Maurizio Landini, segretario generale della Fiom Cgil, è stato oggi a Taranto per l’assemblea dei delegati delle industrie metalmeccaniche del territorio. Gli abbiamo rivolto alcune domande sugli argomenti più scottanti della fase attuale: la situazione di Ilva e dell’industria italiana, il Jobs Act e le ricette di “precarietà espansiva” sostenute dal governo, la “coalizione sociale” e le sfide che attendono il sindacato nella fase attuale.
Martedì scorso il settimo Decreto ILVA è stato convertito in legge: qual è il suo giudizio sul provvedimento?
E’ un primo decisivo passo per indurre l’azienda, attraverso l’intervento pubblico, a fare investimenti necessari per un ammodernamento e un risanamento nel tempo più veloce possibile; già in tempi non sospetti la FIOM – CGIL aveva richiesto il cambio di proprietà dell’azienda e un intervento pubblico come elemento di garanzia e trasparenza rispetto alla necessità di varare sia un piano ambientale serio sia un piano industriale che un’industria siderurgica importante deve avere per poter competere sul mercato dei prodotti nel rispetto dell’ambiente. Abbiamo richiesto un confronto tra tutte le parti sociali rappresentate nella questione ILVA perché questo decreto, pur rappresentando un primo passo verso normalizzazione di produzione e modalità di produzione, è pieno di punti oscuri o non giusti da monitorare da parte di tutti i soggetti coinvolti; abbiamo insistito affinché tutte le somme sequestrate alla famiglia Riva – e tutte quelle che si dovessero sequestrare in seguito – siano utilizzate per il risanamento. Ritengo che la nuova società debba essere strutturata con le competenze di un gruppo manageriale all’altezza, cioè in grado di gestire una situazione complessa non solo con riferimento ad ILVA ma anche alle aziende dell’indotto, che da ILVA dipendono.
Ripeto: questo decreto è un inizio la cui concreta attuazione dovrà essere attentamente monitorata, soprattutto con riferimento all’80% delle prescrizioni AIA da implementare entro luglio 2015, sulla cui qualità noi vogliamo assolutamente entrare nel merito. Si è già perso troppo tempo e questa potrebbe essere l’occasione per tornare a produrre l’acciaio di cui questo paese ha bisogno senza ammazzare nessuno e garantendo il lavoro degli operai; senza girare troppo attorno alle cose: se questo paese vuole continuare ad essere una potenza industriale, il settore siderurgico è strategico ed il recupero delle quote di mercato è, in questo senso, fondamentale.
L’intero tessuto produttivo della Provincia di Taranto e del Sud è a rischio “desertificazione” industriale ed imprenditoriale. Cosa propone la Fiom per uscire dalla crisi?
Innanzitutto lo Stato dovrebbe proporre una politica industriale vera. Restando su ILVA, qui c’è l’inizio di un processo che vede l’intervento diretto dello Stato, se pur transitorio secondo quanto indicato nel decreto, ed io non sono convinto che, alla fine del processo, l’ILVA sia venduta al privato anche se questa è la previsione: quando comincia un processo del genere, perché rivendere al privato quando è possibile operare come public company piuttosto che attraverso il collocamento di azioni sul mercato ma restando pubblica. Gli scenari possibili sono molteplici: c’è da capire come si interviene.
A livello nazionale, invece, lo Stato si comporta in modo contraddittorio rispetto a quanto appena cominciato a fare in ILVA: non è possibile paventare un intervento pubblico per rilanciare l’acciaio e poi svendere, per esempio e per ultimo, Finmeccanica (e Ansaldo quindi) cioè tutto il sistema di trasporti il cui fattore produttivo fondamentale è proprio l’acciaio. Qui c’è bisogno di investimenti pubblici e privati non solo nel settore siderurgico ma in tutti i settori strategici, mentre invece questo Stato sta facendo l’opposto, tagliando tutto e incentivando le imprese a produrre attraverso riduzioni di tasse e precarizzazione dei rapporti di lavoro.
L’approvazione dei decreti attuativi ha reso esecutivo il Jobs Act. Cosa devono aspettarsi i lavoratori italiani con questa riforma?
Si tratta di un decreto pessimo che riduce i diritti dei lavoratori: quando una persona può essere licenziata e, anche se ha ragione, deve accontentarsi di un mancia piuttosto che ritornare al lavoro vuol dire che c’è un arretramento nell’accettazione della scala di valori anche costituzionali su cui si basa questo paese. Dall’altra parte non è vero che in questo modo si riduce la precarietà: molte forme di lavoro precario rimangono, non c’è un’estensione degli ammortizzatori sociali perché, per esempio, chi è senza lavoro e non ha mai potuto lavorare non ha alcuna tutela di reddito: non siamo di fronte ad una riforma universale e per noi la partita non è chiusa. Per il 28 Marzo abbiamo organizzato una manifestazione non solo limitata ai metalmeccanici ma estesa anche a giovani precari e ad ogni persona che ritenga che quella di Renzi non sia la strada da perseguire per far ripartire l’economia. Bisogna inasprire la lotta all’evasione e alla corruzione; bisogna ridurre l’eta pensionabile – non aumentarla – se vuoi dare lavoro ai giovani; bisogna ideare un sistema di ammortizzatori che assicuri cassa a tutti e che sperimenti un sistema di reddito minimo garantito in grado di sostenere chi è disoccupato ed in cerca di lavoro. FIOM e CGIL lavoreranno per costuire una vera proposta di Statuto dei Diritti dei Lavoratori, raccogliendo le firme per presentare una proposta di legge in Parlamento. D’altra parte non escludiamo il ricorso al referendum abrogativo per cancellare il Jobs Act.
Nel contesto delineato come si configura il nuovo soggetto da lei ideato e chiamato “coalizione sociale”?
Non direi che “coalizione sociale” sia un nuovo soggetto; si tratta del vecchio mestiere che fa il sindacato: unire tutto ciò che le imprese dividono. La frantumazione dei soggetti sul mondo del lavoro operata dalle aziende è impressionante: vogliamo mettere insieme dipendenti, autonomi, precari, disoccupati, migranti, giovani per esigere insieme un nuovo progetto di sviluppo economico e sociale del paese.
La FIOM fa sindacato e politica da 114 anni: il sindacato ha sempre fatto politica perché battersi per difendere il lavoro attraverso l’applicazione di idee di carattere generale significa fare politica. Al contrario, un governo che dice di rispettare le idee del sindacato senza poi mai confrontarsi con questo vuole evidentemente cancellare il sindacato.
Direi che la coalizione sociale l’ha fatta Renzi prima di noi, ma con Confindustria: ha fatto un accordo con Confindustria, applica le politiche di Confindustria. La nostra, dunque, è una scelta necessaria: se non costruissimo un coalizione sociale abdicheremmo alla nostra funzione di sindacato. Se, poi, si trovasse un accordo su chi vuole entrare in coalizione sarebbe inutile parlare di “leader” della coalizione; l’idea di voler trovare a tutti i costi un capo carismatico per una coalizione è una malattia italiana: come è possibile osservare, più leader ci sono in giro peggio stanno quelli che lavorano. In un paese in cui ormai la maggioranza dei cittadini non vota, ci sono troppi leader mentre gli spazi di democrazia si vanno restringendo, peggiorando le condizioni di chi lavora: l’Istat dice che 17 milioni di italiani ormai sono relativamente o assolutamente poveri.
Renzi, dopo aver abolito la “concertazione “ con i sindacati ed aver approvato norme in materia di lavoro senza consultarvi, ha proposto di estendere ai sindacati la funzione di “agenzia di collocamento” per gli iscritti. Come giudica la proposta?
Il lavoro è un diritto e il soggetto deputato a controllare che questo diritto sia rispettato non può diventare l’intermediario a pagamento di un diritto del cittadino italiano. Questa è la classica polpettina avvelenata che Renzi ci ha lanciato proprio in un momento in cui trovare lavoro è difficile e l’iscritto, che oggi è in una posizione particolarmente debole, potrebbe essere tentato di pagare la tessera per avere più possibilità di trovare lavoro. Si tratterebbe dello snaturamento della funzione del sindacato, che coronerebbe il tentativo di Renzi di eliminare completamente il dissenso sulla riforma del lavoro :”Sul Jobs Act non parlo con voi ma, se volete, posso farvi partecipare alla gestione della riforma garantendovi il pagamento di qualche tessera”. Se c’è qualcosa che non funziona oggi su collocamento e formazione è perché c’è stata una privatizzazione folle di queste funzioni in assenza di politica del lavoro pubbliche; bisognerebbe discutere, invece, su cosa serve al paese per ripartire: in questo senso ci sono esperienze molto interessanti in Europa. Sono disposto ad ammettere che il sindacato ha bisogno di rinnovarsi ma non per diventare un agente di collocamento, bensì per tutelare in modo più efficace i lavoratori sui posti di lavoro e per essere un soggetto che abbia un ruolo sulla politica e sul futuro del paese.
A lei sembra che Renzi stia attuando quelle politiche anticicliche di “flessibilità espansiva” battendosi contro le polithce di austerità?
Rispondo con una domanda: qualcuno si è accorto che l’Italia è stata per 6 mesi alla Presidenza della Commissione Europea? Tutte chiacchiere, qui ci vogliono fatti!
Non pratica politiche anticicliche un governo che si vuole disfare di interi settori strategici energetici ed industriali svendendoli al privato insieme con le alte competenze ad essi connesse; e si tratta di scelte dovute a un’evidenza: ogni nostra azione di politica economica è vincolata alle modalità di funzionamento di questa Europa che sottrae autonomia decisionale ai singoli paesi. Allora è’ necessario intavolare una discussione sul cambiamento dei Trattati per far ripartire gli investimenti pubblici: già solo rinegoziare la restituzione di debito pubblico ed interessi – magari allungando la durata ed abbassando il tasso di interesse – potrebbe permetterci quella flessibilità che non abbiamo. Se, per esempio, il governo italiano non sostiene questa battaglia (rinegoziazione del debito ed abbattimento degli interessi), allora dovrebbe farla il sindacato non solo italiano ma anche europeo. E’ ora che si recuperi una dimensione europea anche a livello sindacale.