“La questione del centro storico tarantino è una questione di importanza nazionale e non soltanto locale. Si tratta di conservare un complesso monumentale che interessa tutto il Paese e alla cui conservazione tutto il Paese deve concorrere.” (G. C. Argan)
Impalcature, case serrate da croci decussate, piccoli muschi che le mangiano da dentro assieme all’incuria dell’uomo che le segna da fuori. Chissà che ne avrebbe detto, oggi, Giulio Carlo Argan. Proprio lui che nel 1939 contribuì a stilare, con Cesare Brandi, la famosa legge 1089, ancora oggi base per la tutela del patrimonio storico, artistico e archeologico della nazione. Proprio oggi che la bella via di Mezzo ha visto sbriciolarsi uno dei suoi stabili che, sotto i frustranti colpi di qualche goccia di pioggia, ha mostrato con un rigurgito d’orgoglio il prezioso cuore settecentesco racchiuso entro quelle mura fatiscenti. Accade a distanza di qualche giorno dall’innalzamento di un muro in tufo in Postierla via Nuova, dal crollo dell’ennesimo edificio in via Garibaldi, a qualche passo dalla chiesa di San Giuseppe. Chissà che avrebbe detto di quei cordoli che, lungo la ringhiera, hanno reso arduo il passaggio dei grandi mezzi, talmente arduo che le belle mensole di alcuni antichi balconi, solo qualche mese fa, hanno dovuto soccombere sotto urti maldestri. E se si corre con la memoria un po’ indietro – ma non di molto, appena al febbraio del 2011 –, immaginare quale tarlo l’avrebbe roso dentro alla notizia dello sgretolamento di parte della chiesa di San Paolo, in via Pentite, è difficile quasi quanto passare oggi per quella via.
Sono solo poche delle tante sconfitte del borgo antico, lasciato solo a combattere contro il tempo, contro l’incuria, contro i muschi e la pioggia e contro un devastante silenzio, quello delle Amministrazioni locali che ogni qual volta ci sarebbe stato da alzare la testa e guardare in faccia questo anziano fiore moribondo, hanno preferito volgere lo sguardo altrove. E restare in silenzio.
In silenzio la città vecchia se ne va, colpita da più fronti. Lei, che ha retto con dignità all’andar dei secoli e alle invasioni, alle guerre e ai regimi; lei che ha affascinato storici dell’arte e registi, ispirato artisti di ogni sorta; lei che ha tenuto duro fino a ridursi ai minimi termini, in una solitudine non cercata, a chiedere un aiuto che non è mai arrivato.
E se ne andrà davvero se non si affronterà la faccenda a piene mani, con le leggi di tutela e conservazione su un tavolo e, attorno ad esso, esperti in restauro edilizio, storia dell’architettura e dell’arte, fondi strutturali, urbanistica, sviluppo territoriale. Se ne andrà brano a brano se le Amministrazioni locali non decideranno di guardarla in faccia e dire basta al suo stato di abbandono, dirottando su di lei le risorse necessarie, tornando a considerarla una priorità assoluta nel territorio. Una priorità di ordine storico, artistico, documentario; ma anche una priorità dal punto di vista della pubblica sicurezza, perché lì dove ancora i bambini vanno a giocare, o la gente cammina in piena serenità, non si può correre il rischio di vedersi crollare addosso calcinacci e pietre, di trasformare una passeggiata in una tragedia.
E se davvero Taranto Vecchia dovesse decidere di arrendersi, di lasciarci per sempre, noi ci sentiremmo senza dubbio un po’ più soli e un po’ più vuoti; ma chi ha occupato i posti di potere senza alzare lo sguardo avrà sulla coscienza il peso delle generazioni future alle quali sarà stato negato un pezzo della propria storia, orfane della propria identità. E, non sapendo dove cercarla, cresceranno ingrate e, probabilmente, il destino della città “vecchia” toccherà, infine, a quella parte – superba – che oggi si fa chiamare “nuova”.
Sono fenomeni che hanno la stessa genesi. Sono fenomeni tristemente irreversibili. Ogni pietra che cade è per sempre. La si potrà attaccare nuovamente con un po’ di calce, ma il posto che la storia le aveva assegnato non lo riprenderà più.