Con il Decreto Ministeriale n. 249 del 10 settembre 2010 l’ex Ministro Gelmini ha eliminato le vecchie Scuole di Specializzazione all’Insegnamento Secondario (SISS) ed introdotto un nuovo strumento per acquisire l’abilitazione all’insegnamento: il TFA (Tirocinio Formativo Attivo).
Il TFA non è altro che un corso di formazione universitario a numero chiuso di 1500 ore totali (60 CFU) di cui 475 ore (19 CFU) fanno parte del tirocinio vero e proprio all’interno delle scuole, possono accedervi solo coloro in possesso della laurea specialistica/magistrale.
Questo metodo di “formazione” degli insegnanti ha dei grossi limiti. Il primo è quello che riguarda la didattica: se si dà uno sguardo ai programmi dei corsi previsti per ogni classe di insegnamento (qui ad esempio ci sono quelli dell’UNIBA relativi al TFA 2011/2012) si può notare che, escludendo gli esami di pedagogia ed i relativi laboratori, la restante parte dei corsi consiste in una breve ripetizione di ciò che è stato studiato durante il proprio percorso universitario, cosa di cui si potrebbe fare sicuramente a meno, per dare più spazio al tirocinio presso gli istituti scolastici – il quale rappresenta una parte davvero esigua del percorso del TFA, solo il 30% delle ore totali.
Un altro grosso problema del TFA è il costo elevato: le quote di iscrizione fissate dai vari Atenei variano dalle 100€ alle 150€, mentre il costo del corso varia dai 2500€ ai 3000€. Va poi precisato che per accedere alle varie classi di concorso è necessario possedere un numero preciso di CFU in determinati settori scientifici disciplinari (SSD) e, nel caso in cui durante il proprio percorso universitario non siano stati acquisiti, per poter partecipare alle selezioni per il TFA bisognerebbe iscriversi ai corsi singoli. Questi hanno dei costi non indifferenti, basti pensare che l’UNIBA, nell’approvazione del nuovo piano di rientro, ha aggiunto al contributo fisso di 350€ (già esistente) per i corsi un supplemento di 50€ per ogni credito formativo riferito al singolo insegnamento.
Questi costi devono essere sostenuti per intero indipendentemente dalla condizione di reddito, a differenza dei normali corsi di laurea infatti la tassazione non è proporzionata all’ISEEU e inoltre non sono previste borse di studio/posti alloggio; quindi, oltre a pagarsi il TFA, bisogna affrontare interamente anche le spese per di alloggio o del viaggio per frequentare i corsi. In poche parole possono acquisire l’abilitazione all’insegnamento solo coloro che “se lo possono permettere”.
Il Governo Renzi ha intenzione di cambiare il sistema di abilitazione degli insegnanti, attivando le c.d. “magistrali abilitanti”. Si tratta di corsi di laurea biennali (comprensivi di tirocinio nelle scuole) ai quali si può accedere dopo aver conseguito la laurea triennale, ovviamente a numero chiuso – il Ministero stabilirà i posti disponibili a seconda delle necessità di reclutamento. A pagina 41 del testo sulla “Buona Scuola” di Renzi si legge che «nel corso del biennio di specializzazione, seguirà corsi di didattica e pedagogia, e in generale materie mirate sul lavoro di formazione e crescita dei ragazzi. Chiaramente specifici bienni specialistici potranno funzionare anche per materie affini, evitando di doverne istituire uno diverso corrispondente con rapporto 1:1 a ogni diverso tipo di laurea oggi esistente».
In questo modo verrebbe superato il problema dei costi, perché trattandosi di corsi di laurea gli studenti avrebbero tutti i benefici economici del caso, ma a quale prezzo?
Considerando i parametri vigenti per l’attivazione dei corsi di laurea (in termini di numero di professori, ricercatori), blocco del turn-over (vengono assunti meno docenti rispetto a quelli che vanno in pensione) e diminuzione dei fondi – è impensabile che possano essere attivati nuovi corsi senza dover disattivarne altri: ci sarebbe quindi l’ennesimo taglio dell’offerta formativa generale.
Va evidenziato che questo sistema pone i neolaureati triennali di fronte ad un bivio: continuare una formazione specifica coerente con la laurea appena acquisita (e quindi poter accedere ai diversi ambiti lavorativi che quel settore fornisce), oppure puntare tutto sull’insegnamento?
Una magistrale pensata per l’insegnamento, con una formazione basata sulle materie pedagogiche ed in parte su materie non pedagogiche che non sono necessariamente appartenenti ad ambiti specifici, ma possono essere raggruppate settori “affini” – tralasciando gli impieghi nelle scuole o in qualche corso di formazione – non permette nessun’altro sbocco lavorativo.
È ormai noto che quasi la totalità delle (poche) offerte di lavoro riportano tra i requisiti dei candidati l’acquisizione della laurea triennale e magistrale in uno specifico settore, quale azienda assumerebbe ad esempio un candidato con laurea triennale in Economia ed una specializzazione biennale in “un po’ di tutto” per l’insegnamento? Tra una persona che ha conseguito una laurea magistrale in archeologia ed un’altra con una triennale in Beni Culturali più specializzazione all’insegnamento, secondo voi quale verrebbe assunta per il restauro i beni archeologici?
Oltre al danno la beffa: nel testo si legge che – a termine del biennio – l’aspirante insegnante deve svolgere il tirocinio presso una scuola e sotto la supervisione di un “mentor”; se la valutazione del mentor (e del dirigente scolastico) è negativa il tirocinio viene ripetuto e se – anche la seconda volta – non c’è valutazione positiva si acquisisce il titolo di laurea ma non l’abilitazione. La cosa “comica” è che viene affermato che il neolaureato «potrà spendere in altri ambiti professionali» quel titolo. Non voglio essere fraintesa, è positivo il fatto che si voglia evitare che persone non idonee possano diventare insegnanti, però questo tipo di discorso può essere applicato ad esempio alla fine di un corso di abilitazione post laurea magistrale (come il TFA) e comunque dando la possibilità alla persona di poter rifare il tirocinio più volte fino a quando non viene considerato idoneo oppure rinuncia, perché in quel caso comunque avrebbe una laurea magistrale specifica in un settore da poter spendere nel mondo del lavoro. Permettere ad una persona di conseguire una laurea magistrale abilitante senza l’abilitazione, significa ritrovarsi con un titolo di studi che non serve assolutamente a nulla.
Infine va detto che la magistrale abilitante non permette direttamente un’assunzione, per quello vengono banditi comunque i concorsi, poi si deve tener conto delle attuali graduatorie di precari che di certo non verranno esaurite in poco tempo. Considerando quindi che una magistrale abilitante – per i motivi detti prima – preclude altre strade in ambito lavorativo, l’aspirante insegnante cosa fa nel frattempo che venga istituito un concorso? Poi viene anche da domandarsi se, con questo sistema, una persona sia davvero qualificata per poter insegnare nelle scuole pur non avendo una formazione specifica in un determinato ambito.
Se il TFA è un sistema con grossi problemi e lacune, con le magistrali abilitanti la situazione potrebbe ulteriormente peggiorare. Non è la prima volta che si parla di magistrali abilitanti, l’ex Ministro Gelmini provò ad istituirle ma non ci riuscì per le problematiche descritte prima. Viene quindi da chiedersi se anche questa volta si tratterà solo di “buone intenzioni” che non avranno seguito, oppure le magistrali abilitanti verranno istituite per davvero.
Considerando che il Governo non ha intenzione di istituire nuovi cicli di TFA e che l’unico modo per ottenere l’abilitazione sarà la magistrale abilitante, i problemi ed i dubbi maggiori ce li hanno gli studenti che stanno per conseguire la laurea triennale, i quali il 14 novembre hanno scioperato anche per questo. Nell’attesa che le magistrali abilitanti vengano attivate, conviene iscriversi ad un corso di laurea magistrale sperando che poi facendo il passaggio di corso alla magistrale abilitante qualche esame possa essere convalidato? Oppure acquisire la laurea magistrale nel proprio settore e poi studiare altri due anni per la magistrale abilitante (che all’UNIBA ad esempio significherebbe pagare per intero le tasse perché si tratta di seconda laurea)? Certo si potrebbe anche aspettare che vengano attivate le magistrali abilitanti, ma se poi non vengono più attivate si tratterebbe di anni persi inutilmente.
Insomma la confusione è evidente, i limiti delle magistrali abilitanti anche. Il Governo Renzi sembra non voler “rottamare” proprio nulla, nemmeno i vecchi progetti non più attuati perché non c’erano le condizioni. I problemi che hanno impedito la costituzione delle magistrali abilitanti 4 anni fa ci sono ancora (anzi, la situazione generale dell’Università italiana è anche peggiorata) quindi risulta abbastanza inutile continuare per questa strada. Bisognerebbe ripartire da una riforma del TFA: renderlo accessibile a tutti, sostenibile economicamente e soprattutto davvero formativo.