Il disegno di legge di riforma costituzionale approvato dal Parlamento il 15 aprile 2016 ha scatenato un ampio dibattito, a cui noi non possiamo sottrarci. Da osservatori della vita politica non solo della nostra città, ma dell’intero paese, il collettivo di Siderlandia ha deciso di iniziare questa nuova stagione con una serie di articoli di approfondimento sulla riforma.
Il Consiglio dei Ministri, dopo mesi di indugi, ha finalmente indicato la data del Referendum Costituzionale nell’ultimo giorno utile previsto dopo il via libera della Corte di Cassazione. Il 4 Dicembre gli italiani saranno chiamati a votare le modifiche alla Carta Costituzionale. Una scelta chiara quella del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, che evidentemente spera, a due mesi dal voto, di strappare una vittoria anche giocando sulla scarsa affluenza nella prima domenica di dicembre.
Le modifiche proposte dal Capo del Governo e dal Ministro per le Riforme Istituzionali, Mariaelena Boschi, non solo vanno ad alterare la Costituzione nella parte seconda – “Ordinamento della Repubblica” -, ma di fatto incidono anche sulla prima, riguardante i “Principi Fondamentali”. Infatti, nonostante l’argomentazione demagogica della propaganda renziana sul superamento del bicameralismo paritario, sulla riduzione del numero dei parlamentari e dei costi delle istituzioni, vi è un vero e proprio attacco alla partecipazione attiva dei cittadini alla vita democratica: questi vedranno eliminato il loro diritto al voto per uno dei due rami del Parlamento, il Senato – che sarà costituito da consiglieri regionali e sindaci eletti dai loro stessi colleghi, come già avviene per i Consigli Provinciali.
In questi mesi abbiamo udito esponenti del governo accusare gli oppositori di “immobilismo”, “conservatorismo” e “passatismo”. Termini che sono già stati utilizzati per etichettare chiunque si opponesse tanto al “Jobs Act” quanto alla “Buona Scuola”. Effettivamente, tra la riforma del mercato del lavoro, quella della scuola e le modifiche costituzionali vi è un minimo comune denominatore. Tutte e tre prospettano una riduzione degli spazi di democrazia – che, secondo Matteo Renzi, sono causa dell’arretratezza del paese.
Da una parte, viene ridimensionato il ruolo del sindacato nella contrattazione collettiva per la tutela dei diritti dei lavoratori, favorendo i vertici aziendali; dall’altra, si sminuiscono i poteri dei consigli d’Istituto, trasformando i dirigenti scolastici in veri e propri direttori dell’azienda-Scuola. Da parte sua, la riforma costituzionale, riducendo il Senato a un “dopolavoro” per consiglieri regionali e sindaci e trasferendo al governo alcuni importanti poteri delle Regioni, altera il sistema dei contrappesi. Se a tutto ciò si somma la legge elettorale – il cosiddetto “Italicum”, che concede la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera a un solo partito – risulta evidente che il governo punta a ristrutturare la governance dello Stato per concentrare il potere nelle mani di un solo uomo, andando di fatto verso un “premierato assoluto” che viola apertamente i principi di sovranità popolare (art. 1) e di eguaglianza (art. 3), pilastri della nostra Costituzione.
L’attacco alla Carta Costituzionale rappresenta dunque per il governo Renzi l’ultimo atto per completare un progetto di svuotamento della sovranità democratica avviato già dai suoi predecessori. Il diritto di tutti i cittadini a incidere sulle decisioni politiche attraverso il voto, il diritto dei lavoratori e degli studenti a partecipare alle scelte che li riguardano negli ambiti di lavoro e di studio vengono subordinati a una logica padronale. Tutto deve assomigliare a una fabbrica di tipo ottocentesco, in cui uno comandava e gli altri eseguivano gli ordini. Si manomette quindi la Costituzione perché il suo spirito profondamente democratico è in contrasto con gli interessi dei grandi gruppi imprenditoriali. Non a caso organizzazioni datoriali come Confindustria, società finanziarie internazionali quali JP Morgan, e ora persino Impregilo, l’impresa di costruzioni interessata alla realizzazione del Ponte sullo Stretto, si sono espresse a favore del “Sì”.
A parere di chi scrive, la vittoria del “No” al referendum del 4 Dicembre non solo porrebbe fine a questo attacco ai diritti fondamentali, ma costituirebbe il presupposto e l’impegno da parte dei soggetti che hanno animato la campagna referendaria per proporre progetti di legge costituzionali volti a consolidarne i principi, attuarne i contenuti e adempierne il compito.