Gesù si pentì amaramente di essere risorto per Pasqua, perché si poneva il problema di cosa fare a Pasquetta, ma dato che tutti si erano già organizzati rimase a casa a giocare da solo alla Playstation. A quel punto sarebbe stato meglio risorgere il mercoledì, giorno del mercato a Talsano.
Credo che una delle pene che Dio (divinità simpatica ma permalosa) ci abbia affibbiato quando cacciò Adamo ed Eva dal paradiso sia stata quella di farci sentire delle merde se non facciamo qualcosa nelle feste comandate. Io per esempio scrivo adesso a pasquetta e sto malissimo, ma tutto è iniziato di giovedì santo.
Se vivete fuori Taranto non potete sapere cosa siano i riti della settimana santa. Mettendo da parte l’aspetto religioso questi riti sono uno dei pochi momenti di vita di questa città; gente in giro anche dopo le 23, risate e un calderone pieno di oro al termine dell’arcobaleno: una serata che nessuno si perderebbe. Ma il dramma è dietro l’angolo. Una serie di eventi che non puoi controllare, che credevi di poter schivare, ti vengono addosso come un ciccione in un contrasto a calcetto: uno alla volta, inesorabilmente, tutti i tuoi amici si defilano. C’è quello che si sente poco bene, quella che ha i drammi esistenziali e c’è sempre quello a cui proprio non va.
Eccoti servito: già pregustavi il divertimento e la mondanità come se vivessi a Milano, ma ti sarebbe andata bene anche Abbiategrasso, ed invece eccoti l’orrore come Lizzano in un giorno qualunque. E ancora non si è deciso nulla per la Pasquetta: una sciagura ancora lontana.
Per quanto possiate trovare giustificazioni o rivendicare il vostro diritto a girare per casa in pigiama e calzini spaiati, le feste comandate sono lì a ricordarvi che è vostro dovere fare qualcosa di divertente in quei giorni, perché o stai con quelli che la vita la vivono al massimo oppure rimani a casa a vedere “C’è Posta per te”.
Così da solo a casa ho cercato di non pensare alla mia condizione e mi sono messo a cercare nuove band in giro per la rete. Sono passato da assurdi gruppi russi che fanno house anni 90 come se fossimo ancora al Dee Jay Time, a placide band di folk che decantavano la tua morte. Ma io volevo energia per superare questa tortura serale.
Mi imbatto nel primo disco dei The Snails, Songs From the Shoebox. Ma chi cazzo sono sti Snails? È presto detto: è il progetto parallelo (side project per quelli del liceo linguistico) di Samuel T. Herring, leader dei Future Islands, che molto probabilmente non conoscerete (beh avete la rete per scoprirli, muovete un po’ quelle dita pigre). Rispetto alla band di origine che si muove in territori sinth–pop (cioè quella musica che si fa con le tastiere che ti fanno fare quei rumori strani tipo: “iuawh” o “ wauwa wauwa” e altre robe così, ma molto carine dai), gli Snails si attestano su sonorità prettamente rock.
L’album è impregnato di new wave ed ha i suoi punti di forza nella voce di Herring che sa sfruttarne tutte le potenzialità affrontando diversi registri, nel basso di William Cashion, che è la base su cui poggiano tutti i brani dell’album e nel sax onnipresente.
E così mentre voi bevete birra per la strada facendo sguardi seducenti io mi tiro su con Tight Side Of Life che apre il disco con la voce graffiante di Herring su di un riff ossessivo di basso e chitarra; i vostri racconti di quante cose fiche fate a Bologna sono solo rumore di fondo sovrastate dalla danzereccia Bernacle on Surferboard e dal sax circolare di Tea Leaves. Poi penso allo spettacolo osceno di ragazze ubriache in Città Vecchia e mi sale la tristezza: ci dovevo essere anche io lì in mezzo ed ascolto Do Like You Do, bellissima strumentale dal tono confidenziale ed intimo.
Songs From the Shoebox è un album ben suonato, nulla è lasciato al caso ma non scade nel mero “compitino” e per questo risulta piacevole pur non aggiungendo nulla a quanto esiste in giro.
Ma questa è l’ultima volta che mi faccio fregare, anche io l’anno prossimo sarò in centro con voi a bere birra, sporcare la città e guardare i culi delle ragazze ubriache e vaffanculo la scoperta di nuova musica.
Mentre scrivevo questo pezzo ascoltavo:
The Last Shadow Puppets, Everything You’ve Come To Expect, 2016