Nell’immaginario collettivo dell’italiano esiste una sola attività lavorativa in cui la sicurezza di un reddito ottimo si sposa con la tranquillità assimilabile a quella del pescatore che regge la sua canna sulle rive assolate di un fiume piatto: il lavoro di banca. Pochi sanno che le quattordicesime non ci sono più da tempo (sostituite da premi di produzione aleatori e, ultimamente, di ammontare simbolico se non pari a zero); pochi sanno che i giovani bancari percepiscono salari comparabili con quelli di un addetto alla cassa della grande distribuzione e non guadagneranno molto di più alla fine della loro carriera lavorativa; pochi sanno che i dipendenti di banca, a causa dei rischi professionali potenzialmente enormi, sopportano un “rischio di stress correlato” – non certificato da ABI – per malattie del cuore quadruplo rispetto ad altri lavoratori dipendenti. Il contratto collettivo nazionale dei bancari è in pericolo e sarà probabilmente sostituito da tanti contratti aziendali “a la Marchionne”, in accordo con il nuovissimo Jobs Act; “chi se ne frega”, penserà la stragrande maggioranza dei lettori non bancari; “finalmente toccano anche i superprotetti”, penserà chi, durante la sua vita, è saltato da un contratto precario all’altro e, magari, ha avuto esperienze negative con il proprio bancario di riferimento. Reazioni normali e comprensibili in tempo di crisi perché, diciamocelo, i bancari non sono simpatici a tante persone: per attività svolta sono spesso confusi con i banchieri, cioè con i “paperoni” strapagati con bonus milionari continuamente “salvati” da iniezioni di liquidità degli stati. I banchieri sono managers pagati in modo ingiustificato per ciò che hanno prodotto e vogliono scaricare le carenze delle proprie fallimentari gestioni sui bancari, che sono solo lavoratori con un salario; chi scrive non ha alcun ricordo di frangenti storici in cui la riduzione dei diritti sul lavoro dei dipendenti più protetti (o considerati tali) abbia migliorato le condizioni di lavoro dei meno protetti.
ABI (Associazione Bancaria Italiana – i “padroni”) vuole scaricare il rischio d’impresa sulle retribuzioni dei colleghi bancari con la seguente motivazione: “il costo del lavoro del bancario medio è troppo alto ed il settore del credito è in crisi”. Non è questo il luogo per analizzare questa convinzione molto opinabile da diversi punti di vista, ma ci sia consentito dire che lorsignori non hanno mantenuto alcun comportamento coerente con i bagni di responsabilità che chiedono ai dipendenti: sulla base di uno studio Isrf Lab Fisac CGIL le retribuzioni medie ‹‹dei top manager bancari (sono stati considerati i fissi e i variabili dei primi 5 amministratori delegati dei grandi gruppi) sono passati da 3,1 milioni di euro del 2000 a 3,7 milioni di euro del 2014, con un incremento di 600mila euro: dal 2000 al 2014, un banchiere ha guadagnato 42mila euro in più all’anno[1]››. Quando si dice predicare bene e razzolare male!
Nelle ultime tornate contrattuali i bancari hanno imputato alle organizzazioni sindacali la tendenza a mantenere un atteggiamento troppo morbido nei confronti di ABI durante i rinnovi contrattuali, avallando così una continua perdita di potere d’acquisto e di diritti dei lavoratori. Limitandoci al solo aspetto economico, sulla base delle evidenze empiriche e delle elaborazioni su dati ISTAT, possiamo dire che la perdita economica c’è stata, ma nell’ambito di una caduta complessiva dei salari reali di tutti i lavoratori italiani negli ultimi 30 anni e, con riferimenti puntuali, in particolare negli ultimi 15 anni[2]. Potrebbe sembrare, questa, una difesa di parte e forse lo è, ma i lavoratori non possono non rendersi conto che la caduta della quota salari su redditi è un fenomeno che riguarda tutto il mondo occidentale (rilevabile in ogni paese OCSE in misure diverse)[3], al netto di rare eccezioni in particolari settori metalmeccanici tedeschi da esportazione; delle due l’una: o le associazioni sindacali di tutta Europa sono remissive e istituzionalizzate oppure si è arrivati ad un punto di tensione nel rapporto capitale/lavoro tale da permettere tranquillamente a Warren Buffet – forse lo speculatore più ricco del pianeta – di affermare già nel 2011: “La lotta di classe esiste da venti anni e la mia classe l’ha vinta”[4]. I lavoratori, bancari inclusi, dovrebbero cominciare ad interessarsi a queste dinamiche: non sono più ammesse obiezioni di coscienza.
I bancari rischiano di perdere molto, tutto, perché senza contratto collettivo si è soli a trattare con il datore di lavoro: così il capitale vince sul lavoro; e chi si illude di poter contrattare da solo la propria produttività con il datore di lavoro si munisca di forti agganci perché la professionalità non basta quando la qualità del prodotto è decisa esclusivamente da chi paga a cottimo.
Ci sarebbe tantissimo da dire ma qui, per ovvie questioni di spazio, ci occupiamo dello scatto di anzianità, ossia l’incremento salariale contrattualmente garantito ogni tre anni: potrebbe sembrare un’inezia, ma è un simbolo della contrattazione; è l’unico elemento di progressione economica di categoria certificato nel CCNL. ABI ha chiesto espressamente l’eliminazione dello scatto, e si tratta di una provocazione; cosa significherebbe eliminare lo scatto di anzianità? Quanto vale lo scatto spalmato nel tempo? Quanta parte di salario avrebbe perso il lavoratore bancario se non avesse avuto gli scatti in contratto?
Poiché nelle trattative con la controparte le organizzazioni sindacali dei bancari avanzano le proprie richieste sulla base di un inquadramento del bancario tipo (III Area Professionale, IV livello retributivo con sette scatti d’anzianità), abbiamo fatto una simulazione basandoci sulle retribuzioni mensili lorde del dipendente al netto di ogni tipo di indennità contrattualmente prevista per particolari adibizioni, basandoci sulle Tabelle Retributive applicate a questo inquadramento a partire dal 1999 (tabelle pubblicate sul sito ABI a corredo dei singoli testi di Accordo sui CCNL)[5].
Fig.1
La linea rossa della Figura 1 illustra come è aumentata la retribuzione del bancario che, partito nel 1999 con due scatti di anzianità, oggi, come da CCNL, è arrivato a fine 2014 con il sesto scatto e aspetta di percepire il settimo scatto nella busta paga di Gennaio 2015. La spezzata rossa ci dice che il suo salario lordo annuale nel 2014 – ottenuto sommando i salari lordi mensili e tredicesima mensilità – è pari a 37.248 Euro ed è partito da 26.495 Euro a Gennaio 1999.
Il lettore non si faccia ingannare dall’incremento di salario superiore al 30%: si tratta di salari nominali, il cui valore reale va calcolato depurando i dati dall’aumento del costo della vita – e non è questa la sede per trattare il tema. La spezzata nera della Fig. 1 illustra, invece, l’andamento salariale annuo lordo (ricostruito sempre attraverso la somma delle tredici mensilità di ogni anno) nel caso in cui al bancario 3 a.p. IV l..r con due scatti di anzianità resti tale per sempre (ciò che ABI vuole fare ex nunc, cioè da adesso in poi). In questo caso il lordo aumenterebbe solo attraverso l’adeguamento del salario al costo della vita attraverso le usuali trattative contrattuali: si partirebbe da 26.495 Euro nel 1999 per arrivare a soli 35.628 Euro a fine 2014.
In 16 anni si perderebbero 14.700 Euro circa (920 Euro in media) e, naturalmente, la perdita annuale tra quanto dovuto in base a CCNL con scatti e quanto liquidato con CCNL senza scatti continuerebbe a sommarsi alle perdite precedenti negli anni a venire: l’area di perdita, plasticamente rappresentata nel grafico, è tutto ciò che risulta compreso tra la spezzata rossa e la spezzata nera della Figura 1; area che, com’è logico, tende ad allargarsi almeno ogni tre anni fin all’ottavo scatto per effetto della crescente differenza tra quanto dovuto nell’ipotesi di CCNL e quanto effettivamente liquidato senza.
Il Contratto Collettivo Nazionale del Credito è servito, finora, ad evitare questa barbarie, perché legare gli aumenti salariali esclusivamente alle promozioni significa essere sempre più lavoratori soggetti alla volontà e alle pressioni del datore di lavoro; eliminare lo scatto insieme con il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro ha un valore non solo economico ma anche fortemente simbolico; la premessa ideologica di questo colpo di mano di ABI è che lo stipendio sia una gentile concessione del datore di lavoro, a fronte di impegno sempre maggiore e ritmi di lavoro massacranti; una concessione, a parere di gente senza vergogna, da contrattare “faccia a faccia” e non “collettivamente” uniti in un contratto che garantisca dignità e umanità: il “divide et impera” è un strategia che paga sempre e solo il datore di lavoro. La cancellazione dello scatto è solo una delle tante provocazioni che inducono i bancari a scioperare il 30 Gennaio: comincia una nuova fase di lotta non voluta dai lavoratori.
[1] Banche il contratto si riduce, il Sole 24 Ore, 23/01/2015, pag. 19. Nello stesso articolo il Lab Fisac CGIL presenta un’elaborazione dei dati Istat dalla quale si evince una riduzione dei salari di fatto – cioè comprensivi di premi, indennità, valore dei buoni pasto – di impiegati e quadri dal 2000 al 2014.
[2] Cfr. Agostino Megale e Nicola Cicala, Poveri Salari, Ediesse 2014.
[3] Stefano Perri, Distribuzione del reddito e diseguaglianza: l’Italia e gli altri, in Economia e Politica
[4] Domenico Maceri, Divario sempre crescente. Buffett: “La lotta di classe esiste e l’abbiamo vinta noi”, in America Oggi
[5] Per ulteriori informazioni sui criteri calcolo e ipotesi di simulazione si rimanda alla Nota Metodologica e al foglio elettronico, disponibili a richiesta, e sviluppati con la collaborazione della Dott.ssa Nadia Garbellini, Università di Bergamo.