In un momento così delicato per la storia di Taranto, nel quale è si assiste una guerra aperta tra parte dei cittadini e il colosso industriale ILVA, è atto di coraggio inserire nel discorso un brano del passato dell’acciaieria dalla forte connotazione culturale. Così, in mezzo a questa dialettica locale a tratti paralizzante, Gianluca Marinelli – storico dell’arte e artista, tra i fondatori di una delle realtà maggiormente attive di Lecce, l’ “Ammirato Culture House” – pubblica un libro dal titolo di raro fascino, “Taranto fa l’amore a senso unico”, in cui apre a una nuova percezione dell’industria tarantina, quella appunto delle attività culturali, fornendo in questa maniera gli strumenti per poter inquadrare la storia dell’acciaieria su un piano diverso rispetto a quello cui siamo abituati. Ne abbiamo parlato direttamente con lui.
Un libro sulla cultura all’epoca dell’Italsider in un momento in cui la vicenda ILVA è in primo piano a Taranto.
“Il libro svela aspetti poco conosciuti o del tutto obliati dell’esperienza artistica e culturale a Taranto negli anni in cui viene costruito il più grande stabilimento siderurgico d’Europa. Da una parte c’è questa azienda che sviluppa una politica culturale per esigenze apparentemente filantropiche, ma che in realtà sono propagandistiche: l’idea è di costruirsi un’immagine pubblica prestigiosa, riconosciuta nel mondo. In questo ha bisogno di artisti e intellettuali da coinvolgere nelle proprie strategie di comunicazione. Per molti di essi è un’occasione importante: hanno la possibilità di realizzare opere che diversamente non avrebbero potuto concepire (ad esempio sculture di grandi dimensioni utilizzando l’acciaio dell’azienda); di avere accesso a dispositivi come la tipografia della fabbrica per stampare dei libri d’arte, oppure di esporre il loro lavoro negli spazi del Circolo Italsider (fino ai primi anni ’80 tra i principali luoghi della cultura e delle arti nel territorio della provincia di Taranto). D’altra parte c’è invece un atteggiamento fortemente critico nei confronti della particolare forma di sviluppo che stava prendendo piede in quegli anni. Gli artisti e gli intellettuali non tardano a confrontarsi con i problemi ambientali o delle morti bianche. Lo fanno con proposte efficaci, spesso provocatorie, che denotano inoltre un aggiornamento sugli aspetti più brucianti del dibattito artistico internazionale. Sono tutte vicende che, lontano dagli appiattimenti dei media, restituiscono un quadro complesso e contraddittorio (e per questo emblematico) del rapporto che la città ha instaurato sin dagli inizi con il gigante siderurgico.”
Perché a Taranto la macchina culturale si è inceppata?
“Le ragioni sono molteplici. Tra le tante la diaspora di intere generazioni. Fino a pochi anni fa era una città dove rimanevi solamente se avevi un lavoro o un problema. Oggi la crisi spinge in molti a restare o a ritornare. Le vicende penali legate all’Ilva hanno poi generato un cortocircuito dagli sviluppi imprevisti. È una città esasperata, che ha molti timori, ma anche molta rabbia e desiderio di riscatto. C’è infatti in questo momento una pulsione creativa, la volontà di mettere in atto pratiche ed azioni collettive. Un entusiasmo che emoziona.”
Parliamo del tuo ultimo progetto: “Torri che grattano il culo a nessuno!”. Ovvero?
“Si tratta di un’ installazione che ho realizzato per gli spazi dell’Ammirato Culture House di Lecce e che coniuga la ricerca filologica con la pratica artistica, nel tentativo di esplorare alcuni luoghi che ricoprono un valore simbolico per l’area in cui si trova questa istituzione, al centro di un progetto artistico denominato “Quartiere Ammirato”. Un progetto che indaga, attraverso le pratiche artistiche e sociali, la relazione tra un quartiere reale- quello in cui sorge l’ Ammirato Culture House- e un quartiere ideale, in cui ci piacerebbe vivere e che vorremmo poter immaginare e costruire. Ciò che mi interessava era di avviare una riflessione sul concetto di trasformazione e di oblìo legato ai luoghi. L’installazione, che si compone di documenti e tracce audio-visive è frutto di una ricerca durata circa tre anni, alla quale, in momenti diversi, hanno collaborato con me altri artisti, musicisti, scrittori e residenti del quartiere. Una ricerca che si configura come una stratificazione di memorie, un elemento plastico e situazionista che tocca diversi registri. Il titolo dell’installazione è tratto da una prosa poetica di Marco Politano, uno dei filosofi che hanno preso parte al progetto, il quale si interroga sul carattere apparentemente obsoleto attribuito ai luoghi dell’indagine.”
Fare arte oggi: cosa vuol dire?
“Trasumanar e organizzar.”
Due parole sulla bocciatura della candidatura di Taranto a Capitale Europea della Cultura 2019.
“Personalmente non ho letto il dossier che è stato presentato e pertanto non posso esprimere un parere sull’argomento. So che Lecce ha fatto un lavoro intelligente: sono stati contattati tutti gli operatori culturali attivi nel territorio (e non soltanto) per ascoltare la loro esperienza, le loro proposte. A Taranto ho l’impressione che in pochi si siano accorti del progetto di candidatura. Inutile dire che la presentazione di una candidatura comune avrebbe avuto un peso maggiore, per entrambe le città. Sicuramente un’occasione sprecata per Taranto.”
Taranto – cultura: Che fare?
“Resistere.“
Il libro di Gianluca Marinelli è uno di quei testi che non dovrebbero mancare nella biblioteca personale di ogni tarantino: è un libro di storia costruito attraverso una ricerca metodica ed efficace e, soprattutto, che apre la mente a realtà sinora quasi totalmente ignorate. Una lettura che va affrontata con la mente sgombra da pregiudizi e, possibilmente, con le lenti che curino quella che pare un’insanabile miopia culturale per la quale, non appena si fa cenno a una realtà industriale, qualunque cosa abbia a che vedere con essa si trasforma in qualcosa di necessariamente terribile. Il libro di Marinelli è uno strumento fondamentale per chi voglia farsi un’idea di quella che era l’arte ai tempi dell’ITALSIDER, un’epoca in cui Taranto era molto di là dall’essere ciò che oggi, culturalmente, purtroppo è. Un appuntamento imperdibile con quella storia che ha qualcosa da insegnare a chi si pone nella condizione di saperne cogliere i frutti.
StecaS
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