“Sono l’ottimista che fa ridere parlandovi del bicchiere mezzo vuoto”
E’ appena uscito in libreria il romanzo di Francesca Fornario, giornalista d il Manifesto, Micromega, il Fatto Quotidiano, autrice satirica su Radio 2 con il programma Un giorno da pecora, conduttrice dello show satirico Mamma non mamma. Il libro si intitola La Banda della Culla (Einaudi Stile Libero Big), ed è la storia di tre coppie “precarie” nel lavoro e/o nello “status” sociale ad esse appiccicato addosso dalla collettività. E’ l’umana vicenda di chi vorrebbe garantirsi un futuro e garantire un futuro al paese nell’unico modo possibile (avere figli ed educarli alla vita) ma, semplicemente, non può: il paese dei Family Day, infatti, oppone ogni genere di ostacolo economico e legale allo sviluppo della “famiglia”.
Apprezzo il giornalismo satirico di Francesca da molto tempo, la conosco da qualche anno e ho letto le bozze del suo libro quando era ancora intitolato “Uova”. Francesca racconta cosa sia oggi l’Italia, addolcendo la dura realtà con la raffinata patina di una irresistibile ironia.
Questo è il tuo primo romanzo: forse si tratta di un noir “di speranza” (da coltivare non in Italia), forse è un documento di denuncia sulle incredibili ingiustizie che quotidianamente si consumano in questo paese. Certamente è un libro che stimola continuamente la riflessione tra una risata e l’altra. Insomma, questo libro è Francesca. Tu come lo definisci?
E’ un libro di speranza con riferimento al genere umano, un po’ meno con riferimento all’Italia: per fortuna il mondo è grande!
Dove hai colto l’ispirazione?
Ho cominciato a scrivere il libro dopo aver moderato un dibattito organizzato dai giovani della CGIL su genitorialità e lavoro. Al centro del dibattito, naturalmente, c’era la precarietà (un tema che sta entrando con difficoltà in CGIL) e la CGIL aveva fatto venire da tutta Italia persone con storie agghiaccianti di precarietà di lavoratori di tutti i generi (call center, scuola, archeologia). Dopo il forfait dei diversi interlocutori istituzionali che erano stati invitati a partecipare al dibattito mi sono ritrovata da sola con questi lavoratori: dal momento che tanti miei amici vivono la stessa realtà, ho deciso di raccontarla. Tutto parte dall’ingiustizia del mondo del “lavoro”, dai contratti a “progetto” che non ti permettono di fare progetti. Nel mio lavoro di ricerca, poi, mi sono resa conto che, nel paese della retorica del “mettere su famiglia”, anche da un punto di vista legale lo Stato fa di tutto per scoraggiarti a farti una famiglia: non puoi se sei omosessuale; non puoi se sei stato condannato per un reato incostituzionale di “immigrazione clandestina” (Bossi- Fini); non puoi se devi fare la fecondazione eterologa, il cui divieto è incostituzionale da un anno, perché non esistono ancora le leggi applicative per permetterla. Nel paese che vuole prepensionare le donne per allevare i nipoti (mentre le mamme cercano lavori precari) si tenta di demolire in tutti i modi l’unico pilastro sociale esistente: la famiglia. Mi sono divertita a mettere insieme tutte le contraddizioni sull’argomento.
Infatti nel libro c’è un accenno alla socialdemocrazia di stampo nord-europeo…
Scrivo che in Italia i politici sono determinati a “superare la socialdemocrazia”, come ci dicono costantemente. “Ok, ma almeno prima fatecela provare!”, faccio rispondere ad uno dei miei personaggi.
Con riferimento a Dio, fai dire a Giulia (uno dei tuoi personaggi) che tutto è casuale e generato dal caos; nulla è precostituito. Ne sei convinta?
Si. Giulia è il personaggio più autobiografico: proprio come Giulia io ero molto cattolica da piccola perché ho ricevuto un certo tipo di educazione; come Giulia io avevo l’aspirazione a vivere in un mondo migliore e mi piaceva l’idea che qualcuno dall’alto ci stesse provando. Con il passare del tempo ho cominciato a pensare che Dio ci fosse, fosse molto buono, ci volesse bene e fosse affezionato a noi… ma che fosse davvero troppo imbranato! Quando preghiamo non dobbiamo chiedergli le cose, perché lo mettiamo in difficoltà: basta vedere cosa ha combinato senza che nessuno gli avesse chiesto nulla! Avremmo potuto discendere dalle galline e sarebbe stato tutto più semplice: sarebbe bastato covare un uovo all’esterno del nostro corpo; invece discendiamo dalle scimmie: il semplice fatto di far crescere figli dentro il corpo è sadismo se non è imbranataggine. Il fatto di far uscire un figlio dallo stesso buco da cui è entrato solo quando è diventato grande come un vitello è addirittura cattiveria! Ecco, alla fine Dio non è poi così buono…
Perché Claudia è originaria di Taranto (la mia città) ed è figlia di un operaio mobbizzato in ILVA?
La vicenda della “palazzina Laf”[1] mi colpì moltissimo all’epoca, soprattutto dopo ciò che l’allora PM Sebastio mi confidò in quell’occasione a processo in corso: “questo processo ci dirà come sarà considerato il lavoro da oggi in poi: il lavoro è quell’attività o funzione che concorre al progresso materiale e spirituale della società (come recita la Costituzione)? Oppure il salario è il prezzo di una persona che consente a me, datore di lavoro, di far fare a questa persona ciò che voglio, magari anche nulla ben sapendo che, in questo modo, lo ucciderò spiritualmente?”. Le nuove generazioni hanno completamente perso la cognizione del valore morale del lavoro: sono tutti convinti che si tratti di una merce; che sia possibile comprarla ad intermittenza come compri l’insalata al supermercato quando la finisci. La Cassazione allora percepì la violenza del datore di lavoro nei confronti del lavoratore e lo punì; oggi, con i contratti a termine, fai tre mesi di riposo forzato dopo 9 mesi di lavoro e sei abituato a tornare a lavorare nella stessa azienda alla fine del riposo forzato. Ma queste non sono ferie, cioè riposo pagato dall’azienda; questo diritto non esiste più, anzi non esiste più la pretesa al diritto. Devo confessarti che la predisposizione a questo cambiamento culturale già c’era ai tempi della vicenda se è vero che, quando venni a Taranto, un sindacalista mi disse: “se sono lì dentro qualcosa devono aver fatto e sono comunque pagati; a me interessa difendere in primis quelli che lavorano e non sono pagati”. Prima ancora di difendere i lavoratori avremmo dovuto difendere il lavoro, perché una volta perso quello è finita.
C’è un passaggio del libro sulla “forza del riformismo” che mi ha colpito: “Non bisogna aspettare che siano convinti tutti: la maggior parte degli italiani si convince a fare una cosa quando vede che gli altri sono convinti; altrimenti come te le spiegheresti le Hogan?” Cosa rappresentano per te le Hogan?
Quando ho visto per la prima volta le Hogan nella vetrina di un negozio ho pensato: “Nessuno metterà mai queste costosissime scarpe con il marchio autocelebrativo enorme… non può funzionare…” Insomma, devi convincere gli italiani a fare le cose facendole. E’ stato così anche per l’aborto ed il divorzio. In Un Giorno da Pecora, Assunta Almirante mi raccontò che il defunto marito Giorgio (che a sua volta l’aveva sposata in seconde nozze) le confidò: “meno male che il divorzio è passato, pensa tu alla cazzata che avevamo fatto”. Gli italiani sono così: se ti spingi avanti e dai il buon esempio anche contra legem, loro poi ti seguono. Di solito dovrebbe essere il contrario: le leggi dovrebbero intercettare ed anticipare il progresso.
A proposito di progressismo in Italia, a Veronica, una dei sei protagonisti, fai dire, quando si rapporta ad un parlamentare, che le proposte di legge sul gender sono presentate da “oscuri deputati omosessuali dichiarati. Quelli che avete inserito nelle vostre liste per dimostrare di essere progressisti. Un frocio, una lesbica, un paraplegico, un negro, un metalmeccanico… sono anni che ci fregate così”…
Sono convinta che l’Italia sia il paese della “politica delle figurine”: quando vado ai gay pride mi rendo conto che ci sono solo omosessuali; quando vado alle manifestazioni dei senza-tetto trovo solo persone che invocano il proprio diritto alla casa; quando vado alle manifestazioni per la scuola ci trovo solo studenti. In Francia, per esempio, sono più uniti nella protesta; secondo la logica italica la battaglia per la vivisezione dovrebbero farla le cavie. Mi piacerebbe un’Italia in cui un Ministro eterosessuale si battesse per i diritti dei gay e un Ministro proprietario di azienda si battesse contro le false partite IVA.
“Duemilaquaranta Euro è la cifra che Francesco, con la sua brillante media del trenta e la sua quasi laurea in Economia, è certo di poter mettere insieme: basta mollare l’Università”. Ci vuoi forse dire che l’Italia è il paese della “castrazione” delle aspettative personali?
Sai bene che bene che in Italia la disoccupazione giovanile è al 40%, mentre un terzo dei giovani occupati è un working poor, cioè un lavoratore relativamente povero che, quindi, deve arrabattarsi per sopravvivere frustrando le proprie aspirazioni personali, anche qui in piena contraddizione con il dettato costituzionale. Entro il primo anno dalla laurea trova un posto di lavoro a tempo indeterminato solo il 6% dei laureati; quindi, tenendo conto che molto più del 6% dei giovani laureati sono raccomandati, neanche la raccomandazione basta più a farti stare tranquillo in questo paese! Il romanzo è ambientato, poi, principalmente a Roma e mi premeva far capire che 2.000 Euro rappresentano il limite di sopravvivenza per chi viene da fuori: è per questo motivo che la città vera e propria resta in mano a preti, turisti e parlamentari.
Possiamo definirlo un libro triste che fa morire dalle risate? Il libro si chiude con un colloquio (positivo) per l’assunzione che Claudia tiene in lingua inglese in Svezia e si era aperto con un colloquio sostenuto a Roma – per un posto precario non adeguato ai suoi studi – con un manager ignorante ed arrogante; in quest’ultimo colloquio, come nel primo, il datore di lavoro chiede a Claudia se ha intenzione di fare figli e…
… e lei pensa: “cazzo, anche qui o lavoro o faccio figli!”. Invece il manager svedese spiega che vuole solo illustrarle i servizi per dipendenti e figli, gli eventi culturali, il teatro per i bimbi, il servizio di baby-sitter, la scuola ballo per bimbi perché i bambini sono il futuro. Io non sono molto patriottica e sono molto arrabbiata con il mio paese, anche alla luce del suo potenziale; ma sono molto affezionata al genere umano tutto: in fondo la nostra patria è il mondo intero, no? In realtà il finale del libro è di speranza. Magari il fatto che i protagonisti del libro riescano tutti a fare ciò che vogliono all’estero non fa necessariamente di questo romanzo un libro triste: potremmo importare in Italia alcune usanze estere. La “famiglia tradizionale” sulla carta tanto cara agli italiani sarà quella costituita dai migranti che arrivano. Come cinesi e giapponesi qui a Roma fotografano il Colosseo, io in Svezia ho fotografato i parcheggi per biciclette e passeggini; in Svezia ho intervistato un ragazzo italiano che ha chiesto lì il congedo parentale: è restato a casa per 6 mesi una prima volta (congedo parentale obbligatorio), poi ha chiesto altro tempo per crescere il figlio; ha avuto un altro figlio e aveva già presentato la domanda per congedo parentale, quando è stato promosso dal suo manager; pensava di dover ritirare la domanda ma il manager ha confidato: “non farei coordinare mai i dipendenti che andrai a gestire da un uomo che non ha voglia di prendersi cura dei suoi figli”.
Ad un certo punto del tuo romanzo, Claudia propone al resto del gruppo di compiere un’azione moralmente ineccepibile ma legalmente vietata e Veronica risponde: “E’ contro la legge”; allora Claudia sbotta: “La legge è contro di voi. Da che parte stai?”.
All’inizio del capitolo ho citato il Bandito ed il Campione di Francesco De Gregori: “Cercavi giustizia, trovasti la legge”. Dice tutto dell’Italia: leggi e principi non coincidono quasi mai; alcune volte coincidono sulla carta, come nel caso delle carceri italiane, che non sono luoghi di recupero mentre nelle carceri danesi e svedesi, per esempio, c’è una percentuale di recidività inferiore di due terzi rispetto all’Italia. In altri casi proprio non esistono le leggi “giuste”: quando ho cominciato a scrivere il libro credevo che almeno un reato di cui un mio protagonista si è macchiato (clandestinità) sarebbe stato abolito: dal 2013, anno in cui avrebbe dovuto essere ambientato il libro, non è cambiato niente, quindi abbiamo deciso con l’editore di ambientarlo nel 2015. I miei protagonisti formano la Banda della Culla perché, invece di essere criminali come quelli della Banda della Uno Bianca o della Banda della Magliana, sono onestissimi cittadini che, come dice Veronica, collezionano i punti al supermercato, comprano padelle, pagano le tasse e persino il canone pur non avendo un televisore, ma che devono infrangere la legge per ottenere ciò a cui avrebbero diritto, un famiglia, e non certo per costruirsi un terrazzo abusivo dove coltivare la marijuana.
In un frangente della storia in cui i problemi sembrano soverchiare tutti i protagonisti Giulia esclama: “Ho trovato il lato positivo”. Dal momento che, secondo me, tu sei soprattutto Giulia, ti chiedo: tu sei ottimista?
Sono l’ottimista che ride analizzando il bicchiere mezzo vuoto. Io credo che l’ironia – e non il sarcasmo – sia una forma di resistenza che permetta di sviluppare la tenerezza necessaria anche per fare politica.
Ad un certo punto metti in bocca a Veronica queste parole: “I politici sanno benissimo che più sono ricattabili, più fanno carriera”.
Ai partiti conviene cooptare personaggi fedeli piuttosto che persone che rappresentino bisogni ed istanze della gente: quando il Parlamento è composto da “yes-men” che fanno da passacarte alle decisioni del Governo, non servono uomini pensanti ma gente ricattabile, che si fa comprare. E sono queste le persone più contendibili. Penso a Veronica, che dice a Savarese, portavoce del “partito” (che poi è il PD): “avete confuso le primarie con le elezioni”. Magari all’interno ci sono differenze ideologiche anche cospicue, che vengono poi appianate quando si riunisce il Direttivo che asseconda la linea del capo. Oggi Alfano e Berlusconi dicono: “Come facciamo a non votare queste riforme? Sono le nostre…” e ti accorgi che quelli di destra sono in difficoltà non perché debbano giustificare il proprio passato, ma perché devono tentare di prendere le distanze da questo governo, ma non ci riescono. E’ ridicola la Meloni quando dice: “So che non hanno ancora fatto le unioni civili, ma vorrebbero farle”.
Secondo te davvero “la vita è darsi uno scopo”, come dice Claudia alla fine del libro?
Credo che ogni esistenza abbia numerosi scopi anche piccoli: l’importante è non farseli togliere; questo libro parla di coppie che tentano di proteggere uno dei grandi scopi della loro esistenza, ovvero il proprio progetto di coppia, dagli altri e dalle leggi. E parla soprattutto di amore, ché senza quello saremmo finiti da un pezzo!
[1] Per diversi mesi una settantina di dipendenti sgraditi alla proprietà vennero confinati in una struttura senza macchinari e con uffici vuoti e pagati per fare niente. E’ la sordida storia di mobbing attuata dalla dirigenza ILVA a partire dal 1997 con il complice silenzio, purtroppo, delle associazioni sindacali e di alcuni capi-reparto. Nella sentenza di primo grado, confermata in appello e cassazione, il giudice scrive che la proprietà aveva “voluto riscrivere la storia e la Costituzione” italiana e “mettere in discussione alcuni capisaldi del nostro ordinamento in materia di diritto del lavoro, riscrivere i rapporti fra datori e prestatori di lavoro, rispetto alla loro evoluzione nel tempo”.