Avevo forse sedici anni quando, studentessa del Liceo Artistico “Lisippo” di Taranto, mi ritrovai ad ammirare, con sincera estasi, la copia de La zattera della Medusa di Géricault: un dipinto molto grande di cui avevo seguito le fasi d’esecuzione spiando di quando in quando nell’aula mentre un talentuoso giovane era al lavoro. Valerio D’Ospina non ascoltava nessuno, non vedeva nessuno se non la sua tavolozza, i suoi colori e quel grande spazio da ricoprire. Tutto era alle sue spalle e non lo percepiva: noi tutti, però, guardandogli le spalle, ne percepivamo la potenza. Per questo non mi ha meravigliato che sia, oggi, uno dei pittori più riconosciuti e ricercati. Dalle anguste stanze del palazzetto di Via Lucania all’Accademia di Belle Arti di Firenze sino agli Stati Uniti, dove oggi vive e opera, la carriera di Valerio è stata un crescendo di soddisfazioni. Non potevo non fargli qualche domanda a tanti anni di distanza dalla partenza di quella Zattera della Medusa per capire se, ancora, fare il pittore può essere un’ambizione e quanto pesi, comunque, la distanza dal Bel Paese.
Valerio, quanto c’è di Taranto nella tua personalissima visione delle città e dell’industria?
«Successivamente al mio trasferimento negli Stati Uniti, il mio lavoro si è concentrato su tematiche inevitabilmente legate alla mia città di origine. La scelta è avvenuta in maniera assolutamente naturale e spontanea; dipingere la propria terra o soggetti in qualche modo relazionati ad essa, penso sia stato – e lo è ancora – uno standard abbastanza spontaneo e inevitabile per molti artisti. Determinante è stato comunque il passaggio da una realtà ad un’altra, completamente diversa, che ha fatto scaturire una successione di memorie estetico-nostalgiche e di riflessioni sociali. Sin da piccolo sono sempre stato affascinato dai “macabri” complessi industriali dell’ILVA, piuttosto che dal porto mercantile e dalle basi navali; ma oltre a queste memorie romantiche, avevo la necessità di “parlare” a modo mio di quella che era la triste realtà dell’ILVA e dei Tarantini, una realtà che ho seguito giorno dopo giorno pur trovandomi dall’altra parte del globo. Non a caso uno dei miei primissimi lavori di tema industriale si intitola ILVA (Inquiniamo Le Vostre Aree), seguito poi da Lightning dove dei fulmini colpiscono gli altiforni di una raffineria, i quali, a loro volta, sembrano minacciare il cielo: la natura si ribella con una forza senz’altro più efficace ed immediata rispetto ad una probabile ribellione cittadina.»
Da Taranto agli USA passando per Firenze. Il punto di svolta?
«Firenze la considero come la mia seconda ‘hometown’. Nella capitale del Rinascimento ho vissuto per quasi dieci anni nei quali mi sono formato, sia a livello culturale che artistico, senza nulla togliere all’enorme contributo formativo del liceo artistico di Taranto, a cui sarò sempre riconoscente. Scelsi Firenze perchè la trovavo una città a misura d’uomo sebbene Milano o Torino sarebbero state molto più attinenti ad una formazione artistica di alto livello sul fronte contemporaneo. Ma a me interessava giusto vivere e fare esperienze in una città internazionale dove poter conoscere grandi personalità provenienti da tutto il mondo, senza ovviamente tralasciare il mio primo grande amore per la grandiosa opera di Michelangelo e dei maestri del Rinascimento. Inoltre Firenze gode di una posizione geografica strategica dalla quale si possono raggiungere grandi metropoli in poche ore e questo mi ha permesso di visitare le grandi biennali, musei e fiere d’arte contemporanea in diverse città italiane. E’a Firenze che ho conosciuto la donna per la quale ora mi trovo in America. Non sono mai “fuggito” dall’Italia, sia ben chiaro, io addirittura odiavo l’America, solo adesso ne riconosco i pregi.»
Quanto è realmente compresa l’arte a Taranto?
«A differenza di quanto si pensi, credo che a Taranto l’arte venga compresa in maniera incredibilmente soddisfacente, considerando comunque che la città, purtroppo, appartiene ad una realtà mediamente “sub-culturale” se paragonata alle grandi città italiane. Per quanto mi riguarda ho avuto la fortuna di conoscere dei grandiosi talenti tarantini, che vanno dai grandi artisti di successo internazionale come Daniele D’Acquisto, Cristiano de Gaetano (che purtroppo e’ venuto a mancare di recente ad un’età tremendamente prematura), Roberto Ferri e tanti altri… Per non parlare poi di molti amatori e ‘conoscitori’ dell’ arte contemporanea di buon livello. A volte mi stupisco nel vedere il lavoro di certi artisti contemporanei condivisi su alcuni social networks di alcuni miei conoscenti tarantini; artisti che sicuramente nessuno dei miei colleghi americani del dipartimento d’arte dell’Università riconoscerebbe. Purtroppo però i talenti – anche musicali – sono costretti ad emigrare altrove per poter intraprendere una carriera dignitosa e direi, tenendo conto della situazione generale di questi ultimi tempi, emigrare non solo da Taranto ma dall’Italia, se non addirittura dall’Europa.»
E la tua?
«Mi e’ stato proposto diverse volte di esporre in spazi anche molto rilevanti nella città di Taranto. Purtroppo, per tutte le occasioni presentate, non possedevo pezzi a sufficienza che non fossero già impegnati con gallerie che mi rappresentano da diverso tempo.»
In che direzione va il mercato dell’arte a livello internazionale?
«Preferirei non parlare di mercato perchè ogni volta che lo faccio succede poi l’opposto di quello che dico. Comunque posso dire che certamente va meglio che in Italia, anche se la crisi si è fatta sentire un po’ ovunque negli ultimi anni, senza esclusioni.»
Fare il pittore è ancora una professione?
«Assolutamente sì. Basta crederci, lavorare con costanza e determinazione e non arrendersi mai alle prime difficoltà. Prima di intraprendere la mia carriera di artista dissi a mia moglie che saremmo diventati poveri per un po’ di tempo perchè dovevo abbandonare l’insegnamento e dedicarmi full-time alla pittura. Poi i sacrifici hanno dato i primi risultati positivi e da allora c’è sempre stato un crescendo, considerando gli alti e bassi inevitabili.»
La parabola ascendente di Valerio è senza dubbio di gran fascino ma fa riflettere su quanto sia importante, nell’intraprendere una carriera come quella artistica, una buona dose di coraggio. Il suo, evidente seppur mai esternato nelle risposte – l’umiltà, quella sì, è degli artisti veri! – lo ha portato lontano nella carriera e da Taranto alla quale resta, tuttavia, legato da un filo che sapientemente tesse per costruire molte delle sue opere. Artisti non ci si improvvisa: dar voce al proprio mondo passa necessariamente attraverso un percorso formativo, di scoperta di sé e delle proprie potenzialità. Allora si può essere ancora artisti per professione! Non dimenticando quello che, tuttavia, è e rimarrà un ingrediente fondamentale per sfondare in un mondo così ostico: il talento.
StecaS
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Se volete vedere altre opere di Valerio D’Ospina, oltre a quelle di cui ci ha fornito gentilmente le fotografie, vi invitiamo a visitare il suo sito: http://www.valeriodospina.com/