Il venerdì 17 porta bene a Matera: nel pomeriggio di ieri la città è stata scelta per essere Capitale Europea della Cultura 2019, imponendosi su altre cinque agguerritissime concorrenti: Lecce, Cagliari, Perugia, Siena e Ravenna.
Un risultato straordinario che premia non solo il progetto presentato per la candidatura, ma il lavoro di una città che, nel corso degli anni e con l’umiltà di affidarsi a operatori competenti, ha saputo rialzare la china partendo da quei Sassi, espressione delle classi subalterne, che nel Dopoguerra erano stati definiti «vergogna nazionale» e dal 1993 patrimonio dell’UNESCO.
Oggi – sebbene manchi la ratifica ufficiale, che avverrà a metà 2015 – la città dei Sassi festeggia la meritata vittoria al grido di “Open Future”, lo slogan scelto per il progetto. L’impatto sul territorio? Circa 30 milioni di euro.
Impossibile, a questo punto, non pensare a Taranto, la vicina povera che ci ha provato; la città dei due mari inquinati, con le sue belle strade di rappresentanza e il marciume che la consuma nel suo interno; la città delle occasioni sprecate insieme agli spazi pubblici lasciati all’incuria o, peggio, alle infiltrazioni mafiose; la città del centro storico che si sbriciola sotto la pioggia.
Un’occasione persa quella della candidatura, ma lo dicemmo tempo addietro. Oggi possiamo pensare a Taranto sotto un’altra luce.
La scelta di Matera, la cui provincia confina con quella tarantina, è interpretabile nel senso del rilancio del Meridione d’Italia. Matera si configura, infatti, come un centro anche geografico dal quale irradiare una nuova ondata di fermento culturale che Taranto deve essere in grado di intercettare.
La posizione di Taranto è favorevole: vicina a Matera e passaggio comodo per il Salento. Bisogna solo decidere se si vuole restare schiacciati tra due – forse tre, se ci mettiamo anche Bari – realtà culturali affermate o se diventare fruttuoso elemento di raccordo tra esse, premessa necessaria se si vuole immaginare una crescita diversa per questa città.
In quest’ultimo caso, Taranto deve iniziare a investire su se stessa e sul proprio potenziale innanzitutto migliorandosi sotto il punto di vista urbano, smettendo di crescere a dismisura lungo gli assi portanti delle sue periferie senza servizi, dotandosi di un manto stradale adeguato e di una rete di trasporto pubblico urbano decente, mettendo in salvo edifici che cadono a pezzi e venendo incontro, finalmente, alla città vecchia; bonificando tutto quanto c’è di malsano. Interventi propedeutici se si vuole poi pensare a un rilancio culturale della città – infatti Matera e Lecce ci avevano pensato da tempo – e, di conseguenza, alla sua possibilità di attrarre turismo sano. Chiaramente l’amministrazione locale dovrebbe stilare un piano pluriennale di interventi e dirottare il grosso degli introiti strutturando la città per il futuro e non, come va di moda ora anche a livello nazionale, consumandola nel presente.
Solo una volta venuti in soccorso, dal punto di vista urbano, della città si possono provare ad immaginare le destinazioni d’uso degli immobili demaniali dismessi – affidandoli magari ai giovani e creando laboratori urbani, centri di fermento di idee – e potenziare la rete di servizi. Ma, soprattutto, puntare sull’affidamento degli incarichi e delle attività culturali a operatori, gente che la diffusione della cultura la fa per mestiere e non, come succede spesso, lasciare tutto alla mercé dell’improvvisazione: proprio questa è stata la chiave del successo di Matera – ma c’è da dire che anche Lecce non è stata da meno nello sfruttare le energie buone della città in favore della candidatura.
Quest’occasione potrebbe essere davvero il momento di svolta che si attendeva da tempo se si riuscisse a sfruttarlo come si dovrebbe. Un’opportunità da non perdere e una sfida tutta nuova: andare oltre il campanilismo traendo frutto e insegnamento dalle realtà così vicine alla nostra che hanno saputo ridisegnare il proprio territorio e, di conseguenza, la propria vocazione. Sempre più evidente risulta, infatti, lo stretto legame tra urbanistica intelligente e sviluppo culturale.
A meno che non si voglia essere schiacciati dalle realtà limitrofe e restare davvero una città che viene guardata dai finestrini delle macchine di passaggio… Allora si può anche continuare a dormire, magari sognando improbabili scudi e fontane da piazzare qua e là mentre quel che resta di Taranto e della sua memoria storica cade a pezzi.
Irreversibilmente.