Come ci si riorganizza alla luce del fallimento complessivo della giunta Stefàno? Quale può essere la portata del Comitato L’altra Europa con Tsipras? Luca Contrario, neo coordinatore del Circolo Pertini di Sel Taranto, da il suo punto di vista sui problemi e sulle prospettive intorno alla parola sinistra.
Luca, hai assunto una veste insolita per il tuo percorso biografico: sei il nuovo coordinatore del Circolo Pertini di Sel. Quali riflessioni ti hanno portato a metterti in gioco in questa esperienza?
Sono entrato in Sel tre anni fa. Ho scelto di proseguire la mia esperienza politica in un partito per rafforzare le caratteristiche che un vero partito dovrebbe avere: essere ponte tra cittadinanza attiva e istituzioni, portando all’interno della rappresentanza istanze che non trovano abitualmente spazio. Sel mi è sembrato un contenitore sostanzialmente adatto, e in questo senso provo ad incidere ricoprendo l’incarico di dirigente provinciale e di coordinatore del Circolo Pertini.
Registriamo una costante frattura, anche a Taranto, tra i meccanismi della rappresentanza e il mondo dei movimenti. Anche Sel , per alcuni aspetti ancora più degli altri partiti, subisce questa situazione. Questo distacco sembra insistere su due elementi diversi. È legato alla percezione del ruolo della Regione Puglia sui grandi temi della città. Oltre questo elemento, la generazione che ha conosciuto solo precarietà diffusa è strutturalmente lontana dalle classiche forme della politica. Come pensi possa essere possibile, dal tuo punto di vista, ricomporre questo quadro?
Sicuramente Sel a Taranto ha sofferto il ruolo del leader Vendola: non si può essere allo stesso tempo presidente di Regione e leader di un partito. Il partito ha il dovere di avere posizioni più avanzate e anche in contrasto con la rappresentanza istituzionale. Sel spesso ha svolto più la funzione di organo stampa della Regione che quella di un partito che fa elaborazione. Per questo sono molto soddisfatto che l’ultimo congresso nazionale del nostro partito (24-26 gennaio 2014 a Riccione) abbia superato lo schema del partito leaderistico. Ad evidenza del fatto che Sel torna ad essere un partito con un dibattito interno e un’analisi di partito distaccata dal pensiero della regione, c’è anche la novità, importante non solo dal punto di vista meramente simbolico, rappresentata dal fatto che Vendola ha tolto il suo nome dal simbolo del partito.
Riguardo alla seconda questione, non voglio difendere a tutti i costi la forma partito. Anche nei movimenti, però, percepisco veti incrociati, divisioni, ragionamenti poco complessi, difficoltà ad incidere. I problemi in generale sono nella società tutta, non solo nei partiti.
Il motivo per cui la generazione che ha conosciuto solo precarietà diffusa è strutturalmente lontana dalle classiche forme della politica, nasce soprattutto da un errore storico che la sinistra ritengo abbia commesso. La sinistra non si è accorta come, per esempio, esista una generazione intera lontanissima dalle tutela dell’articolo 18. Siamo una generazione sola, isolata, e il sistema ci ha messi in competizione l’uno contro l’altro, ha creato una forma di depressione nella nostra generazione, inducendoci a pensare che se non riusciamo a trovare un lavoro stabile è perché non siamo sufficientemente competitivi. La sinistra non è riuscita a rappresentare questi sentimenti, non ha saputo mettere in rete i soggetti, ed è proprio quello che deve tornare a fare. L’ho detto anche al congresso: come si fa? Innanzi tutto cambiando classe dirigente. Non sono legato alla retorica del rinnovamento anagrafico, ma chi è più giovane è sicuramente più vicino alla condizione che descrivevo prima. Non basta: bisogna cambiare anche il vocabolario, che non è mai neutro. Per questo, accanto al diritto al lavoro, altri diritti che possono rispondere alle esigenze di questa generazione vanno affermati con forza, come il diritto al reddito, alla casa, alla felicità e al futuro. La sinistra è mancata in questo, non è stata in grado di rappresentare questo disagio e questo cambiamento.
Nel documento congressuale parlate di gravi responsabilità di Sinistra Ecologia e Libertà nei confronti della città di Taranto. Se dovessi brevemente richiamare queste responsabilità, cosa ti viene innanzi tutto in mente?
Avrei difficoltà ad argomentare e molte criticità da raccontare sia che scegliessi i temi più complessi, dall’organizzazione del turismo, allo sviluppo del porto, al rapporto con la grande industria alle questioni ambientali, alla mobilità sostenibile, alla raccolta differenziata, alla gestione del ciclo dei rifiuti, fino alla gestione ordinaria come il verde pubblico, la manutenzione delle strade e il decoro urbano.
In questo momento mi sento di dire che Taranto, più che amministrata male, non è per niente amministrata, è abbandonata. Il fallimento della giunta Stefàno non può essere sintetizzato in singole voci. Si registra un fallimento complessivo e generale. Citando un tema al quale mi sento vicino, gli spazi urbani e le politiche giovanili, è chiaro che il fallimento del Cantiere Maggese, il fallimento del rapporto tra istituzioni e movimenti spontanei che sono nati in città e non hanno trovato una sponda istituzionale che sapesse valorizzarli, come Ammazza che Piazza, Officine Tarantine, ArcheoTower e CloroRosso, sono l’evidenza che non c’è la capacità di valorizzare quanto di positivo, per fortuna, nasce in questa città.
Il sindaco Stefàno è ormai al governo dalla città da molto tempo, e anche alla luce di quanto dicevi precedentemente, il fallimento complessivo dell’azione della amministrazione comunale sembra ormai di assoluta evidenza. Come si può uscire, da sinistra, dal pantano del centrosinistra tarantino?
Sicuramente si inizia prendendo le distanze da determinati percorsi, registrandone il fallimento. La costruzione di un’alternativa è difficile: spesso prevalgono protagonismi, veti e divisioni. Lo schema dell’Altra Europa con Tsipras potrebbe essere riutilizzabile in un’ottica di elezioni comunali. Mettere attorno ad un programma ambizioso, che parli della difesa del bene comune e dell’ambiente, la parte migliore che oggi è nei partiti di sinistra, insieme con i movimenti e all’associazionismo. È un percorso complicato, ma è necessario provarci. Mettere insieme compagne e compagni con una storia di battaglie civili alle loro spalle può essere una soluzione.
Luca, alla luce di quanto affermi, quale può essere la portata del locale comitato L’altra Europa con Tsipras? Quanto saresti disposto a mettere in gioco il partito che rappresenti in questa esperienza?
Personalmente sarei disposto a mettere in gioco tutto, pur chiaramente ritenendo Sel un partito che mi impegno a far crescere. Non mi sento legato a schemi rigidi e chiusi. Il fatto che SEL, sia a livello nazionale che locale, possa sciogliersi e confluire in un progetto più grande mi vedrebbe favorevole. Del resto Sel, nei suoi principi fondativi, nasceva per costruire a sinistra un percorso più ampio.
Anche in Sel si assiste ad un costante sdoganamento di un lessico che fa parte del mondo dell’impresa, testimoniato dalla presenza di figure di tipica estrazione imprenditoriale, o per esempio dall’interlocuzione con personalità di diretta emanazione confindustriale. Ritieni che gli interessi di coloro che, un tempo, chiamavamo “padroni” e gli interessi del 99% degli esclusi siano compatibili, o strutturalmente conflittuali?
Una sinistra che torna ad essere una prospettiva, deve tornare a ragionare su altre forme di economia. Il liberismo, l’impresa che non sia uno strumento sociale e il libero mercato senza regole sono senza dubbio strumenti falliti. Lo dimostra la polarizzazione della ricchezza, dal globale al locale. La sinistra deve tornare a mettere al centro la persona e non certo il profitto. In quest’ottica, l’interlocuzione con l’impresa ci deve essere nell’ottica del sostegno ai percorsi virtuosi, socialmente responsabili, che prestano attenzione a sicurezza e territorio. In ogni caso, la sinistra deve liberarsi dai gangli di potere che ha al suo interno oggi. In questa ottica può essere utile il successo alle prossime elezioni europee della lista “L’Altra Europa con Tsipras”che mette insieme le forze antiliberiste e di sinistra di questo Paese. Può rafforzare a livello nazionale la possibilità di svincolarsi, anche da parte di Sel, dal Partito Democratico, che ha al suo interno interessi e lobby di tale portata che una sinistra che pensa ad un altro mondo possibile può avere solo come avversario e non come alleato.
Ultima domanda: quali tappe della biografia politica poni simbolicamente a fondamento di questo nuovo incarico?
Ti rispondo non rispondendoti. Non ci sono tappe particolari. Penso che la propria storia politica sia un insieme di percorsi politici fuori e dentro i partiti, di volontariato, di passioni, di esperienza professionale, da formare un quadro d’insieme complesso e inscindibile. Un unico grande calderone che comprende curva nord e stadio, centri sociali occupati, centinaia di manifestazioni e battaglie sociali, botteghe del commercio equosolidale, associazionismo, lotta al razzismo ed alle discriminazioni, assemblee di partito, sino ad arrivare al tempo trascorso nei consigli di amministrazione delle mie aziende clienti. Siamo la somma di tutte le esperienze che abbiamo fatto. Io metterei tutto insieme, dalle esperienze con un profilo pubblico a quelle più intime.