ma non per identificare tutte le piante infette, parte delle quali sfuggono, per vari motivi, alla rilevazione delle analisi; è una misura pensata per prevenire l’ulteriore diffusione del batterio e, quindi, proteggere i comprensori circostanti. Il Servizio Fitosanitario Italiano ha provato energicamente ad evitarla, offrendo in cambio la disponibilità a monitorare continuamente le piante circostanti quelle infette, ma la proposta non è stata accettata.
Trnews ha intervistato il prof. Scortichini che ha avviato una sperimentazione per una cura in zona di Galatone. I primi risultati sembrerebbero incoraggianti. Lei ha notizie in merito?
La presa d’atto della Commissione UE dell’insediamento definitivo del batterio in Provincia di Lecce consente di evitare gli abbattimenti in tutta la parte centrale e meridionale della Provincia. Questo dà la possibilità di poter svolgere tutta una serie di sperimentazioni mirate a ricercare delle forme di convivenza o, perché no, di cura. Come lei stesso ha detto, siamo ancora a livello di qualche risultato incoraggiante, che ha bisogno di essere consolidato.
Ci sono altre sperimentazioni attualmente in campo? Se si, esiste un coordinamento “ufficiale” di queste esperienze?
Sì, c’è tutto un fiorire di sperimentazioni, anche empiriche. Purtroppo, che io sappia, al momento manca un coordinamento.
Il dibattito pubblico è particolarmente esasperato; c’è una mescolanza di incertezze, resistenze e paure tra la popolazione. Che ruolo ha avuto secondo lei la qualità dell’informazione sul tema e quanto è invece imputabile a una comunicazione non efficace da parte delle autorità o del mondo scientifico?
La comunicazione delle autorità è stata sicuramente lacunosa; per quanto riguarda il mondo scientifico, non credo questo rientri tra i propri compiti. Per il resto, i media, con le dovute eccezioni, hanno spesso avuto difficoltà a distinguere tra chi aveva le competenze e chi invece esprimeva delle opinioni, generando in tal modo la confusione che è sotto gli occhi di tutti.
Paola Biasi