“Adesso sulla strada principale ci sono solo vetrine imbiancate e negozi vuoti
Sembra che nessuno voglia più venire quaggiù
Stanno chiudendo lo stabilimento tessile dall’altra parte della ferrovia
Il caporeparto dice «questi posti di lavoro se ne stanno andando, ragazzi, e non torneranno mai più nella vostra città»”
B. Springsteen, My Hometown
La vertenza Natuzzi è una delle più significative in atto nel nostro territorio in questo momento. In gioco è il futuro di un sito produttivo, quello di Ginosa, e dei suoi addetti. La situazione, al momento, è a uno stallo: esauriti lo scorso 15 ottobre gli ammortizzatori sociali, l’azienda ha avviato le procedure per il licenziamento, rifiutando la proposta di riallocazione di tutti gli esuberi all’interno del gruppo avanzata dai sindacati.
L’epilogo drammatico cui si rischia di assistere nelle prossime settimane è l’ultimo capitolo di una storia che va avanti da diversi anni, e che potrebbe essere ricordata come uno dei più clamorosi fallimenti della strategia di reindustrializzazione messa in campo dalle istituzioni pubbliche del nostro paese di fronte agli effetti della crisi.
La crisi del cosiddetto “distretto del mobile imbottito” – diffuso nell’area murgiana, fra Puglia e Basilicata – ha radici lontane. Sin dai primi anni 2000 si assiste a un calo delle vendite e del fatturato, in conseguenza soprattutto della concorrenza dei paesi emergenti; la situazione si aggrava con lo scoppio della grande crisi: crollano i consumi di beni durevoli, fra cui gli stessi divani, e si accentua la competizione fra produttori. Questa viene esasperata dalla miriade di laboratori sorti nell’area all’ombra degli stabilimenti maggiori, e in certi casi al loro servizio, che talvolta operano in maniera irregolare.
I numeri sono impietosi: fra 2007 e 2012 il tasso di mortalità aziendale nel distretto (-36,2%) è il doppio del dato relativo all’intero settore manifatturiero nelle province interessate; fra 2007 e 2009, la perdita di posti di lavoro (-15,3%) è nettamente superiore alla dinamica che riguarda tutto il manifatturiero nella stessa area. Crollano anche le esportazioni (-6,9% fra 2010 e 2011), facendo registrare il secondo peggiore risultato nell’ambito degli otto distretti italiani del mobile.
Di fronte a questa situazione, le autorità locali chiedono al governo centrale di intervenire con strumenti straordinari per “definire una strategia complessiva da realizzare in tempi rapidi”. Il 27 luglio 2012 viene sottoscritto un primo Protocollo d’Intesa fra governo, Regione Puglia e Regione Basilicata. L’accordo prevede l’attivazione di un Gruppo di Lavoro incaricato di redigere un “Programma di reindustrializzazione e di riqualificazione economica e produttiva”.
Il Programma si propone di consolidare le imprese esistenti, attivare nuove iniziative volte alla reindustrializzazione dell’area, favorire il reimpiego dei lavoratori espulsi dai mobilifici. La strategia di intervento punta a incentivare gli investimenti in innovazioni di processo e di prodotto, sostenere la nascita di nuove imprese, adottare misure di sostegno al reddito e politiche attive del lavoro.
Queste linee vengono assunte dall’Accordo di Programma sottoscritto l’8 febbraio 2013 da Ministero dello Sviluppo Economico (MISE), Regione Puglia, Regione Basilicata e Invitalia (nel ruolo di consulente tecnico). L’Accordo prevede lo stanziamento di 101 milioni di Euro da destinare al finanziamento di investimenti promossi dalle imprese esistenti e da nuove attività interessate ad insediarsi nell’area murgiana. I fondi sono messi a disposizione dal MISE (40 milioni) e dalle Regioni Puglia (40 milioni) e Basilicata (21 milioni). Per raccogliere e valutare le proposte di finanziamento viene istituito presso il MISE un comitato di coordinamento. Le imprese interessate vengono vincolate all’assunzione del personale locale collocato in Cassa Integrazione Straordinaria (CIGS).
Intanto, nei mesi successivi, Natuzzi annuncia la messa in mobilità per 1.726 dipendenti sui 2.860 delle sedi murgiane. La mobilitazione dei sindacati e l’intervento del governo inducono l’azienda a sospendere la procedura. Gli annunciati esuberi sono parte di un Piano Industriale che, fra le altre cose, prevede la chiusura degli stabilimenti di Ginosa e Matera Iesce, e la conversione alla sola logistica dell’impianto di Matera La Martella. In sostanza, si prospetta la concentrazione della produzione nelle sole unità di Santeramo e di Laterza (per la quale viene prevista comunque una riorganizzazione). Per questi stabilimenti è annunciata inoltre una trasformazione radicale dell’organizzazione del lavoro: superamento dell’assetto “a isola” – retaggio dell’originario approccio artigianale – e adozione del sistema “in linea” – con ricorso su larga scala all’automazione e alla standardizzazione delle mansioni. In questo modo l’azienda punta a raggiungere incrementi di produttività, riducendo al contempo il costo del lavoro.
Il confronto istituzionale porta, il 10 ottobre 2013, alla formulazione di un Accordo di Programma specifico per Natuzzi, sottoscritto da governo, Regioni, azienda e parti sociali. L’azienda si impegna a realizzare gli investimenti contenuti nel Piano industriale; in più, prospetta la riapertura dello stabilimento di Matera Iesce, con il recupero delle sue 220 unità, nel 2014. Per fronteggiare gli esuberi strutturali – scesi a 1.506 – Natuzzi punta in due direzioni: il rientro dalla Romania di alcune lavorazioni, da affidare a società terze collegate al gruppo; e il sostegno a un progetto di reindustrializzazione dell’area, sfruttando anche le opportunità di finanziamento messe a disposizione dall’Accordo di Programma di febbraio. Natuzzi inoltre si assume il compito di reclutare una società di scouting per individuare soggetti interessati a insediarsi nell’area. Su queste basi, viene richiesta una proroga alla CIGS per 12 mesi, a partire dal 16 ottobre 2013, in favore di massimo 2.000 unità.
Da parte loro, le istituzioni pubbliche si impegnano a supportare tanto gli investimenti dell’azienda quanto il processo di reindustrializzazione dell’area. A questo scopo, viene istituita una “cabina di regia” presso il MISE.
Nei mesi successivi il confronto fra azienda e sindacati si concentra sul punto, ritenuto imprescindibile da Natuzzi e quanto mai doloroso per i lavoratori, della riduzione del costo del lavoro. Natuzzi chiede una contrazione del 10%, e comunque il raggiungimento del livello di 0,50 Euro/minuto di costo. Una prima intesa viene raggiunta all’inizio del 2015. Su indicazione del governo, le parti concordano di utilizzare i contratti di solidarietà per 1.818 unità per 24 mesi. Allo stesso tempo, i sindacati accettano deroghe significative ai Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. Da parte sua, Natuzzi prospetta la riapertura di Ginosa con l’assorbimento di 100 dipendenti. Nel frattempo, per gli esuberi strutturali, resta valido il percorso di CIGS – per il quale l’azienda aveva chiesto una proroga di altri 12 mesi nell’ottobre 2014.
L’intesa azienda-sindacati viene ratificata davanti al Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale il 3 marzo 2015, e rientra in un Addendum all’Accordo di Programma per Natuzzi, siglato lo stesso giorno presso il MISE. Nel nuovo accordo viene messo in chiaro che, constatata l’impossibilità di demandare a terzi alcune lavorazioni, Natuzzi prevede di svilupparle in proprio, riorganizzando la struttura produttiva. L’azienda ribadisce altresì l’impegno a riattivare Ginosa impiegando 100/120 dipendenti; per gli altri 380 esuberi si prevede un’uscita graduale dal gruppo: 100 verso attività legate ai progetti di reindustrializzazione già prospettati nell’ottobre 2013; 280 accompagnati all’esodo volontario con un incentivo di 40.000 Euro pro capite.
L’attività di scouting che l’azienda si era impegnata a far partire procede tuttavia a rilento. Secondo il cronoprogramma contenuto nell’Accordo del 10 ottobre 2013, di lì a un anno sarebbero dovuti entrare in produzione i progetti individuati, ma nelle mani della Sofit – la società incaricata di curare la definizione dei progetti – ci sono poco più che intenzioni. Per agevolare nuovi progetti imprenditoriali, da parte sua Natuzzi assicura una “dote” di 4.000 Euro per tre anni per ogni lavoratore assunto a tempo indeterminato. Alla fine del 2015 sono così quattro le aziende che sembrano a un passo dal formalizzare un’offerta definitiva per rilevare gli impianti in via di dismissione: una nella zona di Matera, tre sul versante pugliese. A queste se ne aggiungono altre due in attesa di completare il business plan. Complessivamente, queste attività impiegherebbero circa 100 addetti: i conti sembrano tornare.
Nel corso del 2015 la situazione economica di Natuzzi va migliorando: anche grazie alla riduzione del costo del lavoro, il margine operativo torna in positivo. Questa circostanza incoraggia l’azienda a premere l’acceleratore sul terreno degli investimenti. Viene varato un nuovo Piano industriale triennale, dell’entità di 49,7 milioni di Euro. I progetti d’investimento riprendono le indicazioni contenute negli accordi stipulati fino a quel momento. Sottoposto all’attenzione delle autorità pubbliche, il Piano ottiene un finanziamento di 38 milioni sulla base dell’Accordo di Programma per l’area murgiana. Le risorse sono ripartite fra MISE (20 milioni) e Regioni Puglia (15,6 milioni) e Basilicata (2,4 milioni).
Che il clima volga al meglio sembra dimostrato anche dall’intesa sulla CIGS, raggiunto il 14 ottobre del 2015. Fra i 470 lavoratori di Ginosa ancora in Cassa, 100 vengono destinati ad altri impianti del gruppo, ricadendo sotto la copertura dei contratti di solidarietà; per gli altri 370 viene prorogata ancora una volta la CIGS fino al 15 ottobre 2016. Si tratta tuttavia dell’ultimo possibile rinvio: le norme contenute nel Jobs Act, intervenute nel frattempo, impediscono l’ulteriore ricorso a quello strumento.
Ma l’ottimismo dura poco. Con l’arrivo del 2016, le prospettive di reindustrializzazione vanno dissolvendosi; Natuzzi prova a incentivare l’avvio di nuove imprese lanciando il “progetto Assist”: 5.000 Euro ad addetto per corsi di formazione e 12.000 Euro (poi portati a 15.000) alle aziende per ogni lavoratore assunto. Ma nessuno sembra interessato all’offerta.
Intanto il tempo stringe, e i sindacati propongono l’internalizzazione delle produzioni dei complementi di arredo per riassorbire tutti i lavoratori ancora in CIGS. Ma sul versante aziendale i segnali vanno in tutt’altra direzione: lo scorso luglio viene comunicata l’apertura della procedura di mobilità per i 350 di Ginosa che ancora non hanno accettato l’esodo volontario. Quanto all’internalizzazione, da Natuzzi arriva un messaggio chiaro: il processo richiederebbe comunque tempi più lunghi rispetto alle scadenze degli ammortizzatori sociali.
Tuttavia il solo progetto a cui l’azienda sembra interessata riguarda la trasformazione del poliuretano per le imbottiture: una produzione che impiegherebbe appena 104 unità nei successivi 12-18 mesi, previa la costituzione di una NewCo. Questa dovrebbe riassumere i lavoratori con un nuovo contratto, annullando i diritti acquisiti. Altri, più duri sacrifici, dopo quelli sopportati nel corso degli ultimi anni. Un’opzione ritenuta insoddisfacente dallo stesso governo, che ha portato la Regione Puglia a minacciare il diniego sulle richieste di finanziamento avanzate da Natuzzi.
Nel braccio di ferro fra proprietà, sindacati e autorità politiche il tempo è scaduto il 15 ottobre scorso. L’azienda oggi sembra in netto vantaggio, se è vero che da allora ben 100 lavoratori hanno accettato l’offerta di esodo volontario – intanto portata a 60.000 Euro più 3.000 per coniuge a carico e 1.500 per ogni figlio a carico. In teoria, altri 100 dovrebbero essere riallocati nella nuova produzione di Ginosa; ne resterebbero quindi 150, orfani dei progetti di reindustrializzazione mai partiti. Ma i sindacati non si fidano: Natuzzi ancora non scopre le carte sul progetto di NewCo, e il timore è che il tempo possa sfiancare i 250 ancora in sospeso, inducendoli a sottoscrivere la lettera di dimissioni.
Se questo scenario si avverasse, oltre al danno avremmo la beffa. Un’azienda che sta ritrovando la via del rilancio soprattutto grazie all’erogazione di risorse pubbliche e ai sacrifici dei lavoratori, potrebbe sottrarsi ai patti sottoscritti fino ad oggi senza incorrere in nessuna sanzione. Rimane solo da sperare che Natuzzi sia realmente interessata alla prospettiva di rilancio contenuta negli accordi controfirmati da diciotto mesi a questa parte.
E che giudizio dare delle velleità di “reindustrializzazione” coltivate sin da principio? Questa vicenda sembra dimostrare una verità persino scontata, ma troppo spesso sottovalutata dai decisori politici: nelle aree arretrate, le più colpite dalla grande crisi, serve uno shock positivo almeno proporzionale a quello (negativo) subito negli ultimi anni. Interventi di microchirurgia non possono alleviare le enormi ferite impresse dalla crisi al tessuto socio-economico di tanti territori. Ignorare queste banalissime considerazioni vuol dire rassegnarsi alla emarginazione di ampie parti del paese, che già oggi mostrano sintomi inquietanti di regressione.
Infine, un pensiero ai “profeti di sventura”. Per sostituire i posti di lavoro persi (o che si vorrebbero riconvertire) nel nostro territorio, non basta auspicare che questi sorgano come funghi alla prima pioggia d’autunno. La situazione, come mostra la vicenda di Ginosa, è molto più complessa. “Questi posti di lavoro se ne stanno andando, ragazzi, e non torneranno mai più nella vostra città”: lo dice il caporeparto della canzone del Boss, e lo potrebbe ripetere tale e quale qualunque persona di buon senso di fronte al capannone vuoto della cittadina murgiana. Ma l’amara constatazione, di questi tempi e a queste latitudini, vale per ogni fabbrica che chiude, per ogni lavoratore che esce per sempre dai cancelli. Se non siamo in grado di rabbrividire davanti a quelle parole, a quella prospettiva, e di batterci per la difesa di ogni posto di lavoro, vuol dire che il territorio ha già perso. Che ognuno di noi è diventato lupo per il suo simile – o, più precisamente, cane da combattimento nelle mani di chi ogni giorno scommette sulle nostre vite.