Salvatore De Lorenzis fino a pochi giorni fa era considerato uno degli imprenditori più cool e facoltosi della Puglia. Tanto da meritare interviste e comparsate sulle riviste di gossip, essendogli stati attribuiti anche diversi flirt con donne dello spettacolo: Manuela Arcuri e Aida Yespica, tra le altre. Eppure un’ inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce, sfociata martedì 24 febbraio in un blitz della Guardia di Finanza che ha condotto in carcere diciannove persone e ai domiciliari altre otto, ci racconta tutta un’altra storia, rispetto a quella che ci è stata tramandata, negli anni, dai paparazzi. Nelle ordinanze di custodia cautelare richieste dai sostituti procuratori della Dda Carmen Ruggiero e Giuseppe Capoccia, e dallo stesso procuratore capo Cataldo Motta, firmate dal Giudice per le indagini preliminari Antonia Martalò, si legge innanzitutto che “è emersa l’esistenza sul territorio salentino di un’associazione di tipo mafioso promossa e diretta da Pasquale, Pietro, Saverio e Salvatore De Lorenzis, i quali, attraverso una struttura organizzativa costituita da imprese e società di fatto riconducibili ai predetti ma formalmente intestate a prestanomi, avvalendosi della forza di intimidazione derivante dalla loro storica appartenenza e vicinanza a clan della Sacra Corona Unita, hanno acquisito nel territorio salentino, con diramazioni anche nel Nord Italia, la gestione di attività economiche nel settore del gioco d’azzardo”.
Dunque era il signore delle slot machine, De Lorenzis, e attraverso alcune società a lui riconducibili era concessionario di licenze rilasciate dai Monopoli di Stato, ma sarebbe stato anche a capo, secondo i giudici di Lecce, di uno dei clan più temuti della Sacra Corona Unita. E non è finita qui. Dal prospetto per il calcolo della sperequazione redditi/investimenti, lungo un arco temporale che abbraccia un periodo di tredici anni ( dal 2000 al 2013) “è stata riscontrata l’esistenza di una sperequazione, per importi anche significativi”, si legge nelle carte dell’Antimafia pugliese. Dalle quali si evince chiaramente che l’imprenditore ufficialmente non dispone della capacita economico-finanziaria per mantenere l’ elevato tenore di vita che risulta condurre. In particolare, le intercettazioni degli investigatori, sia i Ros dei carabinieri che i finanzieri della tributaria di Lecce, avevano documentato che l’imprenditore conduceva una vita particolarmente agiata, “intrattenendo rapporti con diversi personaggi dello spettacolo che è solito ospitare all’intermo della lussuosa villa sita a Gallipoli in località Lido Pizzo, nonostante che abbia presentato, ad eccezione degli anni d’imposta 2002 e 2003, dichiarazioni dei redditi pari a zero”. In quella villa (intestata ad un prestanome) Salvatore De Lorenzis, in diretta televisiva durante un servizio di Enrico Lucci delle Iene andato in onda un paio di anni fa, aveva garantito soggiorni gratis per tutti i vip che l’avessero voluto: “meglio se belle donne che hanno già partecipato a qualche programma televisivo qua e là”, era il De Lorenzis pensiero per diffondere al meglio il brand Salento, a suo dire. Quella stessa villa, poi, è stata al centro di un’inchiesta giudiziaria. Perché Patrizia D’Addario (la donna balzata agli onori della cronaca per aver raccontato di aver trascorso una notte d’amore con l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi) raccontò di aver subito lì dentro una violenza sessuale ad opera di tre uomini, tra cui lo stesso De Lorenzis. L’inchiesta finì poi con un’archiviazione, perché secondo lo stesso sostituto procuratore della Repubblica di Lecce, Stefania Mininni, che allora condusse le indagini ”una disamina globale dei fatti riferiti non consegna un quadro tale da consentire di delineare con certezza gli episodi incriminati”.
La rete di interessi. Invidiato, temuto e rispettato, De Lorenzis, nonostante risultasse nullatenente, era proprietario di una squadra di calcio: l’Associazione Sportiva Dilettantistica Real Racale calcio, “per la quale effettuava consistenti esborsi di denaro per il pagamento degli ingaggi di calciatori e staff tecnico”. Non solo. Fitti e ramificati erano i suoi interessi nel gioco d’azzardo, vero core business di famiglia, settore in cui l’imprenditore faceva affari di portata milionaria, attraverso diverse società. Tra i capi di imputazione si legge che: “Salvatore De Lorenzis, mantenendo un ruolo egemone di capo e promotore dell’associazione anche quale titolare delle risorse finanziare investite per la costituzione delle ditte individuali a lui riferibili anche se fittiziamente intestate ad altri componenti del sodalizio criminale, si occupava in particolare dell’approvvigionamento e della compravendita di schede da gioco contraffatte installate in apparecchi e congegni da divertimento”.
Dunque, vero e proprio signore delle slot ma soprattutto presunto boss appartenente ad uno dei clan più temuti della SCU. La zona del Basso Salento era roba sua: secondo gli inquirenti, infatti, “imponeva con atteggiamenti intimidatori ai titolari di esercizi commerciali l’installazione dei dispositivi elettronici fomiti dalle aziende gestite da lui e dai fratelli”. Allo stesso tempo “impediva ai titolari e dipendenti di aziende concorrenti di promuovere il noleggio di loro dispositivi elettronici”.
Già in passato l’imprenditore era stato accusato di contiguità ai clan pugliesi, e condannato a nove anni di reclusione dalla Corte d’Appello di Lecce, con sentenza che era poi stata annullata con rinvio dalla Cassazione, nel 2008. Per quell’accusa sarà poi definitivamente prosciolto dalla Corte d’Appello di Taranto. Ciò non gli ha impedito non solo di continuare ad acquisire un enorme potere economico, ma addirittura di estendere la rete degli interessi, condizionando anche alcuni organi amministrativi deputati al controllo del settore del gioco. Fitta e ramificata era infatti la rete di complicità e protezione a cui l’indagato poteva fare riferimento. La presunta associazione mafiosa poteva “contare” – secondo i giudici – su Luigi Mele, sostituto commissario in servizio presso la Questura di Lecce, e Dario Panico, ispettore dei Monopoli di Stato, “dai quali apprendeva notizie coperte da segreto d’ ufficio in relazione ai controlli programmati presso gli esercizi pubblici controllati dall’associazione”; infine, su di un ispettore della SIAE, Paolo Ardito “con il quale veniva concordato l’esito del controllo presso l’esercizio commerciale bar Sette Note”.
Dei tre complici, comunque, solo Panico è finito in cella. Mentre gli altri due risultano indagati a piede libero. Mele, in particolare, perché “nella sua qualità di Ispettore della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Lecce, riceveva per se utilità economiche per compiere ovvero per avere compiuto atti contrari ai doveri di ufficio”.
Il denaro di Salvatore De Lorenzis non aveva odore, né per alcuni pubblici ufficiali né per le starlette che negli anni hanno frequentato la sua villa di Gallipoli. Soldi che non lasciavano mai traccia, tanto da farlo risultare nullatenente per quindici lunghissimi anni. Fino a pochi giorni fa. Quando l’antimafia di Lecce ha spezzato la rete dei suoi interessi, mettendo sotto chiave il patrimonio detenuto dalla famiglia dei signori delle slot, sequestrando ville, terreni, conti correnti, per il valore di dodici milioni di Euro.