In un articolo di qualche tempo fa, si è cercato di operare una rapida carrellata dei numerosi ostacoli, di natura economica e procedurale, che sono stati introdotti negli ultimi anni al fine di disincentivare in maniera sempre più incisiva il ricorso alle aule di giustizia.
Tuttavia tale carrellata non può considerarsi esaustiva, posto che l’aggravio dei costi necessari all’avvio di una causa è stato attuato non solo direttamente (tramite l’aumento dei costi delle marche da bollo e dei contributi unificati, ad esempio), ma anche per “vie traverse”. Una di queste vie, probabilmente la più incidente, è quella della soppressione di numerosi uffici giudiziari periferici su tutto il territorio nazionale.
In particolare, con i decreti legislativi nn. 155 e 156 del 2012, si è proceduto alla soppressione di 31 tribunali, 31 procure, 220 sezioni distaccate di tribunale e 667 giudici di pace.
Successivamente sono stati effettuati ulteriori interventi normativi che hanno ridefinito il numero degli uffici soppressi, confermando però nella sostanza il taglio drastico agli uffici giudiziari periferici.
Come spesso accade, questo colpo di mannaia è stato giustificato con l’esigenza di “razionalizzare” i costi e limitare gli sprechi. Chi opera nella giustizia sa bene come vi fossero effettivamente alcuni uffici giudiziari la cui permanenza non appariva giustificabile. Tuttavia, come in molti altri casi, l’intervento di ristrutturazione della geografia giudiziaria, effettuato senza un reale disegno strategico, ha comportato un taglio indiscriminato di servizi più che una effettiva razionalizzazione dei costi. Inoltre, gli uffici giudiziari “centrali”, che da un giorno all’altro hanno dovuto sobbarcarsi il carico proveniente dai bacini prima serviti dagli uffici soppressi, non sono stati adeguatamente supportati per affrontare tale improvviso incremento di carico di lavoro, con tutte le conseguenze del caso in termini di disagi e disservizi.
Alle difficoltà del personale di cancelleria si è aggiunta una drammatica penuria di spazi, che già prima di tali provvedimenti si manifestava in maniera pressante.
Ogni tribunale ha dovuto adattarsi alla meno peggio; a Taranto, ad esempio, si sono ricavate nuove “aule” semplicemente sistemando delle pareti divisorie in cartongesso su dei corridoi, con tanto di inaugurazione in pompa magna!
Molti tribunali sono andati in grave affanno nella gestione del contenzioso giudiziario; basti pensare a Lecce, la cui sede principale ha dovuto sobbarcarsi il carico delle numerose sedi distaccate della sua sterminata provincia, che in alcuni casi non disponevano nemmeno di archivi informatici; diversi sono stati i fascicoli materialmente smarriti durante il trasporto dalle sedi distaccate alla principale.
Per farsi un’idea della mancanza di qualsiasi disegno organico alla base di tali riforme, basti dare un’occhiata all’art. 5 del già citato decreto legislativo n. 156:
entro sessanta giorni dalla pubblicazione di cui al comma 1 (cioè della pubblicazione dell’elenco degli uffici soppressi, nda) gli enti locali interessati, anche consorziati tra loro, possono richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace, con competenza sui rispettivi territori, di cui e’ proposta la soppressione, anche tramite eventuale accorpamento, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sara’ messo a disposizione dagli enti medesimi.
In altri termini, sono state previste deroghe alla lista degli uffici da sopprimere, purché gli enti locali che amministrano i territori interessati facessero apposita richiesta di mantenimento degli uffici, facendosi integralmente carico di tutte le spese necessarie. Di conseguenza, molti uffici giudiziari sono stati soppressi o sono sopravvissuti non in funzione della loro effettiva utilità, ma solo in virtù delle iniziative (ovviamente prive di qualsiasi coordinamento) promosse dai singoli enti locali. Per quanto riguarda il nostro territorio, ad esempio, uno degli effetti schizofrenici di tale impostazione è stato quello di sopprimere un ufficio di una certa rilevanza, come il giudice di pace di Grottaglie, per mantenerne uno del tutto secondario, come quello di San Giorgio Ionico.
Pare appena il caso di sottolineare gli enormi disagi che tale politica ha causato all’utenza ed ai professionisti di buona parte dei territori. Una causa che fino a poco tempo fa poteva essere promossa presso un presidio sul proprio comune di appartenenza, o comunque in un comune limitrofo, oggi deve necessariamente essere avviata presso il capoluogo di provincia, con il conseguente corollario di disagi e costi che, ovviamente, ricadono in ultima istanza sul cittadino che si rivolge alla giustizia.
Ma il disegno non si ferma qui. Dopo aver falcidiato giudici di pace e tribunali, il successivo passo sembra interessare le corti d’appello ed i tribunali amministrativi regionali.
E’ infatti in discussione un disegno di legge (S. 1640), che tra i suoi intenti esplicitamente prevede quelli di
ridurre gli uffici giudiziari di secondo grado, assicurando che: 1) le corti d’appello abbiano sede soltanto nel comune capoluogo di regione; 2) le circoscrizioni di corte d’appello coincidano con il territorio della relativa regione; 3) le circoscrizioni di corte d’appello nelle quali, in seguito all’applicazione dei numeri 1) e 2), risulti un numero di residenti inferiore a un milione, siano accorpate in un’unica corte d’appello con quella di una regione limitrofa; 4) siano soppresse le sezioni staccate di tribunale amministrativo regionale aventi sede in comuni che non sono sedi di corte d’appello, ai sensi dei numeri 1), 2) e 3) (art. 1, comma 1, lettera b).
Tali intenti sono gli stessi di un progetto del Ministero della Giustizia, nato sulla scorta di una relazione tecnica dell’agosto 2014 e di un atto di indirizzo politico del settembre 2014, che ha anche insediato, agli inizi di settembre di quest’anno, una commissione tecnica per lo studio dell’ ennesimo riordino della geografia giudiziaria.
A quanto pare, l’indirizzo verso cui ci si è incamminati è quello, appunto, del mantenimento di una sola corte d’appello per regione, ovviamente nel comune capoluogo, nonché della previsione di un numero minimo di tre tribunali per il mantenimento di un distretto di corte d’appello.
Rimanendo alla nostra realtà locale, tale riforma comporterebbe la soppressione della corte d’appello di Lecce e della relativa sede distaccata di Taranto, con gli ovvi disagi e costi di cui si è già accennato sopra, ma in tal caso notevolmente accentuati, data l’enormità delle distanze di cui si parla.
“Egoisticamente” verrebbe da fare l’esempio di un avvocato tarantino costretto a recarsi a Bari per ogni adempimento da espletare in corte d’appello, ma forse la gravità degli effetti si comprende più appieno se si immagina che a dover compiere questo sacrificio sia un avvocato leccese, magari dell’area più meridionale della provincia.
La Basilicata, immaginando un altro esempio, sarebbe privata di qualsiasi corte d’appello.
Altro profilo di irrazionalità della riforma sarebbe quello della creazione di nuove “cattedrali nel deserto”, quali appunto quella della sede distaccata di Taranto, ultimata solo pochi anni fa, in barba a qualsiasi “razionalizzazione” dei costi.
Prima di strombazzare la riduzione del carico giudiziario del 20%, come ha fatto qualche mese fa, il ministro Orlando farebbe bene a esplicitare chiaramente a cosa debba imputarsi tale diminuzione. E se il merito non può certamente essere ascritto ad un sistema giudiziario che, in realtà, appare sempre più macchinoso ed inefficiente, si deve concludere che ormai una parte rilevante dei cittadini rinuncia sempre più frequentemente a rivendicare i propri diritti. Non proprio una patente di civiltà per il nostro paese…