Riapriamo ancora più in tristezza! A giudicare da tutti quelli che vogliono dare a Taranto un’identità culturale, se fosse una persona, questa città sarebbe l’incubo di Freud. Ma Taranto non può essere semplicemente… Taranto?
Ci eravamo dati appuntamento alle 20,30 alla Coin.
Io giunsi da solo quando Steven era già arrivato, insieme a Georgina, la sua ragazza, che stringeva le maniglie del passeggino, in cui sonnecchiava James, il loro figlio di appena un anno. Ho conosciuto Steven su un forum on-line un paio di anni fa e siamo diventati amici di penna.
Steven e Georgie sono inglesi, vivono nel Lincolnshire e amano viaggiare. Quest’anno hanno passato le vacanze in Sud Italia e ho pensato che sarebbe stato bello conoscerli di persona, così lo convinsi a inserire Taranto nella scaletta di viaggio.
Georgie aveva letto che quella sera ci sarebbe stata una fiera culturale in centro e ci teneva a visitarla, tanto era sulla via per andare a mangiare. Io non sapevo niente di questa fiera e avevo fame, ma dopotutto ero il loro cicerone e li guidai per il centro.
La fiera era stata allestita in piazza Maria Immacolata. Una cinquantina di stand erano disposti in due cerchi, il più piccolo lungo il perimetro della fontana e il più grande spezzettato lungo i quattro angoli della piazza. Cominciai a sudare freddo quando lessi le insegne di qualche stand.
Steven e Georgina si fermarono al primo stand sulla destra, alla fine di via Di Palma. L’insegna diceva TARANTO FRANGESE (sì, proprio con la g) e sotto il tendone c’erano curiose stampe della piramide del Louvre in mezzo alla Città Vecchia e della Tour Eiffel impiantata proprio in piazza Immacolata. Il tizio al tavolo aveva un paio di baffetti dipinti che colavano e indossava un basco nero e una maglietta con su scritto “Égalité, Liberté, Citestramué”.
«Volete comprare una stampa?» e ne allungò una di Napoleone con le Colonne sullo sfondo.
«Che roba è questa?» domandai.
«È il nuovo brand per il rilancio turistico di Taranto.»
«Ma non ha senso!»
«Non ha senso, tu dici? Invece nessuno sa che il dialetto tarantino è uguale al francese, infatti io una volta scrissi al computer una frase in tarantino e sai che è successo? Che il correttore automatico me l’ha riconosciuto come francese! Quindi Taranto è francese!»
Steven e Georgina cercavano di capire.
Il frangese continuò «la conoscete la barzelletta del francese e del tarantino che devono mangiare? Hanno solo un euro a testa, così il tarantino dice “Ijə accàttə lə cozzə e tu accàttə ‘u panə”. Il francese risponde “Je ne comprends pas”. E il tarantino “Ah, sì? E ijə nongə accattə lə cozzə”!»
Aveva fondato l’intero rilancio culturale della città su una barzelletta. Fu la goccia che mi spinse a trascinare via Steven e compagna da quel pazzo. Purtroppo le cose precipitarono subito, quando Steven indicò uno stand dove sventolava bandiera inglese.
Qui l’addetto, bombetta calcata in testa e ombrello nero al gomito, ci accolse con un modulo in cui erano elencate le trovate per il suo rilancio cittadino. Il titolo era GOD SAVE TARANTO e tra le varie idee lessi: adozione dei bus a due piani per l’Amat, legalizzazione del sorpasso da destra («Tanto già la facciamo tutti» disse l’addetto) e installazione di due torrioni alle estremità del Ponte Girevole. Tremai quando Georgina prese in mano una foto di Elisabetta II con la faccia baffuta di Iacovone.
«Taranto è inglese» disse l’addetto. «Una mia amica è stata a Londra una volta e dice che ci vivono un sacco di tarantini emigrati. Addirittura in un bar trovò una cameriera che era della Salinella! Londra è già mezza tarantina, inglesizziamo pure Taranto, è tutto turismo!»
«Fatti questa domanda, amico: perché ci sono così tanti tarantini a Londra?»
«La so, è facile! Per esportarci la tarantinità.»
«Vabbè, credici. Cheers!»
Mi scusai con i miei amici inglesi e dissi che non era nell’intenzione di nessuno offendere la Regina; loro sembravano divertiti. Steven disse che la foto di Elisabetta II coi baffi gli aveva ricordato i Monty Python. Anche per me quella fiera cominciava a prendere il sapore di uno sketch demenziale.
Andammo verso il centro della manifestazione. C’era un tizio che pubblicizzava la “Taranto dei Paesi Bassi”. Il tizio vestiva con un completo nero, aveva un cravattino dello stesso colore sulla camicia bianca, i capelli lunghi alla nuca impomatati e due occhiaie scavate con la trivella.
«Ehi, amici, voi lo sapete cos’è legale ad Amsterdam, vero?» esordì col fiatone. «Se noi facciamo come Amsterdam, imbarchiamo un sacco di soldi, mi capite? Cioè, se noi facciamo come ad Amsterdam nei soldi ci nuotiamo, mi capite, vero? È tutto turismo!»
Lessi alcuni punti della la brochure: trasformazione della zona Muraglione in un quartiere a luci rosse identico al De Wallen di Amsterdam e apertura di coffee-shop, ma senza le restrizioni di questi per la vendita di stupefacenti.
Stavo per rispondergli, quando due poliziotti e un cane pastore apparvero alle spalle di Giorgina. Non appena li vide, il fricchettone si fiondò fuori dallo stand e se la diede a gambe. Io portai via i miei amici prima che finissimo nei guai.
«A Taranto» disse Steven in italiano stentato «siete fantasiosi so much.»
Io camminavo a testa bassa, le braccia dietro la schiena. «Non hai idea quanto…»
Eravamo all’imbocco di via d’Aquino e i miei amici si fermarono a un ultimo stand: Taranto Preistorica. Il promotore vestiva una casacca di pelliccia leopardata identica a quella di Fred Flinstone, col rosso e il blu a sostituire l’arancione e il nero.
Vendeva magliette, spille, tovagliette e altri gadget con su scritto “Chedda Yabba-dabba-doo di Mammete”, ma quello che attirò di più la mia attenzione fu la collezione di pietre e sassi scheggiati, senza forma alcuna, ma dipinti di rosso e blu che lui vendeva a non meno di quindici euro.
Il Fred Flinstone nostrano parlava e gesticolava con furore. «Ma lo sapete quanto è durata la Preistoria a Taranto? No, perché a Taranto si parla sempre e solo di Magna Grecia! E che palle, co’ ‘sta Magna Grecia. A Taranto la Preistoria è durata due milioni e mezzo di anni, ma questo nessuno lo sa!»
Lo fissavo, le braccia conserte. «Credo che sia durata altrettanto un po’ in tutto il mondo…»
«Ma…» balbettò lui «magari c’hai anche ragione, ma non ti dicono che, forse, a Taranto…»
«… la Preistoria non è ancora finita. Eh, già… Come on, that’s all, folks.»
E, finalmente, uscimmo su via d’Aquino.