Il mese di febbraio si apre, a Taranto, con una visita speciale: quella della “Madonna di Loreto”. Il simulacro sacro soggiorna nella chiesa dello Spirito Santo tra il 2 e il 9 febbraio. Una settimana fitta di appuntamenti, come spiega don Martino Mastrovito, che permetterà «di potersi riconciliare con Dio anche attraverso il dono dell’indulgenza Plenaria».
Quando si pensa alla “Madonna nera” credo sia quasi automatico andare con la mente là, al Santuario della Santa Casa di Loreto, con i suoi tesori d’arte, e alla suggestione che quella piccola struttura muraria in cotto, ricoperta dal lindo rivestimento marmoreo realizzato nel XVI secolo da Andrea Sansovino e Antonio da Sangallo il Giovane su progetto di Donato Bramante, lascia addosso: un misto di fredda umidità d’antico e odore di miracolo in fili d’incenso. Ma la cosa che più colpisce, nella storia della Vergine di Loreto e della sua Casa, credo sia proprio la leggenda della traslazione, ovvero del trasporto da parte degli Angeli della camera dove Maria ricevette l’annuncio, dalla Galilea alle Marche ove ora si trova. Prima di arrivare a Loreto, infatti, la Santa Casa sosta per tre anni circa in terra dalmata dalla quale, a un certo punto, viene prelevata dagli Angeli per essere spostata sulla sponda opposta dell’Adriatico. I motivi dello spostamento della Camera di Maria dalla “Schiavonia” a Loreto sono stati variamente indagati nel corso dei secoli, ma uno dei fattori che sembra essersi riflesso maggiormente nelle modifiche alle varie versioni della storia pare sia stato, come ha fatto notare la critica (Moroni 1990), il fenomeno dell’immigrazione dai Balcani sulla costa adriatica dell’Italia e la sua ricezione.
Le Marche, infatti, sono sempre state terra di facile approdo per le popolazioni slave e albanesi e Loreto non fa differenza. A metà Quattrocento ci sono diversi casi di espulsione di “schiavoni” dal territorio, sintomo che l’intolleranza nei loro confronti è in crescita, soprattutto perchè considerati, tra l’altro, portatori di epidemie. Non meraviglia a questo punto che il rettore della chiesa di Santa Maria, Pietro di Giorgio Tolomei detto il Teramano, in una versione della leggenda scritta tra il 1468 e il 1473, spieghi le ragioni della traslazione della Santa Casa in terra recanatese (Loreto allora è ancora villa di Recanati) con una presunta indifferenza degli slavi nei confronti della Vergine.
Negli ultimi decenni del XV secolo si assiste, tuttavia, al miglioramento delle condizioni di vita e di integrazione delle popolazioni dalmate a Recanati e Loreto, complici anche le attività delle confraternite in cui gli immigrati si riuniscono. Così gli slavi e gli albanesi diventano importanti fattori di crescita socio-economica e la loro venerazione nei confronti della Madonna si concretizza in continue donazioni e lasciti al Santuario.
Un riflesso di questa situazione si può così scorgere nella versione della leggenda che il cancelliere di Recanati, Girolamo Angelita, fornisce nel XVI secolo: ogni riferimento all’indifferenza degli slavi nei confronti della Madonna viene eliminato; viene sottolineato, anzi, il loro entusiasmo durante il pur breve soggiorno della Santa Casa a Tersatto, nei pressi della città di Fiume.
L’ integrazione degli slavi in terra di Marca e il suo difficile processo, così come sembrano affiorare nella leggenda della Santa Casa, portano a riflettere su quanto i pregiudizi condizionino il nostro pensiero nei confronti dell’alterità, su come essi siano spesso strumentalizzati ma anche su come si possano superare. In tal senso, nelle Marche del Cinquecento, le confraternite hanno svolto un ruolo fondamentale, assicurando alle popolazioni slave un appoggio tale da farle inserire nel tessuto cittadino senza più essere considerate come presenze estranee. Corsi e ricorsi storici di vichiano retaggio, insomma! Che la presenza della “Madonna di Loreto” a Taranto sia, dunque, per chi crede e per chi no, anche un momento di riflessione sul ruolo che deve assumere la Chiesa in una fase come quella che stiamo vivendo, caratterizzata da una guerra tra poveri in cui il colpevole di una situazione catastrofica non è chi l’ha realmente causata ma il diverso, l’altro.
Una riflessione sulla religione che unisce; un po’ come ha fatto la Santa Casa con le due sponde dell’Adriatico in tempi ormai troppo lontani.
StecaS
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Gli studi sulla Santa Casa, la sua leggenda e i suoi aspetti storico-artistici sono stati molto dibattuti. In questa sede faccio riferimento soprattutto allo scritto di M. Moroni, Sviluppo e declino di una città marchigiana: Recanati tra XV e XVI secolo, Ostra Vetere 1990, uno studio molto importante dove, alle pagine 150-153 e passim, si può leggere approfonditamente circa l’interpretazione che ho tentato qui di sintetizzare; non posso tuttavia omettere di citare un altro grandissimo studioso di “cose lauretane” quale Floriano Grimaldi a cui si devono i tantissimi contributi sul Santuario della Santa Casa di Loreto e sugli artisti che attorno ad essa hanno gravitato nelle diverse fasi della sua costruzione, oltre a regesti dettagliati fondamentali per la cronologia dell’edificio.