E’ recentissima la proposta, avanzata dal gruppo il cui acronimo “AUT” sta per “Artisti Uniti per Taranto”, di rilanciare turisticamente la città attraverso un marchio facente perno sulla “spartanità”. La presentazione del progetto, avvenuta nel pomeriggio del 5 novembre 2013 nell’Aula Magna del Dipartimento Jonico (ex Convento di San Francesco, in via Duomo) dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, ha unito a una ricerca di mercato e a un ammaliante racconto della storia di Taranto – curati da Marco De Bartolomeo -una serie di proposte, in particolar modo legate al marketing territoriale, che hanno toccato tematiche non secondarie come la trasformazione urbanistica attraverso opere d’arte. L’ intenzione è quella di promuovere il territorio nel segno di Sparta, recuperando simboli e simbologie legati alla città greca – la lettera “lambda” degli scudi diventerebbe un vero e proprio logo – al suono di “Taranto. La città spartana”. Il fine: creare per la città una vocazione turistica, alternativa a quella industriale, facendo perno sull’attrattiva che il mito di Sparta costituisce a livello mondiale e fornendo anche le basi per una ripresa culturale di Taranto. Tra le idee sono state presentate quelle di un colosso per Piazza Garibaldi raffigurante “Falanto in armi” e di una fontana dedicata a Taras pensata al posto di quella di Nicola Carrino in Piazza Fontana, nella città antica. Il nuovo monumento, con tanto di colonne “in marmo bianco” e sculture in bronzi policromi, è stato presentato, nella forma di un modello, dal suo ideatore Vincere de Paola.
Questa, in sintesi, la fredda cronaca.
Ho sempre un po’ di imbarazzo quando si toccano i tasti “cultura”, “turismo”, “arte” a Taranto. Quando poi ci si unisce il termine “proposte” inizio a sudare freddo. Forse la mia formazione umanistica, a volte, mi fa essere eccessivamente severa su determinati punti. Uno di questi è l’abuso che si fa del termine “artista” che, in questa città, è spesso un’etichetta che ci si auto-applica addosso (un po’ come i badges che indossavano alcuni degli “Artisti Uniti per Taranto” per essere identificabili quel giorno!). Forse la mia formazione umanistica – sempre Lei! – mi fa riflettere su come “artista” si diventi grazie alla critica, che ti riconosce come tale (Caravaggio, per quanto popolare tra i contemporanei, vive il suo rilancio critico solo a partire dal Novecento e grazie a uno storico dell’arte del calibro di Roberto Longhi!), e al mercato che, da sempre, indica il gusto (Perugino era il “must” a fine Quattrocento ed era richiesto in tutta Italia; a Caravaggio venivano rifiutati i dipinti non per ignoranza dei committenti, ma perchè non incontravano il loro gusto- ma, magari, quello di altri!). Per cui, senza nulla togliere all’ impegno per la città di questo gruppo, continuo a preferire per loro il termine “creativi” a quello di “artisti”. Proprio il concetto di “gusto” mi fa imbattere in una serie di altre considerazioni. Lo stile della fontana, un po’ arcaico rispetto ai tempi, sembra chiaramente richiamarsi al romano “Monumento a Vittorio Emanuele II”, o complesso del “Vittoriano” – poi più comunemente “Altare della Patria” da quando accoglie il “Milite ignoto” -, eseguito tra fine Ottocento e primo Novecento, in un clima culturale fortemente intriso di istanze risorgimentali; così come nella monoliticità del colosso pensato per Piazza Garibaldi è rievocata anche la scultura di epoca fascista. Entrambi credo vadano a cozzare, in maniera neanche troppo superficiale, con l’assetto urbano degli spazi destinati ad ospitarli (Piazza Fontana e Piazza Garibaldi – che, con l’occasione, cambierebbe nome!!!) sia nei materiali che nel senso stesso dei monumenti. Per quanto riguarda la fontana, il marmo bianco non è un materiale tipico delle nostre parti, quindi poco legato all’identità locale, mentre l’ubicazione dei due monumenti andrebbe ad alterare strutture assestatesi da tempo. Sia chiaro: quella cassa armonica fissa in Piazza Garibaldi andrebbe rimossa! Ma cosa sarebbe della bella prospettiva che da via D’Aquino si ha sulla facciata della chiesa di San Pasquale, o dal Ponte Girevole sull’ex Palazzo degli Uffici, con un “Falanto” bronzeo di dimensioni colossali dinanzi? Credo che ogni sguardo ne resterebbe offeso (bella o brutta che fosse la statua!) e si scadrebbe nel cattivo gusto in men che non si dica. Non sono d’accordo anche sulla proposta di ubicazione della fontana di Taras, che andrebbe a sostituirsi alla fontana monumentale di Carrino che, piaccia o meno, resta legata saldamente alla storia della città come testimonianza di civiltà che va tutelata in quanto vero e proprio documento di un’epoca per Taranto fondamentale. Recuperare il passato vuol dire andare alla ricerca delle sue testimonianze reali, tutelandole e valorizzandole, e non costruirne di nuove che vogliano rievocare antichi fasti (senza nulla togliere, ovviamente, al lavoro impegnato, volenteroso e senza dubbio ispirato di Vincere De Paola, che ha motivato ogni singola allegoria della propria opera). Ma, attenzione! “Valorizzare” – uno degli infiniti più inflazionati quando si parla di patrimonio storico-artistico – non vuol dire “monetizzare”. Per cui l’applicazione di un marchio alla città che la caratterizzi come attrattiva turistica attraverso l’abuso di un lembo della propria storia, non va nel senso né del turismo sostenibile né dell’idea di cultura come bene comune imprescindibile e, soprattutto, non monetizzabile. Non facciamo l’errore di considerare musei, monumenti e storia come fonti di guadagno. Sicuramente lo sono di attrattiva – ma Taranto qualche attrattiva ce l’ha già, senza bisogno di creare poli monumentali posticci: esse vanno solo fatte conoscere in maniera limpida, senza dare l’illusione di trovarci dinanzi a qualcosa che in realtà non c’è più! -, ma non di guadagno. Cultura e mercato, insomma, sono due cose distinte e separate! L’idea di “vendere” Taranto attraverso un marchio siffatto (il “brand” è utilizzato da molte città, ma le identifica attraverso peculiarità esistenti, non da costruire ex-novo) e rievocato in tutti gli angoli della città – compreso il Ponte Punta Penna e la ringhiera del Lungomare – non mi pare vincente, anzi: dalla prospettiva di promozione territoriale – che è quella che il gruppo AUT auspica attraverso quest’ iniziativa – si passerebbe a una provincializzazione ridicola, a una chiusura campanilistica, a un’esibizione folkloristica – nel senso, ben analizzato da Dettmer e Bausinger, di un folklore “applicato”, una sorta di “pastiche” compiuto da una comunità nei confronti del proprio passato – di una storia della quale i pochi, veri segni che restano sono da cercare sotto terra e nelle sale dell’ormai da troppo tempo serrato Museo. Utilizzare un marchio con tanto di didascalia (“La città spartana”) rende bene una sola idea: quella che questa presunta “spartanità” non sia immediatamente percepibile dall’esterno e collegabile a Taranto, se non previa postilla esplicativa (un esempio, per esser chiari: Parigi nel suo “brand” ha la Torre Eiffel, e non ha bisogno di alcuna spiegazione in quanto universalmente riconosciuta!); oltretutto, non si può sperare di attirare turismo attraverso monumenti costruiti col chiaro intento di creare dal nulla una caratterizzazione per una città che ha avuto una storia lunga, e della quale Sparta non ha rappresentato che un momento.
Forse bisognerebbe partire da quello che c’è, dagli scavi in zona “Croce” sui Tamburi che la cittadinanza reclama con forza contro il progetto di un ennesimo parcheggio (ne parleremo presto). Perché la cultura è conoscenza del proprio passato, e la conoscenza non si fabbrica attraverso simboli costruiti ad arte, ma tramite ciò che la civiltà è stata in grado di conservare e tutelare contro chi, dalla memoria, non avrebbe avuto che da perderci.
E chiudo con una citazione:
« Bisogna sapere che a Sparta regnava un’abominevole disparità di condizioni sociali tra i cittadini e vi si aggirava un gran numero di diseredati, che non possedevano un palmo di terra, perché tutta la ricchezza era concentrata nelle mani di poche persone. »
(Plutarco, “Vita di Licurgo”, 8)
Oltre allo scudo, alle armature, all’arte della guerra – l’unica che essi conoscessero – gli Spartani erano soprattutto questo!
E io non mi sento “Spartana”!
StecaS
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Per chi volesse approfondire aspetti della questione culturale in Italia:
– S. Settis, “Azione popolare. Cittadini per il bene comune”, Torino, Einaudi, 2012.
– S. Settis, “Paesaggio Costituzione cemento. La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile”, Torino, Einaudi 2010.
– S. Settis, “Italia S.p.A. . L’assalto del patrimonio culturale”, Torino, Einaudi, 2007.
– S. Settis, “Battaglie senza eroi. I beni culturali tra istituzioni e profitto”, Milano, Electa, 2005.
Per altri aspetti toccati in questo contributo:
– “Oltre il folklore. Tradizioni popolari e antropologia nella società contemporanea”, a cura di P. Clemente e F. Mugnaini, Roma, Carocci, 2001.
– M. G. Caroli, “Il marketing territoriale. Strategie per la competitività sostenibile del territorio”, Milano, FrancoAngeli, 2006.