De te fabula narratur
Orazio, Satire
Forse non è ben chiaro agli italiani che Syriza parla anche a loro: buio sarà il nostro futuro se il governo greco si dovesse piegare alle pressanti richieste dell’Eurogruppo ed accettasse l’estensione del piano di “aiuti” della Troika (FMI, Commissione Europea e BCE) per altri sei mesi, consolidando di fatto l’implementazione delle politiche di austerity in Grecia. In primis è in gioco la democrazia: credo sia ormai chiaro anche ai ciechi che i Ministri delle Finanze degli altri 18 paesi targati Euro stanno intimando Syriza ad ignorare il programma che il popolo greco ha evidentemente votato eleggendo questa forza politica al governo del paese. E tra questi 18 c’è anche il nostro Padoan: al netto di ogni esternazione contro l’austerità, di fatto Padoan e Renzi continuano ad avallare ufficialmente queste politiche economiche distruttive. Ma c’è di più.
Come sanno ormai anche i muri, per salvare una Grecia in crisi di liquidità nel marzo del 2010 sarebbero bastati 10 miliardi di Euro; dieci miliardi corrispondono alla cifra (in dollari) che ha avuto dal governo americano nel 2009 la sola banca più performante al mondo, Goldman Sachs. Si tratta di una fiche di poco conto in mezzo ad un mare di aiuti alle banche che, secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali, supera i 2000 miliardi di Euro; durante il picco della crisi finanziaria, le banche irlandesi hanno beneficiato di almeno 50 miliardi di aiuti a fondo perduto, la sola Commerzbank tedesca è stata nazionalizzata durante la crisi con una iniezione di capitale da 14 miliardi di Euro. Tutto questo mentre gli amministratori delegati delle banche hanno continuato a fare i propri comodi, in assenza di regolamentazione delle stesse.
Ma alla Grecia non è stato concesso niente. D’altra parte, sono le casse degli Stati ad aver salvato le banche, non il contrario. L’allora neo eletto Premier greco Papandreou – lo stesso Papandreou la cui madre è titolare di un conto svizzero da 500 milioni di Euro – trovò il famoso buco nei conti greci creato dal precedente governo guidato da Nea Democratia (la stessa Neo Democratia di Samaras che ha governato con la benedizione di Troika e Merkel fino a pochi giorni fa continuando ad affondare il paese) e si presentò davanti al popolo greco con il famoso discorso della “responsabilità”: “abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi, dobbiamo tirare la cinghia per un futuro radioso”, eccetera. Sappiamo tutti com’è andata. Da allora la Grecia ha perso il 30% della sua capacità produttiva, il PIL è sceso del 26%, la mortalità infantile è aumentata, il 30% della popolazione greca è povera, il 10% senza copertura sanitaria, il 70% con servizi sanitari insufficienti, il 25% degli scolari greci ha fame (nel senso che non mangia regolarmente), il tasso di disoccupazione è al 26%. Tutto questo perché, invece che prestare alla Grecia 10 miliardi subito e senza condizioni, si è preferito inondarla di liquidità con due programmi di prestiti in cambio delle mitiche “riforme strutturali”: tagli di spesa pubblica, licenziamenti nel pubblico impiego (quindi nel privato, dal momento che i dipendenti pubblici consumano beni prodotti anche da aziende private), deregolamentazione dei contratti di lavoro, privatizzazioni di pubblici servizi e di aziende di pubblica utilità.
Non c’è bisogno della laurea in economia per capire che prestare forzosamente soldi a chi pure ne ha bisogno in cambio però di misure economiche draconiane ha l’effetto di non permettere al debitore di pagare il debito, ma solo gli interessi crescenti a vita. O almeno fino a quando quel debitore non avrà la forza di mettere il creditore alla porta. Ma allora perché i creditori, cioè gli altri paesi europei, insistono? Semplice: per scaricare il peso della restituzione di prestiti privati sulle collettività di tutti i paesi, anche dei propri. Le politiche dei governi creditori sono decise da gente che, più che rappresentare il popolo, rappresenta gli interessi dei pochi creditori reali (essenzialmente le banche) che hanno erogato prestiti rischiosi per conseguire profitti: con questi prestiti i consumatori greci hanno comprato prodotti tedeschi, sostituendosi ai consumatori tedeschi (il cui salario reale si è ridotto negli ultimi dieci anni) e gonfiando i bilanci di Siemens o Thyssen o Audi.
Dal 2000 al 2007, a differenza di quanto narrato dai media allineati al mainstream, non sono aumentati i debiti pubblici in rapporto al PIL dei paesi PIIGS, bensì i debiti privati. Ciò è accaduto soprattutto in Grecia e in Irlanda, cioè nei due paesi finiti sotto le amorevoli cure della Troika subito dopo lo scoppio della crisi. Addirittura in Irlanda il rapporto debito/PIL era inferiore al 40% fino al 2007. Gli Stati, insomma, dopo lo scoppio della crisi hanno salvato le banche private che avevano veicolato soldi non propri – quelli dei depositanti – su scommesse perdenti. In questo modo il debito pubblico è esploso, e tutti i cittadini si sono trovati obbligati a pagare per le operazioni spericolate delle banche. A quel punto sono scattati gli “aiuti” internazionali. La Grecia è stata aiutata con due programmi da 240 miliardi complessivi per restituire i prestiti alle banche tedesche e francesi, non certo per le necessità del suo popolo. Di quei 240 miliardi solo 27 sono stati spesi dallo Stato greco in questi 5 anni per erogare servizi ai cittadini; il resto è stato restituito agli scommettitori privati tedeschi e francesi, quelli che vincono anche quando perdono perché intervengono i governanti dei paesi “forti” a salvarli. E’ stato socializzato il debito delle banche, e chi se ne frega se ora la Grecia è un deserto di disperazione e distruzione.
Ed ora siamo al “redde rationem”, la resa dei conti. La gente greca non ce la fa più ed ha premiato Syriza, un cartello di partiti e movimenti che ancora stamane Rai News 24 – quanto lontani sembrano i tempi di Corradino Mineo! – non esita a definire “della sinistra populista”. Ma c’è una fondamentale differenza rispetto al Maggio del 2010, quando la Grecia venne commissariata dalla Troika. Com’è facile verificare, le banche francesi e tedesche sono rientrate dai 130 miliardi di Euro di esposizioni che avevano nei confronti dei debitori privati greci: il “programma di aiuti” alla Grecia altro non è stato che un’enorme partita di giro a favore di queste banche. Ora che la nazione è stata spolpata e che le banche estere sono rientrate dalle loro scommesse perdenti (ma comunque vincenti), quindi, la Grecia può decidere se continuare a piegarsi ai dettami della Troika (e morire di austerità), ovvero non piegarsi, uscire dal mercato comune e forse soffrire ancora di più per un indefinito periodo prima di recuperare la propria indipendenza economica. Si, perché non è ben chiaro un fatto a quelli che “la Grecia esce dall’Euro e risolve il problema”. Semplicemente, non è così facile. In ogni occasione in cui un paese – agganciato alla valuta forte di un altro paese verso cui si è indebitato – si è sottoposto alle amorevoli cure del FMI e ha deciso di non ripagare il debito più o meno odioso accumulato, i suoi tassi di interesse sono schizzati alle stelle, il paese è tecnicamente fallito, dunque non ha avuto più accesso al mercato dei capitali esteri, cioè alla “valuta forte” con cui comprare beni esteri e, dulcis in fundo, la quota salari sul reddito è spesso crollata. E’ un ricatto – qualcuno direbbe che è la legge del mercato: “tu Stato non paghi anche se il debito è frutto di speculazioni private? Allora esci dall’Euro ed io ti tolgo la possibilità di accesso a questa valuta forte per acquistare tutto quello che ti serve per far vivere la gente del tuo paese. E puoi stampare tutte le dracme che vuoi: non serviranno a comprare gli euro o dollari di cui hai bisogno”. Cioè, in caso di uscita dall’Euro, la Grecia non potrà comprare beni dall’area Euro, e ciò non è indifferente per un paese che non ha più un’industria di base, dal momento che ha subìto una distruzione di capacità produttiva superiore a quella della seconda guerra mondiale. La Grecia oggi è, cioè, un paese in cui si sta combattendo una guerra mondiale; un paese che, in caso di uscita dall’Euro, non avrebbe possibilità di accesso a mezzi di pagamento per la ricostruzione. Insomma, alla Grecia è stato riservato il trattamento già praticato dal Fondo Monetario Internazionale, per citare i casi eclatanti, al Messico nel 1982, alla Thailandia nel 1997, ai paesi Baltici e all’Islanda nel 2009, all’Argentina, all’Ecuador fino al 2005, al Burkina Faso ancora oggi. Questi paesi sono puntualmente affondati dopo il passaggio del FMI. E anche quei paesi dotati di grandissime risorse naturali e giacimenti di materie prime che si sono liberati dalle catene del FMI, come Argentina ed Ecuador, hanno ancora gravi problemi di commercio internazionale. Figurarsi cosa potrebbe succedere alla piccola Grecia fuori dall’Euro, priva di materie prime ed industrie di base. Semplicemente non sappiamo cosa accadrà, dal momento che la Grecia non può vivere in una situazione di autarchia. Ecco perché Varoufakis e Tsipras affermano in continuazione che non c’è un piano B rispetto alla loro strategia di interruzione delle politiche di austerità all’interno dell’area Euro. Essi sanno che il ritorno alla dracma renderebbe 1) ancora più aggredibili dall’estero i residui “gioielli di famiglia” greci (a meno che lo Stato greco non decida di chiudere le frontiere e proteggere l’economia nazionale); 2) la Grecia sarebbe fuori dal commercio internazionale per non si sa quanto tempo (e la Grecia non è una nazione autarchica).
Ma, ci si chiederà, perché la Troika non allenta la morsa su un paese che può essere spremuto ancora poco? Ora il problema non è “economico” ma “ideologico”: non appena fosse permesso alla Grecia di attuare le politiche di espansione fiscale che chiede di effettuare, ci si renderebbe conto a livello globale della pazzia e della inefficacia delle politiche di austerità ed il castello di carte costruito dall’intellighentia europea crollerebbe immediatamente sotto il peso delle fandonie. La diga costruita dalla disinformazione propinata dai media nazionali italiani non reggerebbe più. La gente avrebbe dunque la prova provata di ciò che sospetta: che la Troika racconta frottole. E l’Italia è un paese troppo succulento e ricco per non essere spolpato da questi ceffi. De te fabula narratur: la Grecia siamo noi.