Scritto da: Michele Dentico, Francesco Ferri e Stefano Modeo
Un interesse diffuso, proveniente da prospettive e percorsi diversi, si sta consolidando intorno agli eventi del primo maggio tarantino. Merito senza dubbio di chi ha organizzato il concerto e le iniziative di avvicinamento, occupando il dibattito pubblico e lo spazio mediatico, costringendo dunque tutti a prendere posizione in merito alla fondamentale tematica del futuro del capoluogo Ionico. L’importanza della giornata che (non soltanto) Taranto si appresta a vivere è testimoniata non solo dalla caratura degli artisti che si esibiranno, ma anche dagli ospiti che interverranno al dibattito organizzato, con riferimento particolare alla sorprendente partecipazione di Maurizio Landini, segretario generale Fiom: dimostrazione che nessuno, a ogni livello, può evitare di fare i conti con il paradigma rappresentato dalle vicende tarantine.
La rilevanza della giornata, con il suo importante carico di partecipazione, al di là del suo momento festoso e di sensibilizzazione, sembra essere l’occasione per provare a fare un bilancio dei processi che attraversano la città.
In quest’ottica, per provare a dare il nostro contributo al dibattito in corso, abbiamo scelto di dotarci di uno strumento insolito. Abbiamo letto in maniera appassionata prima, e provato ad analizzarlo collettivamente dopo, l’ultimo romanzo del collettivo di scrittori Wu Ming, intitolato L’Armata dei Sonnambuli [1]. Provando ad interpretarlo, abbiamo notato alcune analogie che legano quest’opera letteraria alla situazione che vive il nostro territorio e ci sono sembrate poter essere utili per capire le logiche che potrebbero caratterizzare il futuro di Taranto e dei suoi abitanti.
Pensiamo, infatti, che questo tipo di approccio possa suggerire una prospettiva di metodo politico, poiché i fondamentali temi evocati da questa suggestiva opera non sembrano affatto riguardare solo il periodo storico sul quale insiste (gli anni del Terrore nella Rivoluzione francese), ma sembrano suggerire un’efficace lettura anche di ciò che sta succedendo e potenzialmente può succedere in riva allo Ionio.
Controrivoluzione. L’Armata dei Sonnambuli, nel romanzo dei Wu Ming, è l’insieme di coloro che, governati da una volontà a loro gerarchicamente superiore, combattono contro il cambiamento rivoluzionario in corso. Questi tentano in particolare di rendere vani gli sforzi egualitari costantemente prodotti dalle anime radicali del processo rivoluzionario. L’Armata dei Sonnambuli è lo strumento utilizzato dalle forze controrivoluzionarie per ristabilire le gerarchie precedenti all’evento rivoluzionario. La controrivoluzione però, a differenza della restaurazione (la quale invocherebbe il mero ritorno del vecchio sistema tirannico), si caratterizza per l’adozione di una retorica attiva e all’apparenza innovativa, che ammicca al cambiamento in atto prefigurando in sostanza, però, l’eterno rapporto gerarchico tra la massa degli sfruttati e i pochi sfruttatori: un’allegoria potentissima delle tecniche di controllo sociale a noi presenti [2].
Provando a seguire questo schema, cerchiamo di capire chi sono i sonnambuli che ci circondano e da quali interessi vengono manovrati in un’ottica controrivoluzionaria. L’introduzione del grande tema dell’ambiente nel linguaggio politico tarantino ha provocato senza dubbio una rottura con il lessico del passato industriale. Questo cambiamento è merito della lotta che tante e diverse soggettività, collettive e singole, hanno messo e mettono in campo, sia sul piano dell’immaginario sia su quello della pratica politica.
Un’irruzione così invasiva e penetrante alla quale nessun discorso politico può, a Taranto, rinunciare a fare i conti – anche strumentalmente – con il tema della tutela ambientale.
In quest’ottica, l’ambiente – a seconda di chi ne invoca la tutela o il ripristino – rischia complessivamente di assumere le sembianze di un terreno piatto, privo di contraddizioni e insidie, nel quale chiunque si può inserire, compresi vecchi e nuovi speculatori.
Un percorso di restaurazione di un immaginario politico antecedente all’irruzione rivoluzionaria del lessico ambientalista è ormai a dir poco impossibile: è molto difficile, e spesso impopolare, formulare un discorso pubblico che alluda a un ritorno di uno sviluppo industriale incompatibile con la tutela della salute pubblica. Allo stesso modo l’uomo che si fa chiamare Laplace (articolato personaggio capace di mobilitare l’Armata dei Sonnambuli nel romanzo del collettivo bolognese) coglie la necessità di costruire una strategia politica che non conduca alla mera restaurazione dell’impopolare monarchia prerivoluzionaria – ampiamente percepita come decadente e corrotta – ma organizza un’azione che mira, tramite l’influenza sulla volontà collettiva, a ristabilire nuovamente, dentro e oltre i cambiamenti rivoluzionari in corso, oppressione e sfruttamento.
Laplace a Taranto. In uno scenario di questo tipo, è abbastanza facile immaginare come opererebbe (anzi, come opera) l’Armata dei Sonnambuli nel nostro territorio: dentro i cambiamenti dettati dall’irruzione del linguaggio ambientale, sfruttando la diffusa retorica che auspica uno sviluppo verde per provare a trarne il massimo profitto attualmente possibile per la classe degli sfruttatori. Ci riferiamo direttamente al terreno di sfida rappresentato dalla cosiddetta green economy: senza la problematizzazione dei rapporti di produzione, senza un’ampia riflessione intorno alle possibili speculazioni (per altro già in atto) in tema di sviluppo ecocompatibile, senza diffusi anticorpi sociali capaci di combattere per l’uguaglianza e l’equa diffusione della ricchezza prodotta, è molto probabile che la trasformazione in senso ecologico della produzione resti un affare che beneficia i pochi e soliti noti a danno di tutti gli altri. C’è il concreto rischio che (anche) questa nuova ondata di produzione di profitti e speculazione a vantaggio dell’1% sia sostenuta, involontariamente (e per volontà altrui) dall’attivo comportamento dei sonnambuli governati dagli interessi degli approfittatori: i fluidi elettrici che attraversano il corpo sociale possono essere manovrati dall’altro e non necessariamente a fin di bene [3].
Dov’è l’antidoto contro il sonnambulismo? Una possibile linea di fuga rispetto a pericoli di questo tipo è anch’essa descritta, sempre in forma allegorica, nell’opera dei Wu Ming. La parola chiave è alleanze, volutamente declinata al plurale. I protagonisti del romanzo, Marie, Léo e D’Amblanc – diversi per formazione, pulsioni e pratiche politiche – scelgono, guidati dalla necessità, dalla possibilità e dalla volontà, di combattere cooperando e sostenendosi vicendevolmente, ognuno con i propri strumenti, contro l’ascesa delle forze controrivoluzionarie. Ci teniamo, però, a sottolineare come la differenza (non troppo sottile) tra il tema delle alleanze e quello dell’unità tocchi un importante nodo da sciogliere urgentemente. Della retorica che accompagna la parola unità è necessario disfarsi presto, seguendo il suggerimento di Foucault che, nell’Introduzione alla vita non fascista, invita a liberare l’azione politica da ogni forma di paranoia unitaria e totalizzante e suggerisce di preferire ciò che è positivo e multiplo, la differenza all’uniforme, il flusso alle unità, i dispositivi mobili ai sistemi, tendendo presente che ciò che è produttivo non è sedentario, ma nomade [4].
Per altro, in tema di pratiche che seguono la logica descritta da Foucault, Taranto ne è già ora attraversata: pensiamo, per esempio, alle tante e tanti che operano quotidianamente l’alternativa in tema di riappropriazione degli spazi pubblici, aperti e chiusi, di diritto all’abitare, di condivisione dei saperi, a coloro che praticano l’equità e la solidarietà nelle relazioni transnazionali, a chi crea linguaggi, esperimenti e percorsi incompatibili con la logica del profitto dei pochi, e così via. È qui, nella potenza costituente di queste pratiche, nella loro riproduzione, diffusione, alla scoperta di possibili alleanze (non formalizzate come accordi tra forze politiche ma informali nelle pratiche quotidiane contro avversari e per interessi comuni) tra gli sfruttati (come la plebe del foborgo di Sant’Antonio nella Parigi rivoluzionaria che insorge contro vecchi e nuovi oppressori) come moltiplicatori di potenza collettiva. È qui, quindi, che possiamo trovare un antidoto efficace nei confronti dell’eterno ritorno, con vesti nuove, dalle impietose gerarchie di sempre. Attraverso impulsi di questa portata, la pretesa collettiva del diritto alla città sembra concretamente poter divenire il diritto a cambiare noi stessi cambiando la città, in modo da renderla conforme ai nostri desideri più profondi [5].
L’altro suggerimento che abbiamo acquisito dalla lettura di questo romanzo ci induce a pensare che non ci possa essere decapitazione del Re – o chiusura dell’Ilva– che da sola possa, di per se, immediatamente instaurare un orizzonte di vita migliore per tutti. Senza affrontare, in tante e tanti, le contraddizioni latenti nel corpo sociale, senza alleanze degli sfruttati contro i tentativi di continua emersione di sempre nuovi accaparratori, è facile che, al di là del paradigma di produzione che emergerà dal conflitto di poteri in atto, la ricchezza socialmente prodotta resterà appannaggio di pochi: non c’è produzione – ancorché verde – che possa essere terreno neutro di pacificazione, non c’è interesse generale che possa tenere insieme 1% e 99%.
Proviamo a ricordarcene, tenendo costantemente presente il monito di Marie, irrequieta rivoluzionaria del foborgo di Sant’Antonio, pronunciato al figlio Bastien: ricordatelo sempre, gli aristocchi fanno così: prendono quello che vogliono e non pagano mai. La rivoluzione è proprio questo: fare pagare tutti, senza più privilegi. La stessa giustizia per il ricco e lo straccione.
1 http://www.einaudi.it/speciali/Wu-Ming-L-Armata-dei-Sonnambuli
2 Girolamo De Michele, recensione su Carmilla: www.carmillaonline.com/2014/04/08/wu-ming-larmata-dei-sonnambuli/
3 Giuliano Santoro, recensione su Dinamo Press http://www.dinamopress.it/news/larmata-dei-sonnambuli
4 http://www.siderlandia.it/2.0/index.php/foucault/?123
5 David Harvey, Il capitalismo contro il diritto alla città